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Dee, mostri, strumenti del patriarcato: il mito delle sirene

Dall’Odissea alla serie di Netflix “Sirens”, la voce e il corpo delle sirene come specchio del ruolo femminile nella società attraverso i millenni

  • 18 settembre, 16:24
  • 18 settembre, 17:43
Sirena e tritone, stampa del XV secolo

Sirena e tritone, stampa del XV secolo

  • IMAGO / piemags
Di: Valentina Mira 

Basta una serie tv, a farci concludere che un simbolo culturale antico come la Storia sia ormai irrimediabilmente compromesso? Forse suona apocalittico, ma è quel che inevitabilmente viene da pensare riguardando Sirens, cinque puntate di circa un’ora su Netflix, tra i successi degli ultimi mesi per la piattaforma americana.

Solo un telefilm, eppure capace di testimoniare il depauperamento del simbolo-sirena.  

Solo un telefilm, ma racconta un passaggio, una discesa: dalla dea Siria, divinità protettrice del popolo oppresso dei siriaci, attraverso la misoginia intrinseca nella demonizzazione della voce della sirena (Omero) e del corpo della stessa (Medioevo), fino all’approdo in un’epoca in cui la sirena non è un pericolo per gli uomini ma solo per le altre donne. Può essere una chiave per capire a quale ruolo si vorrebbe riportare la donna nella società? Andiamo con ordine.

S’inizierà raccontando in breve la trama di Sirens, che pure conosce il mito, seppur forse in maniera superficiale. Due sorelle (Devon e Simone), un padre alcolista, una madre morta suicida. La prima si prende cura della seconda: il risultato è che lei ha il complesso della salvatrice (si sa prendere cura degli altri ma non di sé, e quindi non lo sa fare per davvero neanche nei confronti degli altri), mentre l’altra è bloccata in un egoismo utilitaristico e finisce per parassitare (e tradire) le persone da cui dipende emotivamente ed economicamente.
Devon parte, all’ennesima crisi del padre, per chiedere finalmente una mano anche a Simone. La trova in un’isola, apparentemente succube di Michaela detta Kiki (Julianne Moore), milionaria perché mantenuta da un milionario, nonché unica personaggia realmente interessante della serie.
Kiki – rossa di capelli, elegante, bellissima – è una filantropa, ma il suo maternalismo è un’altra faccia del patriarcato. Se lavori per lei, vivi con lei e devi dirle tutto: se non glielo dici, lo scopre. Kiki tutto controlla e tutto delibera, per la vita sua e delle altre. Tutti pensano che sia una bravissima persona.
Anche Devon, dopo averla contrastata, cade nella rete di questa pescatrice mascherata da sirena. Ma il vero coup de théâtre è il finale, in cui la giovane e innocua Simone “ruba” marito, vita e ruolo pseudo-sirenico a Kiki.
«Pete ci ha messo trent’anni a decidere che sono un mostro»
«Non sei un mostro»
«Non lo è neanche lei»

Dal dialogo in barca tra Devon e Michaela capiamo che la metafora che dà il titolo alla serie ha il suo fulcro esattamente nel comportamento utilitaristico di Michaela, ora spodestata, e di Simone.

Ma le sirene non dipendevano. Soprattutto, non erano mai altre donne, le loro vittime.

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Cliccultura: Sirens

Charlot 14.09.2025, 14:40

  • Imago Images
  • Valentina Mira

Lo stesso mito delle sirene nasce per raccontare la reazione di alcune fanciulle al rapimento di una sorella, Persefone, da parte di Ade. Come Devon, correvano a cercarla. Era Zeus, poi, a tradirle. Infine, mutate in esseri metà donna metà uccello, perduta la sorella, si vendicavano degli uomini per l’eternità. Non esattamente quel che succede nella serie.

Si renderà qui conto di un depotenziamento in funzione patriarcale del simbolo della sirena.

Due sono gli elementi delle donne che venivano mortificati di proposito con l’invenzione e lo sviluppo di questo mito: la voce e il corpo. Il libro-guida in tal senso è Sirene (Il Mulino) dell’antropologa Elisabetta Moro. Emblematico il passaggio da Andersen alla Disney. Nella fiaba del danese, la sirenetta rinunciava a voce e coda per amore, ma non veniva riamata; di fronte alla scelta tra vita e morte (sempre “per amore”) sceglieva la seconda, e veniva premiata da Dio per la sua abnegazione, trasformandosi in uno spirito dell’aria, ottenendo un’anima.

