Dare ai propri figli i nomi che si preferiscono, con i soli limiti dettati dal buonsenso e dalla decenza, dovrebbe essere un diritto incontestato di tutti i genitori. Eppure, non è così dappertutto. C’è la situazione dell’Ungheria, ad esempio, che non è forse conosciutissima, ma che induce senz’altro a molte riflessioni. In questo Paese, membro dell’UE, la libertà di attribuire i nomi ai figli è tutt’altro che assoluta: c’è anzi un libro ufficiale, che stabilisce i circa 4’600 nomi attribuibili a femmine e maschi. Si va da nomi in magiaro di origine giudaico-cristiana come Josef (Giuseppe) e Janos (Giovanni), a nomi tradizionali ungheresi come Árpád ed Előd, mitici capi tribù. L’elenco comprende anche nomi di minoranze dell’Europa centrale (l’Ungheria ne riconosce 13) e poi ancora nomi stranieri. Il libro in questione viene aggiornato ogni mese e, se si vuole scegliere un nome diverso, si può presentare domanda al governo.

Sulla situazione in Ungheria riferisce Alessandro Grimaldi, giornalista freelance basato a Budapest
Ma è lo stesso governo ungherese ad aver “centralizzato da quest’anno la situazione per difendere l’unità e l’identità nazionale”, riferisce a Prima Ora Alessandro Grimaldi, giornalista freelance basato a Budapest: l’obiettivo, spiega, è di evitare casi come quelli legati all’attribuzione di nomi tratti dal ‘Signore degli anelli’ o altri libri non ascrivibili alla tradizione ungherese. Questo però “complica anche spesso la situazione per le coppie miste o per i cittadini non ungheresi, quando vogliono scegliere” per i loro figli nomi di loro gradimento. È quanto ad esempio è accaduto a Marco, italiano residente in Ungheria. Suo figlio Adriano ha oggi due anni e mezzo e quando nacque sorsero anche problemi di registrazione all’anagrafe. Perché in Ungheria “quando un bambino nasce da genitori stranieri”, racconta, “viene registrato provvisoriamente come di cittadinanza ignota”: una stupidaggine, commenta, “perché se entrambi i genitori sono di uno stesso Paese, è chiarissima qual è la sua cittadinanza”. Complicazioni emersero però anche per il nome italiano. Perché i nomi stranieri compresi nell’elenco sono inseriti “con dei criteri completamente arbitrari”. Risultato: dopo un confronto teso e infruttuoso con un ufficiale dell’anagrafe, Marco si trovò costretto a rivolgersi al consolato italiano per ottenere un certificato del tutto superfluo ma volto ad attestare che il figlio “è un cittadino italiano e il suo nome, Adriano, è italiano”.
Una vicenda certamente singolare e rappresentativa di una situazione ben diversa da quella elvetica. In Svizzera “diciamo che siamo piuttosto liberali”, rileva Dunja Valsesia, responsabile in Ticino dell’Ufficio dello stato civile: i genitori hanno insomma “ampia scelta” e “l’unica asticella” è data dal “preservare la tutela della dignità del bambino”: si tratta in sostanza di evitare che abbia un nome “che possa compromettere il suo sviluppo della personalità, che lo esponga al ridicolo” e che risulti denigrante. Concretamente, in presenza di un nome un po’ problematico scelto dai genitori, si incontra la famiglia e se ne discute. In altri cantoni l’ufficiale di stato civile può arrivare a emettere una decisione negativa, che può essere impugnata. “Noi fortunatamente riusciamo a parlare coi genitori, che spesso capiscono le argomentazioni”, spiega la capo ufficio: “ci avviciniamo un po’ anche al loro desiderio di dare un tocco di unicità al figlio” o di rendere “una caratteristica emotiva della coppia”.

Dunja Valsesia è responsabile dell'Ufficio dello stato civile del canton Ticino
Poi magari, comprendendo che un certo nome potrebbe essere male interpretato, i genitori “per non esporre il bambino a difficoltà, mettono appunto” il nome “come seconda o terza scelta”. Ma allora, come si procederebbe se una coppia volesse chiamare il figlio Gandalf, come il personaggio dei romanzi di Tolkien? “Probabilmente”, si cercherebbe “di discutere coi genitori”, per vedere di “metterlo come secondo, terzo nome”, ma “non partiremmo a proibirlo”. Si tratta insomma di sentire le argomentazioni, capire se una figura sia positiva o negativa. E poi spesso si parla “con i genitori e si trova anche un accordo”. Ad ogni modo sono davvero pochi in Ticino gli incontri allestiti per queste eventualità: per lo scorso anno li “contiamo su due mani”, precisa Valsesia. Quanto poi agli stranieri in Svizzera, che intendono dare ai figli dei nomi pertinenti alle loro nazionalità, “non ci sono problemi, a meno che” un nome “abbia un’assonanza lesiva in italiano”. In Romandia, spiega, si poneva un po’ il problema del nome arabo Sadiq, che per evidenti assonanze “in francese non suona molto bene”. Anche in quei casi però spesso si discute con i genitori che “poi comprendono” e magari mettono questo nome “come seconda opzione”.
Che succede, infine, in presenza di nomi che hanno una chiara connotazione negativa, come Lucifero o Satana, ma che malgrado questo sono ugualmente scelti dai genitori? Qui, l’esclusione è chiara. “Prima cominceremmo a parlarne” coi genitori e poi nel caso di una “determinazione a voler mantenere questo nome, saremmo predisposti” a dare “una decisione negativa”. E “credo che anche un giudice probabilmente la sosterrebbe”, conclude la responsabile dell’Ufficio dello stato civile.