Fotografia

Shirin Neshat, l’arte senza confini

“Body of Evidence”, l’imperdibile ampia personale dell’artista iraniana esule a New York. Fino all’8 giugno al PAC di Milano

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Shirin Neshat, Rebellious Silence, 1994. © Shirin Neshat​. Courtesy l'artista e Gladstone Gallery.jpg

Shirin Neshat, Rebellious Silence, 1994

  • © Shirin Neshat​. Courtesy l'artista e Gladstone Gallery
Di: Francesca Cogoni 

Con l’ampia mostra personale Body of Evidence, al Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano, viene offerto, fino all’8 giugno, un sunto della mirabile carriera di Shirin Neshat.

In bilico tra Occidente e Medio Oriente, passato e presente, le opere di Shirin Neshat ci spronano a riflettere su temi complessi e delicati, come il potere, la religione, la razza e il genere.

Non è semplice per una artista tradurre le proprie vicende personali, il proprio vissuto, in qualcosa che va oltre il mero autobiografismo, la pura autoreferenzialità. È una dote rara quella di saper trasformare le proprie ossessioni, le ansie, le emozioni più recondite in opere d’arte capaci di parlare un linguaggio universale, accessibile a tutti. L’artista e regista Shirin Neshat (nata il 26 marzo 1957) ci riesce in modo esemplare. Sarà per il suo esilio volontario a New York, lontano dalla sua terra natia, l’Iran, che non vede dal 1996. Sarà per la sua identità “in transito” e per la sua formazione ibrida, che si palesano in quell’attitudine raminga, propria di chi non riesce a trovarsi davvero a casa sua in nessun luogo. E allora, ecco che l’arte diventa la propria voce, lo strumento perfetto per comunicare riflessioni e sensazioni, per aprirsi al mondo intero. Un’arte che, nel caso di Shirin Neshat, non può che essere sincretica, tesa ad annullare confini e stereotipi.

You can take an Iranian out of Iran, but you cannot take Iran out of an Iranian.

Shirin Neshat

Una dichiarazione che per l’artista ben esemplifica la sua condizione di esule e cosmopolita divisa tra Occidente e Medio Oriente, e al contempo l’attaccamento alle sue radici. Fin dalla giovane età (a 17 anni si trasferisce negli Stati Uniti per studiare alla University of California, Berkeley), Shirin Neshat ha imparato a essere “nomade”. Oggi, con un Leone d’oro alla 48. Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia e un Leone d’argento per la miglior regia alla Mostra del Cinema di Venezia del 2009 per l’opera prima Donne senza uomini, Shirin Neshat è una delle più importanti e apprezzate artiste visive della scena contemporanea. Uno status che probabilmente non avrebbe potuto raggiungere se la sua vita fosse continuata in Iran. Eppure, è anche grazie alla nostalgia per la sua terra natia e al rapporto contrastato con essa che ha potuto realizzare opere dalla forte valenza etica oltreché estetica, lavori che hanno fatto il giro dei principali musei del mondo: dalla Tate di Londra al Guggenheim Museum di New York, alla Kunsthalle di Vienna, solo per citarne alcuni.

Shirin Neshat, Soliloquy, 2000. Still da video© Shirin Neshat​. ​Courtesy l’artista e Gladstone Gallery.jpg

Shirin Neshat, Soliloquy, 2000. Still da video

  • © Shirin Neshat​. ​Courtesy l’artista e Gladstone Gallery

Attraverso una pratica multidisciplinare che spazia fra fotografia, video, cinema e teatro, da oltre trent’anni Shirin Neshat posa il suo sguardo profondo sui contrasti, le tensioni e le problematiche che interessano tanto la società mediorientale quanto quella occidentale. Lo fa affrontando questioni complesse e spesso dure come la violenza sessuale, l’abuso di potere, il disagio mentale, la memoria e l’appartenenza, coniugando, con estrema sensibilità, poesia e politica.

Negli anni Novanta, è la serie fotografica Women of Allah (1993-1997) a portare l’arte di Shirin Neshat all’attenzione della critica e del pubblico. Realizzati a seguito del suo primo viaggio di ritorno in Iran, nel 1990, dopo sedici anni di assenza, questi ritratti femminili in bianco e nero così iconici e potenti riflettono sui soprusi subiti dalle donne in seguito alla Rivoluzione khomeinista. I brani tratti da opere di scrittrici iraniane vergati mano sulle stampe fotografiche, in corrispondenza delle mani, dei volti e dei piedi (i soli punti non occultati dal chador) rappresentano per l’artista «la voce che rompe il silenzio della donna e della foto». La presenza delle armi, in alcuni ritratti, veicola un’idea di resistenza e di lotta all’oppressione.

Shirin Neshat​, Land of Dreams, 2019​. © Shirin Neshat​. Courtesy l’artista, Gladstone Gallery e​ Goodman Gallery.jpg

Shirin Neshat​, Land of Dreams, 2019

  • © Shirin Neshat​. Courtesy l’artista, Gladstone Gallery e​ Goodman Gallery

Anche nella serie fotografica The Book of Kings, realizzata alcuni anni più tardi, nel 2012, Neshat si serve della pratica calligrafica e della lingua farsi, stavolta per riflettere sullo spirito rivoluzionario della gioventù iraniana araba. Questa serie, infatti, è stata concepita in seguito alla nascita del Green Movement iraniano, un movimento di protesta sorto dopo le elezioni presidenziali del 2009, che hanno riconfermato l’ultraconservatore Ahmadinejad. In questo caso, sui corpi dei soggetti ritratti Neshat ha voluto riprodurre a inchiostro illustrazioni e testi tratti sia dal poema epico Shahnameh (Il libro dei Re), composto dal poeta persiano Ferdowsi intorno al 1000 d.C., sia da opere di scrittori contemporanei e prigionieri in Iran.

