Albert Einstein con lo sguardo placido e un po’ malinconico. Winston Churchill ritratto di spalle, insieme al suo cane Rufus. Giorgio de Chirico e sua moglie Isabella Far seduti sul divano. Marilyn Monroe intenta a mangiare un hamburger o a fare sollevamento pesi. Alfred Hitchcock che legge il giornale in compagnia del suo cagnetto. Il Factory Group al completo in posa posa attorno ad Andy Warhol. Salvador Dalí in una moltitudine di situazioni e fogge… La lista potrebbe continuare ancora per molto. Guardare gli scatti realizzati da Philippe Halsman nel corso della sua quarantennale carriera è un po’ come ripercorrere la storia e la cultura del Novecento, e al tempo stesso sfogliare l’album fotografico di una grande eterogenea famiglia. Maestro indiscusso della fotografia di ritratto, Halsman sapeva coniugare in modo unico e straordinario innovazione tecnica e sensibilità, leggerezza e profondità, accuratezza e spontaneità. Molte delle sue immagini nascevano da “lampi di genio”, come sottolinea anche la bella retrospettiva in corso a Palazzo Reale a Milano fino al 1 settembre, realizzata in collaborazione con il Philippe Halsman Archive di New York e intitolata, appunto, “Philippe Halsman. Lampo di genio”.
L’esistenza di questo talentuoso fotografo fu segnata da alcune sfortunate vicende, da importanti sfide e colpi di scena che ne plasmarono anche il percorso professionale. Nato a Riga, in Lettonia, nel 1906, da una famiglia ebraica della media borghesia, Philippe Halsman scopre la fotografia quasi per caso in giovanissima età, come lui stesso racconta: «Contrassi il virus della fotografia all’età di quindici anni, quando scovai in soffitta un vecchio banco ottico. Mio padre l’aveva comprato per usarlo nel tempo libero, ma alla fine l’aveva messo via. Con i soldi della paghetta acquistai un libro che mi spiegò che avrei dovuto procurarmi delle lastre di vetro, visto che all’epoca in Europa non si usava la pellicola. Ne comprai una decina e fotografai mia sorella accanto a una finestra. Sviluppai la prima lastra nel nostro bagno illuminato da una lampadina rossa e fu uno dei momenti più magici della mia vita. Nel fioco chiarore rossastro osservai sbalordito il miracolo: la graduale apparizione, sulla superficie opalescente della lastra, dei contorni scuri che formavano la mia prima immagine fotografica».

Il regista Alfred Hitchcock sul set del film Gli uccelli, 1962
Il giovane Halsman continua a coltivare la sua nuova passione ritraendo amici e familiari. In modo embrionale e del tutto naturale, nei suoi primi scatti inizia a manifestarsi quell’attenzione per i visi umani e per il carattere delle persone che sarà il tratto distintivo della sua futura carriera. «Questa attrazione per il volto umano non mi ha mai abbandonato. Ogni viso sembra nascondere – e talvolta rivelare fugacemente – il mistero di un altro essere umano. In seguito, catturare questa rivelazione divenne lo scopo e la passione della mia vita».

L’attrice Brigitte Bardot, 1955
Nell’estate del 1928, mentre si trova in vacanza con la famiglia nel Tirolo austriaco, nei pressi di Innsbruck, Halsman viene accusato ingiustamente della morte del padre, precipitato in un dirupo durante un’escursione. Nel rapido processo-farsa e nella condanna che ne consegue si possono scorgere le prime avvisaglie di quel feroce antisemitismo e del nazionalsocialismo che di lì a poco sconvolgeranno l’Europa. Il caso di Halsman attira l’attenzione dei media e di diversi intellettuali e scienziati, come Albert Einstein e Thomas Mann, che difendono la sua innocenza e si mobilitano per la sua scarcerazione. Dopo due anni di prigione, il giovane è finalmente libero. Provato nel fisico e nello spirito, nel 1930 Halsman raggiunge il resto della famiglia a Parigi e inizia una nuova fase della sua vita.

