Elogio dell’ignoranza e dell’errore, di Gianrico Carofiglio, sono ottanta pagine che invitano a fermarsi. Per quelle ottanta pagine, non di più. Anzi, prima rallentare, poi fermarsi, leggere e riflettere su un insegnamento prezioso: sbagliare è sano. E pure utile. Addirittura vitale. L’insegnamento non è suo, di Gianrico Carofiglio; lui da intellettuale e attento osservatore dell’oggi lo ha solo sottolineato e portato nell’attualità, nei tempi che corrono, in senso figurativo ma anche no. Tempi che sfrecciano, che filano via e chiedono risultati, performance, produttività, reddito. Termini e obiettivi che non contemplano il tempo dell’errore, dello sbagliarsi, da cui l’inevitabile stop e ritorno al punto di partenza. Dietro a una lingua morta ci facciamo belli dell’errare humanum est, ma poi da vivi non concediamo inciampi, passi falsi e ginocchia sbucciate. Giudici del risultato, ci siamo scordati di analizzare il percorso: un secco hai sbagliato! invece di un accogliente perché, dove e come hai sbagliato?
Chiaro, molto sta nelle intenzioni e nel moto. Per essere utile, fecondo, l’errore dev’essere in movimento: sbaglio, torno indietro e riprovo. Se è sul posto, cocciuto, allora siamo d’accordo che non può che scavare una fossa, uno status quo d’ignoranza stagnante che al latino ritorna: perseverare diabolicum. L’errore e l’ignoranza sono il mezzo di trasporto e la mappa del viaggio chiamato conoscenza: so di non sapere e provo a capire, per conoscere.
Elogio dell’ignoranza e dell’errore è un libro sulla misura. Sul senso (sia inteso come moto a luogo, sia inteso come significato) di come ci muoviamo, o dovremmo muoverci. Un libro che riposiziona, che cerca di rimettere in sesto la bussola. Senza allarmi e senza prediche, con un linguaggio pacato, sorridendo pure, estremamente chiaro e pure in ottima compagnia. Con Gianrico ci sono infatti Charlie, Albert, Roger, Alexander (Chaplin, Einstein, Federer, Fleming). Gente che con una risata, un’equazione, un rovescio o un’analisi, ma soprattutto con un errore, ha scritto pagine di storia.
Ho vinto circa l’ottanta per cento delle partite, ma solo il cinquantaquattro per cento dei punti
Roger Federer
La conoscenza, appunto. La trasmissione del sapere che fino a prova contraria avviene tra chi sa e chi (ancora) no. Maestri da osservare, ascoltare e poi provare a imitare, ripetere. L’apprendimento però, quello che lascia il solco, quello che resta e che forma, si attiva quando il confronto non è più con il maestro, con l’esempio, ma con il reale. Con la materia, comunque la si voglia interpretare. E su cui ognuno, a seconda della propria forma, consistenza e attività sinaptiche rimbalza, si adagia, trova il pertugio per infilarsi nell’apprendimento. È l’imprevedibile a mettere alla prova la nozione, a testarla. A renderla pronta e capace, conosciuta. E il percorso, prima per imitazione poi per comprensione, non può che essere disseminato di prove, tentativi e errori; quelli che renderanno solido e comprovato l’approdo. Il punto di partenza? La consapevolezza di “non sapere”, seguita a ruota dal desiderio di colmare quel vuoto. Quindi, di nuovo, il mettersi in marcia. Il vero esperto, racconta Carofiglio tra le sue pagine intelligenti ed educate, è capace di riconoscere i propri limiti, i confini della propria esperienza, di dire ed ammettere quel “non so”. E attenzione che una delle prime cose che si imparano è proprio questa: quante cose non sappiamo. E occhio che più ne conosceremo più ci renderemo conto di non saperne. Se la conoscenza è un’isola e l’ignoto l’oceano - spiega Carofiglio - più si ingrandirà l’isola e più saranno lunghe le coste in contatto con l’oceano.
Un insegnamento, antico e marziale, lo portano il jujitsu, l’aikidō o il sumo: qual è la prima cosa da imparare per combattere? Cadere. Perché mai? Perché cadere, in un combattimento, in una sfida, è e sarà inevitabile (Federer docet). A fare la differenza sarà dunque la capacità di rimettersi in piedi, in fretta. E non solo: saper cadere significa anche farsi meno male, cadendo. Imparare a farlo e poi a rialzarsi sviluppa le capacità di affrontare le difficoltà. E non basta ancora. Imparare a cadere è fondamentale per smettere di averne paura; dell’inciampo, della caduta, della “sconfitta”. Più invece si ha paura di cadere - traduce Carofiglio - più ci si impegna a evitare di cadere e dunque si diventa più vulnerabili.
Ogni volta che durante il combattimento Anteo veniva gettato a terra, il contatto con sua madre, la Terra, gli restituiva forza e vigore, rendendolo a ogni caduta più potente e capace di combattere.
Tra i tanti che hanno fatto di un errore, una caduta o un’imperfezione la loro genesi, Carofiglio ricorda la storia di Dick Fosbury, un ragazzo dell’Oregon che nonostante fisico e doti atletiche continuassero a consigliargli altro, s’intestardì con il salto in alto. I risultati? Ai limiti dell’imbarazzante. Con la tecnica usata da tutti negli anni Sessanta, schiena all’aria, Dick a stento decollava, per poi precipitare abbracciato all’asticella. Fino a quando decise di voltarsi, pancia in su. Una tecnica tutta sua che fece ridere colleghi e commentatori, che non a caso la ribattezzarono immediatamente Fosbury flop. Ma lui, cocciuto, ascoltando il suo corpo, i suoi fianchi e quella curva opposta a come girava il mondo, voltandosi letteralmente dall’altra parte e mettendo quel mondo pancia all’aria, non mollò. E il 19 ottobre 1968, volando a 2 metri e 24, Dick Fosbury riscrisse il record mondiale dello sport che non sembrava fatto per lui, mettendosi al collo la medaglia d’oro delle Olimpiadi di Città del Messico. Poi, insegnamento su insegnamento, di lì a breve quel ragazzone che aveva fatto di testa e pancia sue, decise di lasciare. Perché? Perché aveva bene in chiaro che quando i più dotati avrebbero imparato quella tecnica lo avrebbero facilmente superato. E così fu.
Elogio dell’ignoranza e dell’errore è tutto qui. In una serie di riflessioni lente e storie reali, pensiero e esempi. Il libro di Carofiglio, un ex magistrato che ha iniziato a scrivere dopo una “sconfitta” professionale, arrivando a vendere 6 milioni di copie tradotte in 28 lingue, è una proposta. Quella di ripensarci su, di prendersi il tempo e riconsiderare alcune definizioni. Tipo che l’ignoranza sia una brutta bestia. Dipende… a volte, si dice anche questo, può essere beata.
https://rsi.cue.rsi.ch/rete-due/programmi/cultura/in-altre-parole/Gianrico-Carofiglio--2435302.html