La grande esposizione estiva del Museo d’Art et d’ Histoire di Ginevra è dedicata agli anni gloriosi, e in parte effimeri, dell’architettura svizzera modernista. Al centro gli anni ‘20 e ‘30 di Zurigo e Ginevra, due città come che vedono nascere grandi utopie architettoniche e nuovi slanci di modernità, in particolare grazie ad architetti come Le Corbusier e Max Bill. La mostra di grandi ambizioni porta lo strano titolo: Et pourtant tout avait si bien commencé e parte da un centenario, come ricorda Lou Lepori che ha visitato la mostra per Alphaville: «Nel 1925 apre il concorso per la ricostruzione della Stazione Centrale di Ginevra Cornavin, che era stata distrutta da un incendio nel 1909, e dell’anno successivo è il concorso per il Palazzo delle Nazioni. Due concorsi scelti come controesempio, ad inizio esposizione, perché, secondo il curatore, l’architetto zurighese Arthur Rüegg, dimostrano un certo ritardo ginevrino rispetto alla nuova temperie modernista». I due concorsi furono vinti da un architetto della generazione precedente, certo Julien Flegenheimer. Concorsi che hanno il torto di aver sbaragliato un giovane prodigio proveniente da la Chuax-de-Fonds, divenuto poi universalmente noto come Le Corbusier. A partire da questo capitolo la mostra esplora le visioni contrastanti di questa modernità in architettura. Attraverso vari esempi storici delle città di Ginevra e Zurigo viene proposta una esperienza fisica e spaziale, di progetti storici, come il notissimo edificio Clarté, del 1928, a firma Corbu.

Le Corbusier e Pierre Jeanneret, Edificio Clarté, Ginevra 1928
Ma la mostra intende anche rivelare uno scontro tra culture e sottolineare l’ambiguità di un’epoca in bilico tra ideale e realtà, disvelando però anche una certa ingenuità storica, secondo Lou Lepori: «il modernismo in Italia è stato sinonimo del movimento cosiddetto Novecentista, capitanato nientemeno che da Elsa Sarfatti, l’amante di Mussolini, per non parlare dei guerrafondai futuristi, anch’essi molto fascisti. Questo non vuol dire che non si può guardare al modernismo degli anni ‘30 con ammirazione per la sua grande innovatività tecnica costruttiva e per la sperimentazione. È giusto ricordare, tra l’altro, che alcune correnti, come il Bauhaus, vennero crudelmente perseguitate dal nazismo, ma non si può far finta che la modernità sia stata la fase uno e il fascismo la fase due. In realtà le due cose furono strettamente perfettamente intrecciate sotto il segno appunto dell’uomo nuovo, magari l’uomo nuovo del fascio littorio».
“Eppure, tutto sembrava partito così bene…”
Alphaville 21.07.2025, 11:30
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