L’attrice Elizabeth Taylor in posa per la copertina di Life, Stati Uniti, 1948
È nella capitale francese, animata da un travolgente fermento artistico e culturale, che Halsman decide di interrompere gli studi di ingegneria e diventare un fotografo professionista. «Sentivo l’urgenza di scattare, sperimentare, creare. La fotografia mi sembrava un campo ancora inesplorato, un’arte che proprio allora cominciava a fiorire. Poiché ero convinto che il volto umano fosse il soggetto più interessante, speravo di poterlo esplorare come i miei scrittori preferiti – Tolstoj e Dostoevskij – avevano indagato la natura umana, con sincerità e introspezione psicologica. Osservai le fotografie che andavano di moda allora a Parigi e non mi piacquero: erano retoriche, pretenziose, da pseudoartisti. Decisi che avrei contrastato questa tendenza, volevo mostrare che la fotografia poteva essere realistica, incisiva, semplice e penetrante».
Mosso da un grande interesse verso le molteplici opportunità offerte dal mezzo fotografico, ma soprattutto da una spiccata curiosità verso gli individui, Halsman inizia a sperimentare fotomontaggi e sovraimpressioni, nuove angolazioni e luci multiple, e a realizzare reportage e servizi pubblicitari. Apre uno studio a Montparnasse dove, tra gli altri, ritrae André Malraux, Paul Valéry, Marc Chagall e Le Corbusier. Nel giro di breve tempo, la sua fama di ritrattista cresce e si moltiplicano le collaborazioni con riviste come Vogue, VU, Voilà, Harper’s Bazaar. Una testata francese lo definisce addirittura “il miglior ritrattista che abbiamo in Francia”.

L’attrice Marilyn Monroe, 1959
Tutto sembra andare per il meglio, non solo sul piano professionale. Nel suo studio parigino, Halsman accoglie una giovane aspirante fotografa, Yvonne Moser, che diventerà ben presto sua moglie e compagna di vita e lavoro. Ma un altro terribile fatto sta per segnare il suo cammino: nel 1940, la Francia viene invasa dai nazisti e gli Halsman sono costretti a lasciare la città e a trovare rifugio verso il sud del paese. Le donne della famiglia, ovvero la madre, la sorella, la moglie e la figlioletta di Halsman riescono a imbarcarsi su una nave per gli Stati Uniti, mentre lui viene bloccato alla frontiera. Ha solamente un passaporto lettone e le quote di immigrazione previste per chi proviene dalla Lettonia purtroppo sono esaurite.
È la sorella Liouba a fare di tutto affinché Philippe possa raggiungere l’America. E anche stavolta c’è di mezzo Einstein. Appena sbarcata a New York, infatti, Liouba rintraccia il celebre scienziato, che nel frattempo è diventato docente e ricercatore a Princeton. Einstein intercede nuovamente per Halsman e, con il sostegno dell’amica Eleanor Roosevelt, fa in modo che il fotografo ottenga un visto dell’Emergency Rescue Committee. Nel novembre 1940, Halsman approda finalmente a New York. Con sé, oltre a una valigia contenente la sua macchina fotografica e una dozzina di stampe, porta una grandissima inventiva e la capacità di catturare con sapienza e disinvoltura la personalità e l’essenza dei suoi soggetti.

L'attrice Marilyn Monroe salta con Philippe Halsman, New York, 1959
È proprio nel Nuovo Continente che la carriera di Halsman toccherà l’apice: non solo diventerà uno dei più grandi ritrattisti della storia della fotografia, ma arriverà a firmare oltre 101 copertine della nota rivista Life, un record imbattuto. Gli inizi negli Stati Uniti, però, non sono facili: a Parigi, Halsman si era fatto un nome, ma a New York è un perfetto sconosciuto. È un’intuizione ad aprirgli la strada: in un’agenzia di modelle, il fotografo nota il profilo di una ragazza e le chiede di posare per lui. Ne nasce uno scatto emblematico, che Halsman sceglie di intitolare The American Profile e che secondo il suo intento vuole racchiudere la bellezza, la forza e la giovinezza della nuova nazione che lo ha accolto. Dopo qualche mese, lo scatto finisce nelle mani di una importante imprenditrice, Elizabeth Arden, che subito vi scorge l’immagine giusta per la campagna pubblicitaria del suo nuovo rossetto. In men che non si dica il paese è tappezzato di cartelloni e poster con lo scatto di Halsman. Dopo questo inatteso successo, il fotografo comincia a ricevere i suoi primi incarichi in terra americana e apre uno studio nella 67a strada Ovest di Manhattan, dove vivrà e lavorerà per il resto della sua vita.

