Sayed è afghano, ha 22 anni ed è arrivato in Svizzera come minore non accompagnato quando aveva 12 anni. Oggi lavora come imbianchino ed è economicamente indipendente. La sua storia evidenzia le sfide e le opportunità dell’integrazione dei giovani migranti nel nostro Paese.
“È un po’ come rinascere”, spiega Sayed ai microfoni del Quotidiano. “Devi imparare tutto: la lingua, come comportarti, come integrarti nella società”. Il suo percorso, iniziato a Chiasso e proseguito attraverso varie strutture di accoglienza, sottolinea l’importanza di costruire una rete di relazioni, anche sul territorio, al di fuori delle strutture.
L’associazione Mendrisiotto Regione Aperta lavora proprio su questo fronte. Nata due anni fa, collabora con il Centro federale di Pasture per migliorare le condizioni dei richiedenti asilo .“Gestire persone obbligate a restare inattive è impossibile”, afferma ai microfoni del Quotidiano Willy Lubrini dell’associazione. “L’isolamento sociale produce malattia”. Per questo, l’organizzazione propone attività ricreative, passeggiate e iniziative per far conoscere il territorio. Tra i progetti, una rubrica radiofonica settimanale e la possibilità per i bambini del centro di frequentare le scuole locali. L’obiettivo è “umanizzare” queste strutture, un po’ come è stato fatto in passato per l’ex ospedale psichiatrico di Mendrisio.
DALLA TV - La difficile testimonianza di Isabel Lunkembisa a Prima Ora:
Minorenni non accompagnati
Prima Ora 09.09.2025, 18:00
Il problema della marginalità geografica
La marginalità geografica resta un problema anche per i minori accolti dalla Croce Rossa a Cadro e a Bombinasco. Sayed critica lo spostamento del centro da Paradiso a Cadro: “Così diventa molto più difficile fare integrazione. Non possiamo integrarci solo all’interno della Croce Rossa, le cose più importanti e la vita vera sono all’esterno. A Paradiso, usciti dalla struttura si entrava subito in contatto con la società e si incontravano le persone all’esterno e così integrarsi e capire il luogo diventa più facile”.
Il giovane afghano ricorda come, quando viveva a Paradiso, poteva anche facilmente raggiungere Lugano per giocare a calcio con altri ragazzi al Parco Tassino. Ora, da Cadro, questo non è più possibile, anche perché “ci metterebbero un’ora ad arrivare qui e così tutto diventa più difficile, anche perché se poi non ti integri correttamente quando rimani solo, senza più educatrici ed educatori che ti aiutano, diventa tutto più complicato”.
Debora Banchini (Croce Rossa): “Le ubicazioni dei foyer non le decidiamo noi”
Presente in studio in diretta al Quotidiano, sul tema si è espressa anche la direttrice della Croce Rossa Ticino Debora Banchini, che ha innanzitutto sottolineato come i luoghi dove vengono aperti i foyer non sono decisi dall’organizzazione. “Abbiamo un mandato cantonale e dove ci viene detto di andare, noi interveniamo”.
Quanto emerso dall’esperienza di Sayed viene poi sottolineato anche da Banchini: “Il lavoro di integrazione è importantissimo, come accompagnare i ragazzi, insegnargli a muoversi con i mezzi pubblici e a vivere il territorio con le attività sportive e aggregative, proprio anche perché non tutti si trovano vicino al centro di Lugano o di altre città. Noi li sproniamo a fare queste attività e se necessario li accompagniamo anche con i nostri furgoni. Il foyer è casa e luogo di accoglienza, ma è importante uscire e incontrare i ragazzi del territorio. Insomma, l’obbiettivo è avere una vita normale da ragazzi, da adolescenti”.