Svizzera

La Svizzera apre agli USA tra svolta e rischio calcolato

Il prezzo per l’intesa commerciale sui dazi è troppo alto? L’analisi del professor Giovanni Barone Adesi: “Le difficoltà non sono finite”

  • 15 novembre, 16:01
  • 15 novembre, 21:17
Preoccupazioni maggiori derivano dalle politiche statunitensi per abbassare i prezzi dei farmaci e dai massicci investimenti promessi dall'industria farmaceutica agli USA
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Radiogiornale delle 12.30 del 15.11.2025: L’intervista a Giovanni Barone Adesi sull’intesa tra Svizzera e Stati Uniti sui dazi

RSI Info 15.11.2025, 12:30

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Di: Radiogiornale/sdr 

Il giorno dopo l’annuncio dell’intesa tra Stati Uniti e Svizzera sui dazi doganali, il clima nel mondo economico elvetico è di cauto ottimismo. Se da un lato c’è sollievo per aver evitato uno scenario peggiore, dall’altro permane una certa prudenza nel giudizio finale, in quanto diversi aspetti dell’accordo devono ancora essere chiariti e perfezionati.

L’intesa prevede concessioni significative sul fronte elvetico: 200 miliardi di investimenti negli Stati Uniti da parte del settore farmaceutico e di altre industrie, l’abolizione di alcune barriere doganali nel comparto agricolo e una maggiore apertura all’importazione di carne americana. Ciò ha sollevato interrogativi sulla convenienza dell’accordo per la Confederazione.

Per fare luce sulla questione, il Radiogiornale della RSI ha interpellato il professor Giovanni Barone Adesi, docente emerito e già decano della facoltà di economia dell’Università della Svizzera italiana.

Secondo il professore, il prezzo pagato dalla Svizzera - ad oggi - non è eccessivo. “I 200 miliardi di investimenti dell’industria farmaceutica erano in gran parte già programmati e annunciati da tempo”, spiega l’esperto. “Quanto all’agricoltura, è vero che la Svizzera dovrà aprirsi un po’ di più, ma è improbabile che saremo invasi da prodotti americani, considerando le differenze di abitudini, gusti e i costi di trasporto che incidono parecchio”.

L’impatto sul mercato del lavoro USA

Il comunicato statunitense sull’accordo appare trionfalistico, parlando di “accesso senza precedenti” al mercato svizzero e di investimenti elvetici che creeranno “migliaia di posti di lavoro ben retribuiti” negli USA. Ci si chiede se questi investimenti e posti di lavoro mancheranno alla Svizzera, e se l’intesa sia vantaggiosa per le aziende ma non per il Paese nel suo complesso.

Barone Adesi invita a considerare il contesto. “Le aziende svizzere - spiega ancora al Radiogiornale - danno oltre mezzo milione di posti di lavoro negli Stati Uniti, anche perché è difficile trovare in Svizzera e far venire in Svizzera i tecnici che servono per le produzioni più sofisticate: penso a tutti gli ingegneri e chimici indiani e biologi per la farmaceutica. Quindi sono anni che le aziende svizzere sono impegnate in quello. Certamente ci sarà qualcosa di addizionale, ma credo che bisogna sfoltire molto da quei 200 miliardi. E d’altra parte, per sviluppare ulteriormente quelle produzioni in Svizzera servirebbe appunto avere la possibilità di fare venire le persone che ci servono, che spesso sono extraeuropee. Bisogna tener conto anche dei nostri accordi, che danno la preferenza ai cittadini dei Paesi dell’Unione europea ed è inevitabile che quindi le aziende continuino a espandersi fuori. Quello che è l’importante è che riescano a mantenere anche una buona salute dentro la Svizzera”.

Riguardo al timore che questi posti di lavoro creati negli USA possano mancare in Svizzera, il professore rassicura: “Ovviamente vogliamo evitare che diventi un’emorragia tale da influenzare negativamente l’occupazione in Svizzera, ma per ora siamo molto lontani da questo scenario”.

Dazi e franco forte

Un aspetto che preoccupa il professor Barone Adesi è la provvisorietà dell’accordo, che ritiene tuttavia inevitabile. “È certamente un passo molto importante nella giusta direzione e aiuterà i settori svizzeri più colpiti, come la metalmeccanica. Tuttavia, non credo che le nostre difficoltà siano finite”. Sebbene siano stati evitati dazi del 39%, le aziende svizzere devono ancora far fronte a tariffe del 15%, molto superiori a quelle di inizio anno. Inoltre, il franco sempre più forte complica ulteriormente la situazione per l’export elvetico. Il professore ricorda poi lo “scivolone” del dollaro di inizio aprile, che ha avuto ripercussioni su molte valute legate alla moneta americana: “Ci è costato il 12% in due giorni - dice “e un altro calo simile causerebbe danni molto più permanenti e diffusi rispetto ai dazi doganali. Quindi capisco anche che la Banca nazionale deve essere molto prudente nelle sue azioni. Viviamo appunto in tempi complicati” conclude.

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