Il campione Cassius Clay, prima di cambiare il proprio nome in Muhammad Ali, New York, 1963
«Lo scopo è condensare un carattere o un’espressione nell’immagine più semplice possibile, ma che abbia tutta la concentrazione di una formula matematica» dichiara Halsman. E ancora: «Solo se un individuo è attento e sensibile può comprendere e farsi un’idea della persona che ha davanti. Più sei profondo, più profonda sarà la tua fotografia». È con questa attitudine che si afferma quale geniale ritrattista, immortalando innumerevoli personalità: da Audrey Hepburn a John F. Kennedy, da Richard Nixon ai servizi con Marilyn Monroe, fino alle tante foto realizzate in collaborazione con Salvador Dalí, con il quale Halsman instaura una profonda amicizia e un sodalizio artistico che dureranno per oltre tre decenni. «Ogni volta che avevo bisogno di un protagonista straordinario per una delle mie idee selvagge, Dalí mi assecondava. Ogni volta che Dalí immaginava una fotografia tanto strana da sembrare impossibile da realizzare, io cercavo una soluzione». Il risultato sono immagini sorprendenti e dissacranti, come Voluptas Mors o Dalí Atomicus.
Negli anni Cinquanta, Halsman inventa persino un metodo per divertire e sorprendere i suoi soggetti: propone loro di saltare di fronte all’obiettivo. Nasce così la serie “Jumpology”, una sorta di giocoso esperimento che sortisce immagini vivaci, inaspettate e liberatorie, in cui la maschera, i freni inibitori e le convenzioni cadono. Sono diverse centinaia i “salti” ritratti da Halsman: da quelli di Sophia Loren, Audrey Hepburn e Brigitte Bardot, che balzano in aria felici come bambine, a quello del fisico Oppenheimer, che cerca di toccare il soffitto con un dito.

Salvador Dalì in Voluptas Mors, New York, 1951
Nel corso degli anni, lo studio di Philippe Halsman diventa non solo un punto di riferimento per molte celebrità, ma anche un luogo di ritrovo per tanti fotografi operanti a New York, soprattutto in seguito all’incarico di presidente dell’American Society of Media Photographers. Come ha scritto la figlia Irene: «Ricordo che lo studio di mio padre era un punto di passaggio frequente per altri fotografi. C’erano riunioni del consiglio direttivo dell’ASMP e molte cene improvvisate con personalità come Henri Cartier-Bresson, W. Eugene Smith, David Douglas Duncan e tanti altri».
Philippe Halsman muore nel 1979 a New York, lasciando un’eredità unica e duratura. Con i suoi scatti è stato in grado di ridefinire il concetto di ritratto fotografico e di trasformarlo in una forma d’arte incisiva e innovativa. «Se le sembianze di un essere umano consistono in un infinito numero di immagini differenti, quale in particolare dovremmo cercare di catturare? Secondo me, l’immagine che svela nel modo più completo possibile l’aspetto esteriore e interiore di un soggetto. Questo è ciò che chiamiamo ritratto. Un ritratto fedele dovrebbe essere, oggi come cento anni fa, una testimonianza del suo aspetto e di che tipo di persona fosse». Parole che conservano ancora il loro senso profondo.

A Milano, la mostra su Philippe Halsman
Telegiornale 23.07.2024, 20:00
Cambio di prospettiva
Voci dipinte 19.02.2023, 10:35
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