Cinema

Bestie fantastiche e dove trovarle: nella mente di Carlo Rambaldi

Avrebbe compiuto cento anni oggi il genio italiano degli effetti speciali, che ha saputo stregare il mondo con un’arte lontana dalla moderna grafica digitale

  • Ieri, 17:00
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Carlo Rambaldi durante la lavorazione di E.T. L'extraterrestre, 1982

  • IMAGO / Capital Pictures
Di: Nicola Lucchi 

Ogni anno c’è un gran da fare alla Camera di Commercio di Hollywood. C’è chi si impegna a favorire lo sviluppo economico attraverso appuntamenti non sempre frizzanti, chi organizza eventi sontuosi possibilmente ricchi di star, chi si sforza di promuovere un turismo per lo più cinefilo e chi ragiona sul numero di stelle da incastonare nel ricchissimo firmamento del marciapiede più famoso del mondo. Perché se è vero che chiunque può proporre un nome da aggiungere alle stelle già esistenti, non a tutti è concesso il privilegio di essere calpestati dai milioni di turisti che si riversano ogni anno nella mecca del cinema. Ecco allora entrare in gioco il comitato di selezione della Walk of Fame, che ogni anno, dopo la valutazione di centinaia di nomi illustri, emette il proprio verdetto, selezionando le personalità che saranno onorate di quella stella.

Ormai qualche mese fa è stato annunciato che della class of 2026 fa parte anche un italiano che proprio oggi compirebbe cent’anni e che, forse, alla cerimonia a lui dedicata parteciperebbe con soddisfazione, ma senza troppo entusiasmo.

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Carlo Rambaldi, da E.T. a King Kong

RSI Info 11.12.2019, 11:47

  • RSI

Perché Carlo Rambaldi, come racconta in più occasioni la figlia Daniela, non si sentiva a suo agio nelle grandi cerimonie, che appena possibile abbandonava per tornare nel suo universo famigliare e creativo. Lo stesso universo che a partire dal Sigfrido (1957) di Giacomo Gentilomo, per il quale fabbricò l’enorme drago Fafnir, lo condusse a tre Oscar e a numerose collaborazioni internazionali, da Mario Bava a David Lynch, passando per Dario Argento, Pupi Avati, Steven Spielberg e Oliver Stone.

La sua capacità di rendere viva la materia inerme si sposò fin da subito col cinema di genere: i suoi mostri erano vivi, realistici, a tratti tanto poetici da riuscire a dialogare con l’immaginazione del pubblico, con le sue emozioni. Un’arte lontana da quella del più moderno CGI e che ancora, in molti casi, non riesce a esserne sostituita.

Noto è l’episodio in cui, all’uscita di Una lucertola con la pelle di donna, il regista Lucio Fulci fu portato in tribunale da un’associazione impegnata a proteggere i diritti degli animali. La scena incriminata era la più popolare del film, quella in cui Carol Hammond entra in una stanza dove si trovano dei cani vivisezionati. Quegli animali erano tanto realistici che, per salvare Fulci dalle accuse, fu necessario portare in aula le creature di Rambaldi.

Correva l’anno 1971, lo stesso in cui il maestro degli effetti speciali fu contattato dalla RAI per la progettazione del burattino di Le avventure di Pinocchio (1972) di Luigi Comencini. Rambaldi non fu richiamato per il lavoro definitivo, ma quando lo sceneggiato venne trasmesso, l’artista non poté fare a meno di accorgersi che quel burattino era proprio il suo. Ne seguì una denuncia per plagio che Rambaldi vinse.

Inevitabile che l’attenzione di numerosi cineasti e altrettanti produttori si soffermasse su di lui, persino oltreoceano. Dino de Laurentiis aveva già abbandonato l’Italia per puntare alle grandi produzioni americane e da un po’ gli bazzicava per la mente di riportare sul grande schermo il gorilla gigante di King Kong. Per farlo era necessario un maestro degli affetti speciali e della meccanica, quel maestro si era appena liberato dalla collaborazione con Dario Argento per Profondo Rosso (1975). Rambaldi progettò lo scimmione e portò a casa l’Oscar Special Achievement Award.

De Laurentiis, tra i più grandi produttori indipendenti che il cinema mondiale abbia mai avuto, era prima di tutto uno scopritore di talenti: Italiani che spesso portava con ste negli Stati Uniti, ma altrettanto spesso americani che, senza di lui, avrebbero tardato a spiccare il volo. Oliver Stone e David Lynch erano tra questi, e non è dunque un caso se Rambaldi finì per lavorare con loro, prima con La mano (1981), successivamente con Dune (1984).

La collaborazione per cui è più ricordato resta però quella con Steven Spielberg: Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977) e l’indimenticabile E. T. l’extra-terrestre (1982), che gli regalò il terzo Oscar. Qualcosa di brutto ma innocente: queste le semplici indicazioni offerte da Spielberg per la realizzazione di E.T..

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Disegni originali di Carlo Rambaldi per la lavorazione di E.T.

  • IMAGO / Cover-Images

Rambaldi era conscio che creare il brutto fosse più complicato che fare il bello “perché la cosa si presta a tante possibilità. C’è il brutto spaventoso, quello simpatico, l’antipatico e via dicendo.” Per risolvere la questione gli bastò osservare il proprio gatto e trovare l’innocenza nei suoi occhi. Gli stessi che ispirarono l’alieno. Con gli alieni, Rambaldi, aveva dopotutto una certa dimestichezza, non solo per le sue due collaborazioni con Spielberg, ma perché Ridley Scott e H. R. Giger si affidarono a lui per la creatura di Alien (1979), che gli avrebbe fatto vincere il suo secondo Oscar.

Un bestiario affascinate e immortale, quello creato da Rambaldi. Creature lontane dagli effetti digitali che lui stesso disdegnava, a favore di un approccio artigianale nel quale realismo e meccanica erano essenziali per infondere vita alla creatura. Una fantasia alimentata dal fascino per l’ignoto, ritenuto padre della spettacolarità nonché dimensione in cui ciò che non conosciamo e ciò che riusciamo a immaginare diventano possibili.

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