Storia territoriale

La frontiera dell’anima: il mondo di Carlo Banfi

Nei suoi libri, il maestro-scrittore racconta la vita autentica delle valli di frontiera e il valore della memoria, della natura e dell’insegnamento

  • Oggi, 12:00
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Di: Millevoci/Michela Daghini/Camel 

Carlo Banfi ha alle spalle una lunga carriera nel mondo della scuola, dove ha insegnato storia e letteratura italiana con passione e profondità, trasmettendo ai suoi studenti non solo conoscenze ma un modo di guardare alla vita: con curiosità, rispetto e meraviglia.

È anche autore, e nei suoi libri porta il vissuto di chi ha saputo ascoltare e osservare, trasformando la memoria in racconto.
Conosce bene il territorio del Verbano, le sue valli, i borghi del Canton Ticino e dell’alto Varesotto: luoghi che ha attraversato e amato, e che ha scelto di raccontare dando voce a chi spesso resta ai margini.

Nel suo ultimo libro, Lo svizzero del Canton TI (Giuliano Ladolfi Editore), Banfi ci conduce nel cuore delle valli di confine, tra sentieri di montagna, memorie contadine e solidarietà.

Lo svizzero del Canton TI di Carlo Banfi

Lo svizzero del Canton TI di Carlo Banfi

Al centro della narrazione c’è Giancarlo Galli, detto “il Maggi”, ex doganiere ticinese, figura reale e simbolica insieme: fondatore del Rifugio Animali Felici di Brissago-Valtravaglia, dove da anni si dedica al soccorso di animali feriti o abbandonati. «Partiva di notte per salvare una volpe o un gatto», racconta Banfi. «Aveva un amore sconfinato per la natura. Diceva che gli animali ricompensano sempre, mentre l’uomo no. E in effetti viveva in una sorta di simbiosi con loro».

Banfi, originario di Saronno, ha trovato nel piccolo comune in provincia di Varese quello che definisce “un piccolo paradiso”. A Brissago-Valtravaglia ha riscoperto infatti la semplicità della vita rurale, la bellezza del lavoro della terra, il ritmo lento delle stagioni. «Dopo una vita nelle scuole di città, tornare alla terra è stato come tornare a respirare», spiega. «Mi vengono in mente figure come Costantino, un ucraino che coltiva quintali di patate come si faceva un tempo». Il boom economico ha poi spazzato via tutto, ma ritrovare quella semplicità è stato per lui ritrovare se stesso.

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Nelle pagine del libro si intrecciano storie vere e memoria storica: gli spalloni e i contrabbandieri delle valli, i rifugiati ebrei che cercavano la salvezza oltre confine, uomini e donne che vissero il confine non come limite ma come soglia di sopravvivenza. Banfi ricorda in particolare la storia di Goti Bauer, nata nel 1924 in quella che allora era la Cecoslovacchia, che tentò di rifugiarsi in Svizzera ma fu tradita dai passatori a Cremenaga, e poi deportata; al suo ritorno testimoniò davanti al tribunale di Varese, svelando per la prima volta l’orrore dei campi di sterminio e denunciò i passatori che l’avevano rinnegata.

Tra le vicende rievocate, anche quella dei ragazzi ebrei di Villa Emma a Nonantola, salvati grazie a una rete di aiuti clandestini, e il coraggio di figure come don Folle, detto il prete rosso, e l’organizzazione di resistenza ebraica Delasem. Non manca un omaggio a Gino Bartali, che trasportava documenti falsi nascosti nella bicicletta per permettere agli ebrei di fuggire. Un libro che parla dunque di dignità, di uomini che, pur nella povertà o nel pericolo, non hanno mai tradito.

Accanto alla memoria storica e civile, l’autore intreccia una dimensione poetica che trova il suo fulcro nella figura di Oniria, “la donna del sogno”: simbolo della figura femminile ispirato alla grande poesia italiana, da D’Annunzio a Sereni, da Montale a Ungaretti. «Oniria è la forza che sorregge, l’ancora di salvezza», spiega Banfi. È la donna che tiene l’uomo sospeso tra nuvole e baratri, la sua parte luminosa. La speranza che resiste dentro di noi.

Camminatore instancabile, Banfi raccoglie storie lungo i sentieri del lago di Lugano o tra le valli del Varesotto. «Ogni incontro è un frammento di memoria. Una volta, durante una passeggiata tra Castagnola e Gandria, una donna mi raccontò di suo padre che attraversava il lago in barca per lavorare nei campi e aiutava i rifugiati politici a fuggire. Queste sono le storie che danno senso alla scrittura».

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Nel corso degli anni, Banfi ha lasciato un segno profondo anche come insegnante. Molti dei suoi ex allievi lo ricordano come un “professore che ti cambia la vita”. Uno di loro, Davide Riva, oggi giornalista RSI, racconta: «Era il nostro professor Keating (cit. da L’attimo fuggente, diretto da Peter Weir,  1989), quello reale. Ci ha insegnato che studiare non basta: bisogna innamorarsi della letteratura, delle parole, della vita stessa. Ricordo una frase dannunziana che ci fece scoprire: “Mordere la vita con bianchi e saldi denti voraci”. Me la porto dietro ancora oggi».

Riva ricorda le lezioni come vere e proprie avventure, gli incontri a casa del professore, le discussioni su Montale e Ungaretti, il senso di appartenenza che nasceva dal condividere la ricerca del significato. «La grandezza di un insegnante sta nel saper ispirare», dice. «Lui ci ha insegnato a vedere le qualità degli altri e a lasciarli crescere. Non è insegnare, è ispirare». E Banfi, con la sua abituale modestia, commenta: «Ha esagerato un po’, ma mi piace. Anche loro mi hanno dato molto. [...] Io ho seminato, e loro continuano».

Nelle sue parole si ritrova la stessa etica che attraversa il libro: una fiducia profonda nella semplicità, nella solidarietà, nella capacità dell’uomo di rinascere nonostante tutto. E tra le riflessioni che emergono dal suo pensiero, ritorna spesso l’immagine della “Ginestra” leopardiana: «Umile ma capace di rifiorire anche sulla lava solidificata», simbolo di una resistenza silenziosa ma tenace. «L’uomo è come quella ginestra», dice Banfi, «che pur soccombendo al vulcano, rifiorisce e manda profumo. La speranza è questa: che il sogno resti vivo, che si continui a credere nell’umanità, nella fratellanza, nel rispetto per la terra che ci sostiene».

La voce di Carlo Banfi unisce poesia e memoria, radicamento e leggerezza. Una voce che continua a vibrare tra libri, valli, montagne e ricordi, riflettendo la vita e la storia di un insegnante che ha saputo lasciare il segno e che oggi, con la stessa modestia che lo ha sempre contraddistinto, si augura soltanto che «il messaggio giri così, tra i semplici».

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Lo svizzero del Canton TI di Carlo Banfi

Carlo Banfi e Lo svizzero del Canton TI

Millevoci 03.11.2025, 11:05

  • Michela Daghini

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