Il gioco eterno del teatro, tra finzione e mondo reale. Mettendo in scena il verosimile a servizio della commedia, Carlo Goldoni concretizza attraverso il suo capolavoro La locandiera, scritta nell’autunno del 1752 tra ottobre e dicembre, parte di quella ‘riforma’ nel teatro comico che ne consacra il genio ancora oggi. Non si può infatti prescindere dai dettami della sua rivoluzione teatrale nell’affrontare questo testo, ancora oggi uno dei più rappresentati e amati da attori e pubblico. Certo, poi la commedia si avvale anche della nomea di uno dei primi testi nella letteratura italiana avente come protagonista una donna, e non è poco, ma la sua straordinaria forza risiede anche nell’aver saputo coniugare nella figura di Mirandolina quelle istanze affermate con vigore nel 1750, qualche anno prima.
Prima di andare a conoscere quindi il personaggio che da Maddalena Raffi Marliani incantò anche Eleonora Duse, e che nei prossimi giorni vedremo interpretato dalla bravissima Sonia Bergamasco per la regia di Antonio Latella al Lac di Lugano, capiamo la portata della rivoluzione goldoniana e come questa si ripercuota anche sulla Locandiera.
Intorno al 1750 Carlo Goldoni ha messo a punto i suoi principi drammaturgici, attraverso le sue commedie, riassumibili in due aspetti.
Il primo è di ordine sociale: il poeta comico lavora per la scena, con gli attori, in accordo col committente. L’importante è quindi la comunicazione con il pubblico, composto a Venezia soprattutto da aristocratici e borghesi, ma l’autore insiste per includervi anche ‘i gondolieri’, intendendo con questo il popolo, vero protagonista a tutti gli effetti del suo successo. Quindi il teatro va considerato a stregua di impresa della e per la città, e dev’essere produttivo, seguire le leggi del mercato e al contempo non sottrarsi al fondamentale compito di educare i cittadini.
Il secondo invece artistico: Venezia è la città modello per il suo teatro, offre larghi margini di libertà inventiva, ma l’impresa teatrale deve anche essere produttiva. Il pubblico deve sentirsi e vedersi rappresentato senza essere offeso nella sua immagine, e nemmeno annoiato. Impresa difficile, anche perché il tipo comico in scena deve sempre essere o un altro oppure tutti noi. E qui entra in scena la verosimiglianza.
Questi principi del suo teatro sono contenuti sia in una sua Prefazione all’edizione del suo Teatro sia ne Il teatro comico, commedia manifesto, scritti entrambi nel 1750. Goldoni sottolinea la sua idea di teatro, che si distanzia dall’erudizione, le regole e l’autorità degli antichi. I suoi due nuovi Maestri sono il mondo e il teatro. Il mondo è inteso come natura umana ‘universale e sicura maestra’, un mondo fatto appunto di uomini, con i loro carrateri, rappresentati attarverso la loro immagine lievitata dalla fantasia, deformata dallo spirito critico dello scrittore e resa comica attraverso la verosimiglianza. Il teatro… cosa se non la pratica dell’esperienza?
Questa riforma si compie, concretamente, soprattutto attraverso la modernizzazione di due tipi cardine della Commedia dell’arte: il tipo del mercante - la maschera di Pantalone per intenderci, e quello della servetta. Il primo viene ringiovanito, si fa uomo di mondo godereccio e simpatico, criticato lievemente nei suoi eccessi ma sostanzialmente presentato al pubblico come modello positivo, in sintonia appunto con i veneziani. A noi interessa maggiormente però la figura della servetta, perché diventa Donna di garbo, come titola la sua prima commedia scritta per intero. La servetta – donna che si concedeva molte libertà per il suo ruolo ‘basso’ - dei canovacci precedenti, si trasferisce nella commedia riformata diventando un tipo più che accettabile. Una donna di garbo appunto, servetta sì, ma piena di intelligenza e cultura, che sa e può prendere in mano le sorti di una famiglia. Diventa così oggetto di aspra critica da parte dei censori del tempo - di fatto è una persona che mente e che insegna a mentire, ma il tema della censura offre il pretesto a Goldoni per affermare l’importanza della verosimiglianza comica, indipendente dalle leggi della realtà sociale e essenziale per la logica della commedia.
È su questo terreno che nasce la Locandiera: una volta avvenuta la trasformazione magica della servetta, che attraverso la parola convince e seduce. Viene scritta appositamente per l’attrice Maddalena Raffi Marliani, che ispira a Goldoni il tipo della serva-padrona, diventato comune in teatro anche grazie il successo dell’opera buffa di Pergolesi La serva padrona. Per la Mariani poi il drammaturgo aveva scritto in passato anche La serva amorosa. Questo fa di lei il perfetto personaggio di serva-padrona-amorosa e cameriera brillante, qualità che incarnano il progetto goldoniano di rivalutare la donna in scena; figurando in lei un nuovo personaggio, quello di colei che progetta la sua vita e la porta a termine, progettando e portando a termine al contempo anche la sua commedia. Un felice connubio, un progetto drammaturgico che fonda sulla parola una nuova commedia, capace di rappresentare comicamente una società di nobili e borghesi e di criticarla al contempo.