Negli anni, Shirin Neshat si è orientata anche verso l’immagine in movimento, realizzando video e film di grande impatto visivo e dalla forte valenza politica: a partire dalla splendida trilogia formata da Turbulent (1998), Rapture (1999) e Fervor (2000), che indaga il rapporto tra i due sessi nella società islamica iraniana, fino alla video-installazione The Fury (2023), una delle ultime opere dell’artista, che punta l’attenzione sul tema dello sfruttamento sessuale delle donne prigioniere politiche da parte del regime della Repubblica islamica in Iran. Un lavoro estremamente toccante ed emblematico, ancor di più se pensiamo che è stato girato nella primavera 2022 e che di lì a poco, nel mese di settembre, la giovanissima Mahsa Amini sarebbe morta per le violenze subite in carcere dopo essere stata arrestata dalla polizia morale a Teheran con l’accusa di non aver indossato correttamente l’hijab.

Shirin Neshat​, Rapture, 1999​. © Shirin Neshat.​ Courtesy l’artista, Gladstone Gallery e​ Noirmontartproductions.jpg

Shirin Neshat​, Rapture, 1999

  • © Shirin Neshat.​ Courtesy l’artista, Gladstone Gallery e​ Noirmontartproductions

Spesso, nelle sue opere filmiche, Shirin Neshat mescola in modo suggestivo i piani della realtà e dell’immaginazione, un espediente che enfatizza il senso di spaesamento, di perdita, di distacco e di oppressione vissuto dai protagonisti: lo si nota in particolare in lavori come Roja (2016), in cui l’attrice e scrittrice Roja Heydarpour, alter ego dell’artista, è calata in un’atmosfera onirica e per molti versi ostile; in Looking for Oum Kulthum (2017), il secondo lungometraggio di Neshat, basato sulla vita e l’arte della leggendaria cantante egiziana Oum Kulthum; o nel progetto Land of Dreams (2019), che comprende una serie di 111 ritratti fotografici e un video a due canali incentrati sulla dicotomia tra Oriente e Occidente, sogno e veglia, realtà e rappresentazione. Nel video, vediamo una fotografa che, apparentemente, sta lavorando a un reportage sull’America rurale, ma in realtà fa parte della “Colonia”, un’istituzione segreta che ha lo scopo di raccogliere i sogni dei cittadini statunitensi. Lavoro che è sfociato poi in un lungometraggio presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2021 e che molto ha a che fare con l’America di oggi, trattando del rischio di ideologie e pratiche politiche oppressive. «Tutti sogniamo. I sogni sono innocenti e i sogni non possono essere giudicati. Ed è attraverso i sogni che troviamo un’umanità condivisa, dove siamo completamente nudi, liberi, vulnerabili e dove affrontiamo le nostre peggiori paure e ansie. Quello che mi piace dei sogni è che sono come il Realismo Magico: ci sono sempre riferimenti alla realtà, a luoghi che abbiamo visitato, a persone che conosciamo. In Land of Dreams, mentre la donna iraniana raccoglie i sogni delle persone, si rende conto che, nonostante i riferimenti culturali, i suoi sogni e i suoi incubi non sono molto diversi da quelli degli americani» ha affermato a tale proposito l’artista in una recente intervista.

Shirin Neshat, Roja, 2016 © Shirin Neshat​. ​Courtesy l’artista e Gladstone Gallery.jpg

Shirin Neshat, Roja, 2016

  • © Shirin Neshat / Courtesy Gladstone Gallery

In anni più recenti, Shirin Neshat ha portato la sua visione artistica ed espresso il suo talento creativo anche a teatro, debuttando nel 2017 come regista d’opera con Aida di Verdi al Festival di Salisburgo, che verrà rimessa in scena all’Opéra di Parigi nel corso del 2025.

L’arte è l’unico posto in cui posso essere più sincera e profonda e in cui affrontare davvero questioni legate ai dubbi, alle paure, alle ansie, alle speranze, ai sogni…

 Shirin Neshat

Che lo faccia attraverso la fotografia, la video arte, il cinema o l’opera lirica, Shirin Neshat non cessa di interrogare sé stessa, come donna, come esule e come artista, spronandoci a riflettere sulle contraddizioni e iniquità del mondo contemporaneo, parlandoci di potere e vulnerabilità, libertà e oppressione, con coraggio e coscienza. Chissà se almeno i suoi lavori troveranno mai un posto in Iran.

Shirin Neshat​, Passage, 2001​ © Shirin Neshat​. ​Courtesy l’artista e Gladstone Gallery.jpg

Shirin Neshat​, Passage, 2001

  • © Shirin Neshat​. ​Courtesy l’artista e Gladstone Gallery
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Voci dipinte 04.05.2025, 10:35

  • TiPress
  • Emanuela Burgazzoli
12:18

Shirin Neshat: “Body of evidence” al Pac di Milano

La corrispondenza 31.03.2025, 07:05

  • © Courtesy of the artist
  • Enrico Bianda
03:36

Iran e USA fotografati da Shirin Neshat

Telegiornale 11.04.2025, 20:00

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