Bovary, rilettura teatrale del romanzo di Gustave Flaubert ideata e diretta da Stefano Cordella, sarà in scena al Lac il 17 e 18 dicembre 2025, alle 20:00.
Ah, la prima volta che si legge Madame Bovary non si scorda mica. Soprattutto se questo accade in un bel periodo tardo adolescente e il tuo migliore amico, spacciatore di primordine di letture, te la presenta come opera rivoluzionaria del grande Flaubert «che, pensa, ci ha messo più di quattro anni a scriverla, cercava la perfezione delle parole!». A me Emma ha subito fatto venir voglia di invitarla a uscire, mi stava simpatica, mi si prospettavano ideali serate tra vino rosso e sigarette, tisane e madelaine, a dipendenza dell’andamento della storia. Mi ha anche un po’ rovinato la vita e le relazioni sentimentali, ma questa è un’altra storia, con l’età, poi, ci si sente tutti un po’ più vicini al buon vecchio Charles.
Quando pensiamo a Madame Bovary di Gustave Flaubert, l’immagine immediata è quella di un matrimonio sbilanciato: da una parte c’è Charles, appunto, il medico di provincia, tranquillone, dai sentimenti semplici e i colori opachi; e dall’altra Emma, romantica, affamata di passioni tumultuose, promesse grandiose, che sogna una vita da film, o per l’epoca, da romanzo.
E mentre Charles pensa all’amore come fatto concreto, una costante tout court, Emma l’amore lo impara nei libri, e complice la sua magnifica immaginazione inseguirà l’idea balzana che la vita sia un crescendo di emozioni, di promesse, tra un duello e un valzer. Ecco in poche parole, sicuramente non esaustive, il fenomeno detto, per l’appunto, bovarismo.
Una volta maritati, di fronte al tavolo da cucina - chi se lo dimentica quel tavolo, in una routine domestica fatta di silenzi e gesti ripetuti, Emma capisce - ed è terribile - che il suo sogno non corrisponde alla realtà: «È tutto qui?», si chiede.
Madame Bovary però non racconta solo la storia di un matrimonio andato a male, e nemmeno la tragedia di un amore non corrisposto (perché poi ne vedremo delle belle), osserva un fenomeno umano, comunissimo, oggi più che mai attuale, importante e pericoloso: la ricerca di una felicità che nasconde l’insostenibilità delle aspettative e la distanza fra vita immaginata e vita vissuta.
Un po’ di storia letteraria: il romanzo apparve per la prima volta nel 1856 (Flaubert ci provava dal ’51), ma non uscì in un volume elegante. No: il pubblico se lo beccò a puntate, un feuilleton, sulla rivista Revue de Paris, settimana dopo settimana. Episodi di una sorta di soap opera ottocentesca: amori clandestini, scandalo, suspense, debiti, feste, giri in calesse clandestini (anche questi quanto ci han fatto sognare!), cadute. Fu proprio il formato seriale che rese l’attesa febbrile e l’indignazione sociale amplificata (l’han visto tutti!).
Gustave Flaubert
Lo scandalo non tardò a essere denunciato a gran voce, e nel gennaio del 1857 Flaubert fu processato, accusato di oltraggio alla morale pubblica e religiosa. Il procuratore Ernest Pinard sosteneva che Madame Bovary fosse un romanzo pericoloso perché mostrava il desiderio e l’adulterio senza che fossero puniti con morale esplicita; secondo lui il libro «lasciava circolare il veleno senza antidoto». Fu ben difeso però, con una di quelle sentenze che chiudono la bocca a tutti i benpensanti: se un’opera d’arte deve esistere solo per educare, allora non chiamiamola arte, per favore! Quindi, Flaubert assolto e pochi mesi dopo il romanzo esce in un unico volume. E sapete una cosa? La prima edizione andò esaurita in poche settimane. Victor Hugo predisse: «Questo libro vivrà»; per Baudelaire era «un romanzo lucidissimo, chirurgico, necessario»; George Sand colse la tragedia silenziosa di Charles: «È lui il personaggio che soffre davvero. È lui ad amare».
Henry James tempo dopo vi dedicò un saggio importante, che trovate nell’introduzione all’edizione Einaudi, quella tradotta da Natalia Ginzburg. James considera Madame Bovary un’opera maestra certo, ma non si trattiene dal criticarla perché pur essendo perfetta nella forma, è al servizio di un personaggio secondo lui troppo poco complesso e superficiale, limitando la profondità dell’analisi della vita. Insomma Emma non è abbastanza interessante per giustificare il livello di dettaglio con cui Flaubert la descrive.
Fatto sta che ancora oggi siamo qui a parlarne, perché la storia di Emma e di Charles ci interroga un po’ tutti ancora e ci mette di fronte a quelle grandi domande tipo: tu da che parte stai? Emma o Charles? Essere o non essere?
