“La società civile si muove, adesso speriamo si muovano anche le nostre autorità”. È questa l’essenza del messaggio di chi ha deciso di fare qualcosa per chiedere un’azione concreta a Berna nel condannare la tragedia di Gaza. A Falò abbiamo raccolto le voci di cittadini comuni, medici o ex diplomatici che, in un modo o nell’altro, si sono mobilitati:
Manifestazioni di piazza, appelli, lettere aperte, denunce e petizioni. La protesta contro la presunta inazione delle nostre autorità ha assunto diverse forme.
“È tardi, ma meglio tardi che mai”, dice Maria Sole. È uno dei motori del Gruppo 24 maggio, all’origine di diverse manifestazioni a sostegno della popolazione civile di Gaza, l’ultima delle quali il 19 settembre scorso a Bellinzona.
“È inconcepibile che nel 2025 centinaia di migliaia di civili vengano bombardati, gli ospedali bombardati, i giornalisti uccisi, la fame usata come arma di guerra, le deportazioni forzate, tutto questo ci viene propinato quotidianamente ai telegiornali. Tutti lo vediamo, tutti lo sappiamo, come possiamo rimanere senza far niente davanti a una cosa così terribile?”, si chiede la donna.
Sciopero della fame
Da una piazza all’altra. A Berna, sulla piazza federale, durante l’ultima sessione delle Camere federali, hanno manifestato medici ed operatori sanitari.
A pochi passi dal Parlamento, hanno messo in scena uno sciopero della fame a rotazione, anche in questo caso, per chiedere misure concrete della Confederazione a condanna di Israele.
“Mio padre fu un rifugiato ebreo in Ticino durante la seconda guerra mondiale, quindi ho questo debito di riconoscenza. Amici israeliani, cugini israeliani, mi dicono che l’unica cosa che avrebbe un impatto sul loro paese sono delle sanzioni. Le semplici condanne verbali o gli appelli al rispetto del diritto internazionale non servono a niente”, rileva Pietro Majno-Hurst, professore e chirurgo, in prima fila durante l’azione.
“No” del parlamento
Pochi giorni prima, era l’11 settembre, il Consiglio nazionale si era espresso su due mozioni che chiedevano proprio delle misure concrete. Sanzioni contro i coloni israeliani violenti, stop all’accordo di libero scambio AELS-Israele, fine di qualsiasi collaborazione in ambito militare.
Le mozioni erano state seccamente bocciate dalla camera del popolo. La sinistra le ha sostenute, la destra e il centro (con un paio di eccezioni parziali, tra queste il deputato ticinese Giorgio Fonio) no.
“Non capisco come questi partiti non si rendano conto di quanto sia importante difendere il rispetto del diritto internazionale e smettere ogni tipo di collaborazione con Israele”, commenta Nicolas Walder (Verdi/GE), all’origine di una delle mozioni. “Vi è in corso un genocidio, non possiamo essere complici di questo genocidio”.
“Le richieste delle mozioni sarebbero sfociate in atti pratici praticamente nulli”, ribatte Laurent Wehrli (PLR/VD), sottolineando come la Svizzera abbia comunque già compiuto dei passi concreti. “Tutte le esportazioni di beni militari verso Israele sono bloccate, ma noi non le chiamiamo sanzioni, semplicemente applichiamo la legge sull’esportazioni di armi. Il risultato finale è però lo stesso”.
Incomprensione
“I valori che difendiamo non sono di destra o di sinistra, sono valori universali, la difesa della vita, il rispetto delle leggi, la protezione dei civili, è qualcosa di compatibile con il nostro mestiere di medici”, commenta amaro il professor Majno-Hurst, che dice di non capire le divisioni della politica su questo tema.
Nel mirino delle critiche di chi ha deciso di mobilitarsi, anche il Dipartimento federale degli affari esteri ed il suo capo, il consigliere federale Ignazio Cassis.
In particolare, stupiscono le lettere pubbliche spedite da una settantina di ex diplomatici. Tra di loro, l’ambasciatore Jean-Hubert Lebet, che non le manda certo a dire: “È scioccante constatare come Berna, il consigliere federale Cassis in particolare, abbia più volte ripreso esattamente la narrativa del primo ministro israeliano Netanyahu”, dice Lebet. “È tragico e triste, veramente quando ne parlo con voi adesso mi viene la nausea. Non è il Dipartimento degli affari esteri che ho conosciuto”.