La sirenetta, 1989

La sirenetta, 1989

  • IMAGO / Everett Collection

La Disney decise che invece dopo la rinuncia a voce e corpo si poteva essere amate eccome, e ci regalava un apparente lieto fine. A ben vedere, l’unica antagonista del cartone è un’altra donna, Ursula. Il simbolo della sirena che viene diviso in due: la rivoluzionaria (bandita dal regno del Padre) e la mansueta, la domata per amore.

Questo dualismo è rimasto lost in translation, ma già c’era. Ne rende conto nel suo Appunti di storia del Cilento Amedeo La Greca, storico, forse il più grande studioso della zona cui si riferisce il titolo del saggio. Fa notare come nell’Odissea, al canto XII (vv. 165-167) Omero usasse il duale in riferimento non a una sirena, come pur è stato tramandato, ma a due. E ricostruisce la storia delle due sirene legate a Licosa: una era Ino, figlia di Cadmo, la sirena “buona”, che fuggì lì per salvarsi da una vendetta di qualche divinità capricciosa, e infine divenne dea benefica del mare. L’altra sirena della zona, la Licosia di cui parla Plinio il Vecchio, era ben più astiosa. La buona e la cattiva. Comunque, entrambe riottose e anti-patriarcali.

Di tale dualismo (e duale, a livello grammaticale) perso nel tempo, è rimasta traccia nel modo in cui viene riproposto oggi il mito. Che mai è stato diviso più di adesso. Da una parte il finto-femminismo di una serie del genere, in cui la sirena è donna che odia le altre donne; dall’altra i tentativi di critica sociale più letterari, come quello della distopia Sirene di Laura Pugno (lì le sirene non mangiano ma vengono mangiate, oltre che sfruttate sessualmente) o della Sirena di Black Conch di Monique Roffey, in cui sono gli uomini a dover cambiare atteggiamento verso il genere femminile e nello specifico verso la sirena che dà il titolo al libro; alcuni la catturano, il coprotagonista invece se ne prende cura: è così che la maledizione finisce, e lei finalmente torna umana.

Dossier: il mito della sirena

Cinque episodi per analizzare e approfondire la figura mitologica della sirena

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  • Dossier: il mito della sirena (1./5)

    Alphaville 11.11.2024, 12:05

    • Marco Pagani
  • Dossier: il mito della sirena (2./5)

    Alphaville 12.11.2024, 12:05

    • Marco Pagani
  • Dossier: il mito della sirena (3./5)

    Alphaville 13.11.2024, 12:05

    • Marco Pagani
  • Dossier: il mito della sirena (4./5)

    Alphaville 14.11.2024, 12:05

    • Marco Pagani
  • Dossier: il mito della sirena (5./5)

    Alphaville 15.11.2024, 12:05

    • Marco Pagani

Ricapitolando, nei secoli la sirena è stata: dea matriarcale (dea Siria), potente, addirittura bicaudata (due code di pesce); dea vessata nella voce (Omero e l’imposizione dei primi patriarcati, anche tramite il mito); simbolo da punire nel corpo e perfino da sterminare (la caccia alle streghe fu preceduta dal Roman de Troie, in cui s’immaginava Ulisse intento in una caccia alle sirene); mostro commercialmente sfruttabile (Barnum, ma anche le odierne code applicabili per fare il bagno); corpo martoriato del popolo (La pelle di Curzio Malaparte, dove la sirena mangiata era Partenope, Napoli), o direttamente delle donne (Laura Pugno)… per diventare a quanto pare una donna che mangia simbolicamente le altre donne.

Fuor di giudizio, studiare il mutamento del simbolo della sirena nei millenni permette di studiare il rapporto che la società ha con le donne. Il primo passo, ora, è di recuperare quel duale cui si riferisce Amedeo La Greca, cresciuto in un posto di sirene, e riunirlo in una visione della donna che sia finalmente integra.

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Libri che vale la pena di leggere - Laura Pugno

RSI Cult+ 20.03.2023, 00:00

  • Mara Travella; Francesco Gabaglio; Edoardo Nerboni

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