Salari al ribasso, flessibilità invasiva, crescita sbilanciata dell'occupazione, protezione inadeguata, abusi e cultura imprenditoriale distorta sono solo alcuni dei termini usati per caratterizzare la situazione di degrado in cui vige il mondo del lavoro ticinese.
È vero, l'aumento dell'occupazione c'è stato (in 13 anni si è passati da 188'000 a 231'000 unità), ma la crescita è stata quasi esclusivamente assorbita da frontalieri e stranieri residenti. L'OCST, autrice dell'analisi, ritiene che le cause dei solchi profondi nel tessuto economico cantonale non siano da attribuire totalmente alla libera circolazione, ma piuttosto a una protezione legislativa superata e alla mancata generalizzazione dei contratti collettivi di lavoro.
Meinrado Robbiani, segretario cantonale dell'organizzazione, ritiene che il cantone debba rafforzare ulteriormente la sua politica dell'impiego e denuncia un deterioramento del padronato: "Sono arrivate molte aziende dall'estero che hanno cercato di abbinare i vantaggi di essere in Ticino con il mantenimento di condizioni di lavoro di tipo lombardo. Questo meccanismo scardina quelle che sono le regole del nostro territorio".
L'insieme di queste situazioni al limite della legalità non colpisce solo i lavoratori, ma lo stesso tessuto imprenditoriale locale.
CSI/CaL