La Città di San Francisco ha fatto causa a dieci multinazionali alimentari, tra cui Nestlé USA e Coca-Cola, accusandole di essere responsabili, con i loro prodotti ultra-processati, dei danni legati all’aumento di malattie come obesità, diabete o cancro. Come pure di usare tecniche di pubblicità fuorviante. Si tratta quindi di una causa complessa che mette sul piatto vari aspetti, tra cui la trasparenza nei confronti dei consumatori e le competenze in materia di protezione della salute.

Radiogiornale delle 7 del 7.12.2025 - San Francisco fa causa a multinazionali alimentari
RSI Info 12.12.2025, 17:31
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Una delle difficoltà che questo tipo di cause implica è però quella di riuscire a dimostrare il nesso di causalità tra il consumo dei prodotti in questione e l’insorgenza della malattia, spiega alla RSI l’esperta in diritto della salute Marie-Hélène Peter-Spiess. Ciò è dovuto al fatto che le malattie non trasmissibili sono quasi sempre causate da molteplici fattori.
In Svizzera strumenti legali diversi
Ma in Svizzera una causa simile sarebbe possibile? Anche se non in egual misura, la ricercatrice indica che in alcuni casi sarebbero ipotizzabili delle vie legali, ad esempio in presenza di violazioni concrete della legislazione alimentare, come nel caso di una caratterizzazione ingannevole (che riguarda quindi aspetti come l’indicazione degli ingredienti, dell’origine, degli allergeni, ecc.). Si tratterebbe di ricorrere al diritto della protezione dei consumatori o addirittura al diritto della concorrenza. Un’altra possibilità, prosegue, potrebbe essere quella di invocare i diritti umani, come il diritto alla salute, in cause contro lo Stato. “In questo caso si tratterebbe di invocare il dovere di protezione dello Stato, come abbiamo visto nei processi sul clima”.
In Svizzera, però, non c’è la possibilità di intentare azioni collettive. Recentemente si è tentato di introdurre questo sistema, con una proposta di modifica del Codice di diritto processuale civile. Le Camere federali hanno però definitivamente affossato il progetto durante la sessione parlamentare autunnale. In alcuni casi, tuttavia, precisa Peter-Spiess, esistono altre vie legali che possono essere intraprese, ad esempio da enti pubblici, organizzazioni o associazioni.
In Svizzera non ci sono precedenti di azioni, come quella intentata a San Francisco, che prendono di mira l’industria alimentare per aver venduto e promosso prodotti ultra-processati e malsani. Ci sono però dei precedenti che coinvolgono produttori di derrate alimentari per pratiche ingannevoli o per questioni di sicurezza alimentare, indica Peter-Spiess. A giugno, il Ministero pubblico del canton Vaud ha condannato Nestlé Waters per aver utilizzato filtri al carbonio negli stabilimenti per la produzione dell’acqua Henniez e aver indotto in errore i consumatori continuando a commercializzare l’acqua come “minerale naturale”.
Un altro esempio è quello dell’ONG Public Eye e dell’International Baby Food Action Network, che hanno presentato alla Segreteria di Stato dell’economia (SECO) una domanda d’azione legale per pratiche sleali nei confronti di Nestlé. Questo per l’aggiunta di zucchero in alimenti per neonati e bambini piccoli in alcuni Paesi.
Riduzione dei rischi, la Svizzera predilige le misure volontarie
Tornando alla questione della salute, “ad oggi in Svizzera non esiste per le aziende alimentari praticamente alcun obbligo legale specifico di ridurre i rischi legati all’obesità, al diabete o ad altre malattie. Questo contrariamente a quanto vale per altri prodotti non salutari come il tabacco e l’alcool”, indica la ricercatrice.
“La Svizzera ha scelto di seguire un approccio non vincolante in questo settore. Le autorità favoriscono i meccanismi di autoregolamentazione e misure volontarie di settore”. Un esempio è la Dichiarazione di Milano: un accordo tra le aziende e il Governo svizzero che prevede di ridurre il contenuto di zucchero in alcuni alimenti e bevande.
Le aziende alimentari hanno una responsabilità morale nei confronti dei consumatori e delle consumatrici
Marie-Hélène Peter-Spiess, esperta in diritto della salute
Non ci sono praticamente obblighi, quindi, ma le imprese sono responsabili della salute delle persone? “A mio avviso le aziende alimentari hanno una responsabilità morale innanzitutto nei confronti dei consumatori e delle consumatrici. Assumersi questa responsabilità può avere un impatto positivo su di loro, in quanto può permettergli di dimostrare il loro impegno per la salute pubblica e la trasparenza, e quindi per la tutela dei consumatori. Penso quindi che dovrebbero essere incoraggiate a commercializzare prodotti che siano il più possibile sani e sostenibili”.
Ultimamente si parla sempre di più di alimentazione sana, legata anche “alle preoccupazioni relative all’aumento dei costi della salute” e molti Paesi hanno alzato la guardia in tal senso. “In questo contesto, credo che la pressione per l’adozione di norme più severe in Svizzera sia destinata ad aumentare”. Non è però così facile: “Gli ostacoli sono molti e, a livello federale, i numerosi tentativi di adottare misure in questo ambito sono finora falliti”.
