Cinema

Demon Slayer è il nuovo re del manga. Ma non ha inventato niente

Il successo di Japan Matsuri e quello del film Demon Slayer - Infinity Castle dimostrano che manga e anime dominano la cultura pop. A volte, raffinando formule vecchie di quarant’anni

  • Ieri, 18:04
Demon Slayer infinity castle.jpg

Fotogramma da Demon Slayer: Kimetsu no Yaiba - Infinity Castle

  • KEYSTONE
Di: Michele R. Serra 

Quando si parla di manga e anime, ultimamente si tende a mettere sul tavolo per prima cosa i numeri (cioè, i soldi). Che, per carità, sono enormi (cioè, moltissimi). Ma sono la conseguenza, non la causa: il successo economico delle storie provenienti dal Giappone nell’ultimo decennio dipende dal fatto che sono capaci di esercitare un fascino universale sulle menti di un’intera generazione – ragazze e ragazzi a cui i manga parlano, indipendentemente dai confini geografici e dai profili socioeconomici.

Pensavamo di essere noi quarantenni, ad aver visto il boom dei cartoni e dei fumetti nipponici in Occidente. Ci sbagliavamo: i manga hanno conquistato il mondo, per davvero, solo nell’ultimo decennio.

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Il papà di Goldrake al Japan Matsuri

Il Quotidiano 20.09.2025, 19:00

Il mondo, in questo caso, comprende anche quello più vicino a noi. Il successo – mostruoso, per il Canton Ticino – di una fiera come Japan Matsuri, che si è chiusa domenica scorsa a Bellinzona e ha visto la presenza di Go Nagai, si riflette in quello del film Demon Slayer – Infinity Castle, stabilmente primo per distacco nella classifica dei più visti nei cinema, negli ultimi dieci giorni. E la notizia non è tanto che un anime superi al botteghino Brad Pitt (in F1), o serie horror immensamente popolari come The Conjuring, quanto che i teenager abituati allo streaming casalingo si prendano la briga di frequentare le sale, ormai da molti considerate poco più che cascami novecenteschi destinati all’oblio.

Ma, dicevo, i numeri. Sarà banale, ma è il caso di citarli.
I biglietti staccati dall’ultimo Demon Slayer nelle città della Svizzera italiana non sono una sorprendente eccezione: il film ha guadagnato, per ora, più di mezzo miliardo di dollari nel mondo. Il precedente capitolo Demon Slayer – Il treno Mugen era diventato nel 2020 la pellicola giapponese più vista in patria e nel mondo, dopo aver detronizzato La città incantata di Hayao Miyazaki. Nel corso dell’estate che si è appena chiusa alle nostre spalle, il fumetto ha superato 220 milioni di copie vendute.

Di fronte a questi numeri, è ancora possibile considerare anime e manga un fenomeno di nicchia? Nell’epoca in cui le nicchie sono la cultura e la frammentazione è regola, una fama di questa portata universale è un’eccezione, è quanto di più mainstream ci possa essere. E nel 2050, dire Demon Slayer a chi era ragazzo nel 2025, sarà come dire Dragon Ball a chi oggi ha trent’anni o poco più.

Rimane da chiedersi come sia nato questo successo internazionale – e questo nuovo campione del manga da esportazione, che rappresenta la punta di diamante del soft power giapponese nel mondo. Certo, c’entra il fatto che la serie animata sia arrivata in streaming nel pieno della pandemia del 2020, quando la fame di contenuti del mondo occidentale era insaziabile. C’entra il fatto che lo stesso pubblico occidentale fosse, in quello stesso momento, ormai saturo di quelle storie ispirate al fumetto supereroico che avevano dominato le due decadi precedenti, e si sia così rivolto verso lidi che apparivano più esotici. Ma al di là di ogni congiuntura favorevole, Demon Slayer ha fatto quello che da sempre manga e anime sanno fare meglio di ogni altro prodotto narrativo: apparire fighi agli occhi dei ragazzi, in ogni angolo del globo.

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Demon Slayer

Nerd 3.0 09.11.2021, 16:45

  • Sega

Non c’è, in effetti, niente di rivoluzionario nella storia: si tratta del più prevedibile prototipo di manga shōnen.
Il protagonista è un adolescente maschio, che corrisponde esattamente al target di riferimento di questo tipo di fumetti (prima) e cartoni animati (poi), e risponde alle esigenze di segmentazione del pubblico tipiche dell’industria editoriale giapponese. Il giovane Tanjiro Kamado si unisce all’organizzazione degli Ammazzademoni, spadaccini che, nel Giappone dei primi del Novecento, combattono una malvagia schiatta di demoni mangiauomini. Le motivazioni dietro questa scelta sono drammatiche: la famiglia sterminata dai demoni stessi, la volontà di salvare la sorella, ultima sopravvissuta. Naturalmente Tanjiro, dopo un breve addestramento, diventa una macchina da guerra capace di tenere testa a mostri giganteschi con la sua katana e le sue arti marziali magiche, e comincia una potenzialmente infinita serie di peregrinazioni e duelli all’arma bianca, contro nemici sempre più potenti. Amici e alleati si uniranno a lui lungo la strada.

Intendiamoci, su questo scheletro narrativo si innestano strati e strati di storie: quello che oggi tutti amiamo chiamare lore. Tuttavia, l’idea di base non è niente di nuovo.
Però Demon Slayer ha il pregio di prendere la formula- shōnen e portarla a estremi drammatici spettacolari, sia dal punto di vista narrativo che da quello estetico. La tragedia iniziale che colpisce il protagonista è solo il primo esempio del modo in cui le emozioni dentro Demon Slayer siano sempre spinte al massimo. Un’intensità che si riflette nella rappresentazione della violenza – anche quella, una tacca sopra quello a cui i manga di arti marziali ci hanno abituati – e che, per esistere in questi termini, ha bisogno di ridurre invece al minimo le ambiguità: Demon Slayer è la lotta del bene contro il male, con ruoli sempre ben definiti. Quello che più conta è lo spettacolo messo in scena dai singoli scontri.

Demon Slayer anime.jpg

Fotogramma dalle serie Demon Slayer: Kimetsu no Yaiba

  • IMAGO / Capital Pictures

Ed eccola qui, la coolness citata poco più sopra: Tanjiro e i suoi sodali combattono mostri fantastici in scenari spettacolari, e lo fanno squadernando davanti agli occhi dello spettatore un’enciclopedia di tecniche di combattimento, ognuna con un nome evocativo, citato durante la battaglia. «Ruota d’acqua!», «Sole nascente incandescente!», eccetera.

Nient’altro che la versione aggiornata di ciò che esalta i ragazzini da mezzo secolo a questa parte, tra alabarde spaziali, pugni del pentimento di Hokuto, fulmini di Pegasus, tiri della tigre e Kaioken. Demon Slayer, ancora una volta, non inventa, ma offre la sua versione di una formula consolidata. Forse, dunque, è il prodotto perfetto per l’epoca post-post-moderna, in cui tutto è citazione e remix: tempi in cui giovani band producono canzoni soul che sembrano uscite dagli anni Cinquanta, il cinema inventa il concetto di legacy sequel e il vintage diventa l’ultima moda. Non so dire se sia noioso o, tutto sommato, rassicurante.

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