Opera lirica al LAC

Emma Dante mette in scena la ferita femminile

La regista, attrice e drammaturga siciliana, parla dei temi de “La voix humaine” di Francis Poulenc e “Cavalleria rusticana” di Pietro Mascagni, in scena a fino al 21 settembre al LAC

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Cavalleria rusticana / La voix humaine, LAC

  • ©Cavalleria rusticana / La voix humaine
Di: Charlot/Mat 

Emma Dante ha costruito, negli ultimi vent’anni, uno dei percorsi più riconoscibili e radicali del teatro contemporaneo europeo. La sua poetica, profondamente legata alla Sicilia e alle sue tensioni, ha trasformato il linguaggio scenico in uno strumento di verità, capace di dare corpo e voce agli esclusi, ai marginali, ai legami familiari spezzati e ricuciti., al dolore femminile. Con spettacoli come mPalermu, Le sorelle Macaluso e La scortecata, ha ridefinito il confine tra parola e gesto, tra tradizione e invenzione, tra dolore e bellezza. La sua regia non si distingue per uno stile decorativo, ma per una necessità espressiva che attraversa ogni progetto. Che si tratti di teatro o opera lirica, Emma Dante non mette in scena storie: mette in scena ferite, visioni, urgenze. E lo fa con una compagnia stabile, una «famiglia teatrale» che le consente di lavorare con continuità e profondità, fuori dalle logiche industriali.

Il dittico in cartellone al LAC fino al 21 settembre è una nuova tappa di questo percorso, e insieme un gesto di apertura verso un pubblico che cerca nel teatro non solo intrattenimento, ma esperienza. Le due opere, La voix humaine di Poulenc (1958, tratta dalla pièce di Jean Cocteau) e Cavalleria rusticana di Mascagni, sono apparentemente lontane, ma seguono un filo tematico preciso: il dramma femminile, declinato in due contesti opposti. «Quando mi chiesero di fare questo abbinamento mi sembrò una cosa all’inizio un po’ strana», racconta Dante al microfono di Monica Bonetti nella rubrica radiofonica Charlot, «perché sono due mondi completamente diversi. Cavalleria Rusticana e La voix humaine, cioè una è la storia proprio della piazza, della strada, di una Sicilia antica, e l’altra invece è la storia di una donna borghese, con tutta una serie di drammi personali molto diversi da quelli della protagonista di Cavalleria

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Emma e le sue sorelle

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  • Monica Bonetti

Per rappresentare visivamente questa distanza, la regista ha scelto un contrasto cromatico netto: «Pensai che raccontare due donne così diverse tra di loro in due situazioni, in due contesti così diversi poteva essere una cosa molto interessante perché si poteva vedere il dramma femminile con due colori diversi: il bianco e il nero. Infatti le due opere sono state accostate attraverso questo bianco e nero: il bianco asettico del neon dell’ospedale di La voix humaine e il nero della Sicilia luttuosa della Cavalleria

Nel monologo lirico di Poulenc, Emma Dante ha introdotto presenze fantasmatiche che circondano la protagonista, una donna senza nome indicata solo con la lettera L: «Ho sentito l’esigenza di costruire intorno a questo personaggio una rete di fantasmi, di farla dialogare con i mostri, con le proiezioni di questo suo dramma.» La scena è ambientata in un ospedale, scelta non prevista dal libretto originale ma che la regista rivendica con forza: «L’ho inserita in un contesto che non è da libretto, ma mi sembrava interessante, che è appunto un ospedale, perché comunque l’opera comincia con lei, che sta male, vuole uccidersi e quindi io comincio questa storia in un ospedale dove lei è sotto sorveglianza.»

Per Cavalleria Rusticana, Emma Dante ha preferito concentrarsi sull’evocazione musicale piuttosto che sulla trama, che definisce «abbastanza datata, fortunatamente datata», perché «nel frattempo noi siamo cambiati, l’idea della donna, il ruolo della donna è cambiato». La musica, invece, conserva una forza evocativa che la regista ha voluto valorizzare: «Ci siamo molto concentrati sul modo in cui la musica riesce a evocare cose antiche, sentimenti antichi e soprattutto qualcosa di mistico. Cavalleria evoca sicuramente qualcosa di mistico.»

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In scena, ha inserito anche elementi simbolici, come una «sacra famiglia sperduta» che «ogni tanto appare come sperduta, che ha perso proprio la via, come dire che questo Cristo non sa più dove andare, non trova più la sua croce o comunque quando ce l’ha è una croce che lo fa soffrire».

Fondamentale, per Emma Dante, è il lavoro con una compagnia stabile, che definisce «una squadra, una compagnia con la quale lavoro sempre. In questo sono molto siciliana. Questa cosa proprio della famiglia teatrale è una cosa per me molto importante.»

Il dittico rappresenta la prima tappa di un omaggio che il LAC dedica alla regista, in attesa del suo ritorno a febbraio 2024 con lo spettacolo di prosa L’angelo del focolare. Due opere, due donne, due mondi: ma una sola voce, che continua a interrogare il presente.

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