Altri sport

Doping di Stato, così barava la Russia

Alcuni clamorosi passaggi del rapporto McLaren

  • 21 luglio 2016, 21:50
  • 7 giugno 2023, 21:45
Una postazione di prelievo a Sochi

Una postazione di prelievo a Sochi

  • Keystone

Alla base dell'esclusione della Russia dai Giochi Olimpici di Rio 2016 e probabilmente da altre future competizioni vi sono le conclusioni dell'inchiesta indipendente voluta dall'Agenzia Mondiale Antidoping (WADA), contenute nel cosiddetto rapporto McLaren. L'inchiesta ha avuto inizio dopo le accuse del dottor Grigory Rodchenkov, che denunciava la corruzione del laboratorio antidoping utilizzato durante i Giochi Olimpici invernali di Sochi 2014, ma ha anche scoperto che lo stesso sistema era in atto nel laboratorio di Mosca, accreditato dalla WADA e ora sospeso.

Il coinvolgimento dello Stato

Il rapporto ha provato un vero e proprio programma di doping e truffa all'antidoping organizzato a livello statale. In particolare il meccanismo era guidato dal Ministero dello sport, dall'Agenzia antidoping russa (RUSADA) e dai Servizi segreti russi (FSB) ed è stato messo in atto solo dopo che tutte le precauzioni per promuovere l'uso segreto di sostanze dopanti agli atleti russi si erano rilevate inefficaci. Era addirittura il viceministro dello sport russo Yuri Nagornykh a decidere quali test positivi dovessero essere nascosti. In pratica se gli atleti erano medagliati o possibili medagliati venivano protetti, mentre se erano di secondo piano le analisi dei loro campioni proseguivano seguendo le procedure corrette. Prima di Sochi 2014, 37 atleti russi sono stati inseriti in una lista protetta.

Le provette con segni di manipolazione

L'inchiesta ha appurato come le provette dei prelievi siano state aperte dai Servizi segreti russi durante Sochi 2014 e a dicembre dello stesso anno quando la WADA voleva spostare i campioni da Mosca per ulteriori analisi. Lo stesso sistema era stato utiizzato durante i Mondiali di atletica del 2013. Il responsabile della manipolazione dei campioni era Evgeny Blokhin dell'FSB, accreditato al laboratorio come addetto alle fognature e agli impianti idraulici.

Il coinvolgimento del Comitato olimpico russo

La figura che coordinava l'attività di manipolazione era Irina Rodionova, membro del Comitato olimpico russo, inserita nello staff di Sochi 2014 e in seguito promossa direttrice del Centro nazionale di preparazione sportiva. La Rodionova ha continuato nelle sue pratiche anche nel 2015, mentre era in corso l'inchiesta della WADA, nonostante il ministro dello sport volesse chiudere il programma per la paura di essere smascherati.

Moltissimi campioni manipolati

L'inchiesta ha provato che nel periodo 2012-2015 ben 643 campioni positivi sono stati occultati e che questi rappresentano una minima parte del totale, vista la difficoltà di accesso alle informazioni in Russia. Di questi campioni 139 riguardavano l'atletica, 117 il sollevamento pesi, 35 atleti paralimpici, 26 ciclisti, 24 pattinatori, 18 nuotatori, 14 giocatori di hockey, 11 calciatori, nonché sportivi di molte altre discipline.

Un trucco semplice

Nel rapporto si spiega che una volta aperti i campioni, in essi veniva inserita urina pulita. Alcune volte addirittura il DNA rilevato non corrispondeva con quello dell'atleta controllato. A Sochi agli atleti era stato chiesto di fotografare i campioni a loro prelevati, così da facilitarne il riconoscimento. Nel laboratorio antidoping dei Giochi era stato praticato un foro nel muro della stanza dove venivano depositati i campioni A e B da analizzare, attraverso il quale le provette venivano prelevate da Evgeny Blokhin per la sostituzione del contenuto.

Il servizio sul doping di Stato in Russia (Telegiornale 21.07.2016, 20h00)

RSI Altri sport 21.07.2016, 21:20

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