Emma Bovary oggi
È proprio questa tensione irrisolta, tra ciò che desideriamo e ciò che la vita ci restituisce, tra ciò che facciamo e ciò che subiamo, a rendere Madame Bovary ancora oggi un romanzo vivo, capace di trasformarsi ogni volta che qualcuno lo rilegge, lo interpreta, e, perché no, lo porta in scena. Ci han provato in tanti a raccontarci il bovarsimo, quella dedizione alla passione tormentata tipica di Emma. Vorrei qui citare due film (forse il primo più riuscito del secondo), quello di Chabrol del 1991 con la grandissima Isabelle Huppert nel ruolo della protagonista e poi una decina di anni fa la versione statunitense di Sophie Barthes un po’ più superficiale ma con una brava Mia Wasikowska.
I registi continuano a interpellare Emma e Charles, interrogandosi su come tradurre sulla scena il loro mondo di slanci e disillusioni a teatro. Due riletture recenti, molto diverse tra loro va detto, ma ambedue estremamente interessanti, mostrano quanto il romanzo sappia ancora parlare al presente e tutte le lenti che è possibile applicare in una rilettura scenica.
Iniziamo da Bovary Madame, di Christophe Honoré
Andato in scena al Théâtre de Vidy di Losanna, che lo produce insieme alla compagnia del regista francese Comité dans Paris, dal 17 settembre all’8 ottobre 2025 ora lo spettacolo è in tournée francese (sarà a Parigi tra marzo e aprile ‘26 al Théâtre de la Ville). La sua Emma, una Bovary Madame, propone un’esperienza scenica che travolge lo spettatore e lo strappa a piene mandi dal naturalismo. Emma non è più soltanto personaggio, ma un mito, un’ icona, un fantasma, che attraversa la memoria. Il riferimento dichiarato è Lola Montès di Max Ophüls: un’ attrazione insomma, come numero di un freak show, dove la nostra eroina verrà osservata, giudicata e celebrata.
Ludivine Sagnier, che abbiamo conosciuto con Honoré nello struggente musical del 2007 Les chansons d’amour, interpreta qui un’Emma folgorante (e vestita benissimo): avanzando disarmata, come ha scritto il quotidiano romando Le Temps, diventa via via padrona del proprio destino scenico, capace di rifiutare letteralmente di recitare la sua morte (ops, spoiler per i distratti, ebbene sì Emma Bovary muore).
Honoré alterna confessioni al microfono, numeri circensi, video saturi, e come sempre tanta musica degli anni ’60 e ’70, i Led Zeppelin, Joe Dassin, Michel Sardou. L’eroina ottocentesca attraversa così la cultura pop europea tutta, oscillando tra il melodramma kitsch e la fredda crudeltà. E il momento decisivo arriva quando Emma, come detto, rifiuta la scena del veleno. Non ci sta più ad essere vittima del dispositivo narrativo. Lei vuole (ri)vivere, scappare dal romanzo, da quel circo che la società gli ha costruito intorno, dallo sguardo del pubblico. Sceglie di essere insomma, non essendoci più.
L’Emma contemporanea di Stefano Cordella, al LAC
Di tutt’altra natura e dirompenza è lo spettacolo diretto da Stefano Cordella, prodotto da Manifatture Teatrali Milanesi e scritto insieme alla drammaturga Elena Patacchini. Dopo l’anteprima al Kilowatt Festival, la nostra Anahì Traversi porta in scena una Bovary sorprendentemente vicina, quasi familiare, quella che forse avremmo voluto incontrare da giovani e che ora troviamo alla porta accanto. Emma è una correttrice di bozze, una donna che ha ottenuto il lavoro desiderato - glielo ricorda il marito - e che nonostante ciò resta infelice. Perché? È insomma un’Emma modernissima, chi è felice e pienamente soddisfatto alzi la mano! Minigonna, calze ricamate, stivaletto rosso bordeaux e marito buono. Pietro De Pascalis interpreta un Charles di luminosa umanità, fragile senza essere ridicolo (sarebbe piaciuto a Georges Sand).
L’appartamento in scena è minimale e diventa presto un campo di battaglia emotivo: perché l’amore protegge, sì, ma è anche un limite. L’insoddisfazione di Emma, grottesca ma profondamente vicina, continua a pulsare, anche quando la coppia tenta la fuga nella grande città, dove c’è “tanto da vivere”.
La scena finale, presenterà apparentemente una Emma opposta a quella proposta da Honoré. Ma quale è la visione che oggi ancora ci parla? Il bovarismo ha ancora motivo di esistere o è stato scalzato definitivamente dal disincanto della realtà?
In ogni caso, un aperitivo sotto l’albero per fare due chiacchiere io a Emma lo offrirei ancora.
Cliccultura: Madame Bovary
Charlot 07.12.2025, 14:36
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