Monopolio, Stati Uniti fanno causa a Google
I danni causati "sono chiari: i creatori di siti guadagnano meno e gli inserzionisti pagano di più". L'azienda, che offre servizi online, respinge le accuse
Il Dipartimento di giustizia e otto Stati degli USA hanno fatto causa a Google per la pubblicità online, accusando la società di Mountain View (California) di monopolio illegale sul mercato.
È la seconda causa in poco più di due anni e la quinta dal 2020; ciò conferma la volontà politica di controllare il potere esercitato dalla "Big Tech" sull'informazione e sul commercio digitale. Per l'amministrazione del presidente Joe Biden la causa è un test importante, rappresenta il primo banco di prova per Jonathan Kanter, il critico della "Big Tech" responsabile della divisione sul rispetto della concorrenza del Dipartimento di giustizia.
Nell'azione legale Google è accusata di essere impegnata in una "sistematica campagna" per mettere le mani e mantenere il controllo sugli strumenti hi tech che gli inserzionisti usano per l'acquisto e la vendita della pubblicità digitale. Essendosi infiltrata "in tutti gli aspetti della pubblicità online", Google ha usato strumenti "anti-concorrenziali" per eliminare o sminuire ogni minaccia al "suo dominio della tecnologie per la pubblicità digitale", si legge nella documentazione - in tutto oltre 150 pagine - depositati in tribunale.
Nella causa si chiede lo spezzatino di Google, con la separazione e la vendita dei prodotti tecnologici per gli spot online. I danni causati da Google sono "chiari": i creatori di siti guadagnano meno e gli inserzionisti pagano di più rispetto a quanto farebbero in un mercato in cui le pressioni competitive disciplinerebbero i prezzi e porterebbero a maggiore innovazione.
Google respinge le accuse, secondo il colosso basate su un'argomentazione "sbagliata" che potrebbe rallentare l'innovazione, aumentare le commissioni sulla pubblicità e rendere più difficile per migliaia di piccole imprese crescere.
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