The Magnetic Fields (con l’articolo davanti, come si usava fino a metà degli anni Sessanta) è il veicolo della produzione di un singolo autore, cantante, polistrumentista e produttore, Stephin (sic!) Merritt. Ma è un vero gruppo, con componenti più o meno stabili (soprattutto Claudia Gonson, vocalist, pianista, batterista, manager), arrivato – in circa trent’anni – al dodicesimo album. Il nome, ispirato da un romanzo di André Breton e Philippe Soupault, tradisce aspirazioni avanguardistiche, mentre i titoli di molti album e delle canzoni ivi contenute suggeriscono una goliardia sbarazzina, tuttavia intrecciata con intenti artistici “seri”. E dunque, questa raccolta di micro-canzoni tutte largamente al di sotto dei tre minuti, e spesso di due, si intitola Quickies, “sveltine”. È un filone, forse un micro-genere, che attraversa la musica popular angloamericana, e che ha come punti di riferimento (pur molto diversi tra loro) i Residents, They Might Be Giants, gli XTC, Robyn Hitchcock e altri autori di aforismi pop pungenti, mai banali.
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