Pressione maggiore per rendere gli alimenti più sani
“Ci sono anche degli sviluppi. Per esempio si sta discutendo di una possibile regolamentazione del marketing alimentare dei prodotti non salutari destinati ai bambini”. E poi ci sono alcuni Cantoni che stanno facendo da apripista. Un esempio è il postulato presentato nel canton Vaud che propone di analizzare l’opportunità di introdurre una tassa sugli zuccheri aggiunti che servirebbe a finanziare la promozione della salute e la prevenzione delle malattie non trasmissibili attraverso lo sport.
https://rsi.cue.rsi.ch/info/svizzera/Riduzione-dello-zucchero-in-alcuni-prodotti-%C3%A8-sufficiente--3058829.html
Nel caso di San Francisco, la Consumer Brand Association, che rappresenta alcuni dei produttori sotto accusa si è difesa affermando che non esiste una definizione scientifica di prodotti ultra-processati e che i giganti dell’industria alimentare stanno cercando di offrire prodotti più sani.
E la pressione non arriva solo dall’esterno delle aziende: “Nel 2024 alcuni azionisti di Nestlé hanno presentato una risoluzione che chiedeva di impegnarsi ad aumentare la percentuale di prodotti sani venduti”. La proposta è stata però respinta dall’Assemblea generale annuale dell’azienda.
Cibi (quasi) irresistibili
L’essere umano è naturalmente attratto dal “cibo spazzatura”. Entrano infatti in gioco dei meccanismi biologici e psicologici, come spiega il professor Thomas Brunner, esperto in comportamento dei consumatori.
Perché è così difficile resistere al junk food?
“Nel corso dell’evoluzione, gli esseri umani si sono specializzati nella ricerca di cibi ad alto contenuto calorico per sopravvivere. Nella produzione di cibi spazzatura vengono sfruttate queste preferenze e questi prodotti, ricchi di zuccheri, grassi e sale, attivano le vie della ricompensa nel cervello e viene rilasciata dopamina. Questo crea una sensazione di piacere e rinforza il comportamento, in modo simile alle sostanze che creano dipendenza. Inoltre, spesso associamo il cibo spazzatura a esperienze positive, come feste o situazioni dove cerchiamo conforto, creando forti abitudini. E, non da ultimo, la grande disponibilità di junk food fa sì che lo incontriamo frequentemente e sia facile acquistarlo”.
Quanto e come influisce il marketing?
“La pubblicità ripetuta aumenta la familiarità e l’attrattiva percepita. Gli studi mostrano che bambini e adulti esposti alla pubblicità alimentare consumano significativamente più calorie subito dopo. Inoltre questi cibi vengono presentati spesso come parte di uno stile di vita divertente, sociale e desiderabile e altrettante volte associati al relax e all’alleviamento dello stress. In più i marchi noti evocano calore emotivo. Le sponsorizzazioni di celebrità e il marketing degli influencer, poi, sfruttano la nostra tendenza a seguire presunti esperti o persone che ammiriamo. Sono strategie molto efficaci perché aggirano il pensiero razionale e attingono a processi automatici inconsci, specialmente quando le risorse cognitive sono basse come in situazioni di fatica o stress”.Ci sono poi termini come “naturale” o “proteico” che danno un’aura salutare, anche se si tratta di alimenti altamente processati”.
Quali strategie funzionano per poter fare scelte più sane?
“Cambiare consapevolmente i comportamenti richiede molta autodisciplina ed è spesso destinata al fallimento se si è distratti. Ecco perché dovremmo usare anche noi i processi inconsci a nostro favore. È fondamentale rendere le scelte sane più facili e quelle malsane leggermente più difficili. Una strategia può essere quella di riprogettare il nostro ambiente. Per esempio tenendo sul tavolo in bella vista della frutta invece che degli snack ultra-processati. Come pure utilizzare piatti piccoli e snack già divisi in porzioni: questo riduce l’apporto calorico senza ridurre la soddisfazione”.
Le etichette nutrizionali e gli avvertimenti possono modificare il comportamento?
Possono aiutare, ma il loro effetto è limitato e ci si abitua. Una strategia più semplice è acquistare quando possibile prodotti processati al minimo e seguire una dieta equilibrata”.
La responsabilità, per quanto riguarda il cibo che si assume, è più individuale o sistemica?
“Abbiamo tutti una responsabilità. Le persone vogliono condurre vite autodeterminate e devono quindi assumersi anche delle responsabilità. Tuttavia, poiché l’alimentazione malsana porta anche a costi per la società, anche i politici hanno una responsabilità. Il marketing sociale per un’alimentazione sana sarebbe utile. Così come l’integrazione di questi costi nascosti nei prezzi degli alimenti, il che renderebbe questi prodotti altamente processati più costosi rispetto a frutta e verdura”.
Come vede il futuro: più regolamentazione o più “educazione” alimentare?
“Credo che dovremmo utilizzare ogni mezzo a nostra disposizione per migliorare la nostra alimentazione. Questo include anche delle normative. L’educazione nutrizionale è importante, ma da sola non è sufficiente. Dobbiamo rendere il nostro ambiente alimentare più sano, in modo da poter mangiare in modo salutare senza dover compiere uno sforzo consapevole”.