Mirandolina, donna vincente fino a un certo punto
È la prima protagonista donna, lavora e con astuzia seduce per i suoi fini. Ma sarà abbastanza?
La commedia si svolge nella locanda che Mirandolina ha ereditato dal padre, insieme al suo ordine, in punto di morte, di sposare il cameriere Fabrizio. Mirandolina è servetta e padrona al contempo e agisce in queste due condizioni mettendosi al servizio degli aristocratici clienti mentre ne sfrutta il denaro e la protezione. Quando improvvisamente alla locanda arriva il cavaliere di Ripafratta, grande misogino, che dichiara la sua ostilità alla locandiera prendendosi gioco della debolezza dei suoi due corteggiatori. Mirandolina è offesa, vuole difendere l’onore, e come già il Servitore dei due padroni si ripromette di sottomettere e punire il Cavaliere, con le armi datele in dotazione dal suo drammaturgo: la seduzione mediante la parola e la finzione. Mirandolina si adegua al carattere dell’avversario, finge, e lo conduce rovinosamente nella sua rete, facendogli perdere la testa. Si muove, come La vedova scaltra, tra quattro corteggiatori finendo poi a sposare però quello più vicino alla sua condizione, Fabrizio.
Mirandolina quindi vince sul Cavaliere, ma non vince la legge del padre, non cambia la sua condizione, resta locandiera. ‘L’ora del divertimento è passata’ dirà malinconicamente alla fine dell’opera. Uscita dal cerchio magico del teatro, della finzione, Mirandolina torna così nel cerchio realistico del mondo, vinta dalla legge che incombe sulla condizione femminile: l’ubbidienza al padre. Non sono ancora i tempi, per una donna, nei quali si può passare da una classe sociale all’altra. Apparentemente libera poi, Mirandolina è anche prigioniera: la sua locanda è come un mercato, un mondo chiuso e aperto al contempo, che le offre lo spazio per sua libertà ma al contempo ne segna il limite, l’invalicabile confine. Alla fine della commedia tutti scappano, rimane la donna, bloccata nel suo mondo-gabbia.
Ma torniamo al presente, nella realtà, senza però uscire dal teatro, e parliamo della messa in scena della Locandiera a opera di Antonio Latella, maestro della scena contemporanea europea e già autore di pluripremiate riletture originali di testi della tradizione.
Antonio Latella: frammenti sul nuovo teatro italiano
Laser 25.11.2020, 09:00
Contenuto audio
La pièce in scena al Lac martedì 24 e mercoledì 25 si propone di mostrare ancora un’altra versione di Mirandolina.
«Per essere Mirandolina bisogna essere capaci di mettersi al servizio dell’opera, ma anche non fare del proprio essere femminile una figura scontata e terribilmente civettuola, cosa che spesso abbiamo visto - scrive il regista nelle sue Note. Spesso noi registi abbiamo sminuito il lavoro artistico culturale che il grande Goldoni ha fatto con quest’opera, l’abbiamo ridimensionata cadendo nell’ovvio e riportando il femminile a ciò che gli uomini vogliono vedere: il gioco della seduzione. Goldoni, invece, ha fatto con questo suo testamento, una grande operazione civile e culturale. Siamo davanti a un manifesto teatrale che dà iniziò al teatro contemporaneo, mentre per un’assurda cecità noi teatranti lo abbiamo banalizzato e reso innocente. La nostra mediocrità non è mai stata all’altezza dell’opera di Goldoni e, molto probabilmente, non lo sarò nemmeno io».
La sua protagonista sarà, come detto, Sonia Bergamasco, che di recente ha lavorato con lui in Chi ha paura di Virgina Woolf?, spettacolo che le è valso il Premio Ubu 2022 come migliore attrice protagonista. Sempre nelle note di regia Latella scrive: «Penso a Café Müll erdi Pina Bausch. Penso ad una donna nata e cresciuta nella Locanda. Un luogo-mondo che accoglie infiniti mondi. Nel testo goldoniano il tema dell’eredità è il punto cardine di tutto. Mirandolina seduta sul letto di morte del padre riceve in eredità la Locanda, ma anche l’ordine di sposarsi con Fabrizio, il primo servitore. In questo credo che ci sia una inconsapevole identificazione del padre con il servo, come erede virtuale in quanto maschio. Più che un uomo per la figlia, il padre sceglie un uomo per la Locanda, un uomo pronto a tutto pur di proteggerela».
MIRANDOLINA: Oh, il signore cavaliere non s’innamora. Conosce l’arte. Sa la furberia delle donne: alle parole non crede; delle lagrime non si fida. Degli svenimenti poi se ne ride.
CAVALIERE: Sono dunque finite le lagrime delle donne, sono mendaci gli svenimenti?
MIRANDOLINA: Come, non lo sa, o finge di non saperlo?
CAVALIERE: Giuro al cielo! Una tal finzione meriterebbe uno stile nel cuore.