Cinema

Fat Suit

Corpi grassi nel cinema

  • 19.05.2023, 09:04
  • 14.09.2023, 09:01
Brendan Fraser-The whale

Brendan Fraser in "The Whale"

Di: Emanuela Musto 

Inutile negarlo, recentemente The Whale, vincitore di 3 premi Oscar, ha turbato molti spettatori e uno dei temi caldi è stato il fat suit. Il film parla di un professore di letteratura depresso, in fin di vita e talmente insicuro del proprio aspetto da non volersi mostrare ai propri studenti in video conferenza. Il protagonista è talmente distrutto dalla perdita del proprio compagno che l’unica cosa che gli rimane da fare prima di morire è ricucire il rapporto con la figlia adolescente, ma finisce per abbandonarsi al suo dolore cercando di uccidersi con il cibo. Ciò che cattura l'attenzione dello spettatore è soprattutto la fisicità di Charlie, un uomo “infinite fat” (persona che si trova al limite dello spettro del sovrappeso) che riesce a stento a camminare sotto il peso del proprio corpo.

The Whale, il trailer

Il canovaccio non è particolarmente originale, ma pregno di grassofobia; l’aspetto umano è completamente assente, ciò che non manca però sono i dettagli sulla “mostruosità” del corpo di Charlie, con gratuiti e impietosi primi piani di lui sotto la doccia, il rumore dei suoi passi nel silenzio dell’appartamento e un violento episodio di binge eating. Tutti dettagli che tendono a de-umanizzare il protagonista e fargli assumere dei tratti animaleschi. C’è però da dire che nonostante (o grazie) il fat suit, Brandan Fraser è stato talmente bravo nella sua interpretazione da arginare un po’ il tutto, del resto gli è valso l’Oscar.

Quando parliamo di grassofobia ci riferiamo alla paura irrazionale dei corpi grassi che sfocia in pregiudizi e discriminazioni in vari ambiti della vita come quella lavorativa, sociale e soprattutto sanitaria. Questa tendenza può essere proiettata verso gli altri o interiorizzata. La cinematografia ne è sempre stata piena e ha spesso fatto utilizzo del fat suit per scopi narrativi, solitamente con fini comici. Il fat suit è un costume di scena, un’imbottitura prostetica di gomma piuma indossata dall’interprete in film, serie tv e teatro, invece di inserire attori grassi in carne ed ossa.

La grassofobia grazie al body suit porta moltissimi esempi, una sequela di film e serie tv che negli anni ‘90/2000 l’hanno usato e ne hanno abusato come espediente umorista. Addirittura, erano in molte le star che volevano indossarlo per calarsi nei panni ridicoli di una fat person.
Basti pensare a “fat Monica” di Friends, un personaggio sciocco e goffo paragonato alla sua controparte magra e iperattiva, a Gwyneth Paltrow che rompeva sedie e lanciava mutandoni enormi in Amore a prima svista, a Mike Myers e il suo personaggio Ciccio Bastardo in Austin Power fino a Eddie Murphy che ne ha fatto il suo cavallo di battaglia in pellicole come Il Professore Matto e Norbit.

Ma gli anni a cavallo del nuovo millennio non sono stati gli unici ad essere problematici nella rappresentazione delle persone grasse. Vi sono molti esempi di grassofobia nella Disney che mostrano casi molto simili, una sfilza di personaggi grassi e buffi come quelli femminili: Miss Potts, la Fata Turchina, la tata della Carica dei 101, Lady Cocca in Robinhood, Flora, Fauna e Serenella in La bella addormentata. Tutte donne grasse di mezza età, materne e teneramente impacciate per cui risulta facile provare affetto, ma in cui nessuna bambina vorrebbe mai immedesimarsi. Innocue spalle comiche, macchiette con un arco narrativo che non include mai risvolti romantici o eroici.

Ma non vale solo per i personaggi femminili. Per fare qualche esempio concreto possiamo vedere anche Maurice, il padre di Bella (La bella e la bestia) essere un inventore amorevole, ma strampalato, anche il padre di Jasmine (Aladdin) è un docile vecchietto che si lascia assoggettare facilmente dal cattivo Jafar. Le persone grasse vengono quindi dipinte nella Disney spesso come poco intelligenti, pigre, deboli e questo può essere dovuto dal fatto che essere grassi viene socialmente interpretato come una cattiva scelta individuale e dunque molte persone sono razionalizzano come meritato qualsiasi trattamento inadeguato o dannoso che ricevono. I bambini apprenderebbero con troppa facilità l'equazione “grasso = stupido” e imparerebbero presto a discriminare le persone grasse e interiorizzare queste idee in relazione a se stessi, portando ad una scarsa autostima.

Stereotipi e fat jokes continuano a comparire anche in prodotti recenti (sebbene in maniera minore) si potrebbe quindi pensare che il fat suit sia diventato un oggetto di scena come un altro. Il problema principale di questo tipo di protesi sta nel significato che il grasso assume nella maggioranza delle storie: fonte di ridicolo, il prima di un dopo vincente o motivo di compatimento associato alla caduta del personaggio in un periodo buio (Thor in Avengers End Game o lo stesso Charlie in the Whale). Ma anche se alcune storie non ne parlano in questi termini, il leitmotiv continua ad essere che il grasso sia anomalo, strano e spettacolarizzato ad uso comico, ma soprattutto alla fine di una ripresa può essere sfilato come un vestito di scena a differenza delle persone con corpi non conformi.

Già nel 2002 in un articolo su Bitchfest intitolato “Are fat suits the new blackface?”, Marisa Melterz sosteneva che le stesse gag di Amore a prima svista o The nutty professor (Il professore matto) sarebbero risultate tristi e deprimenti se interpretate da una vera persona grassa, che nessuno avrebbe osato ridere, paragonando così il fat suit alla blackface e augurandosi un giorno sarebbe stato ricordato con vergogna.

Insatiable, il trailer

Oggi, seppure in numero minore, purtroppo assistiamo ancora ad episodi di fat suit e i casi di New Girl e Insatiable dimostrano come attori, produttori e registi si sentano ancora a proprio agio a usare un corpo grasso come un oggetto di scena. La saggista "fat positive" Your Fat Friend ha notato come i fat suit siano necessari solo se si vogliono raccontare le solite storie ridicole e stereotipate sulle persone grasse, dove protagonisti magri e belli ricordano in flashback di quando erano grassi, sfigati e goffi (Monica in Friends, Smith di New Girl) e in cui il pubblico ride liberamente dei corpi grassi che mangiano tanto, si rendono ridicoli, rompono sedie e fanno cose grottesche, tanto si tratta solo di costumi.
Ciò che risulta problematico del fat suit guardato in un contesto più ampio della società e nel contesto più ristretto del personaggio interpretato da Brandon Fraser è che si comunica che essere grassi corrisponde inequivocabilmente all’essere disperati.
Charlie è uno scrittore, un professore e un padre, ma viene ritratto come in costante attesa del cibo per poi rimpinzarsi, definirsi “disgustoso” e trascurare la propria igiene personale e quella dell’appartamento. Il risultato è la trasformazione del protagonista in un racconto ammonitore, piuttosto che la storia di una persona degna di rispetto, gioia e umanità. Anche se il regista Darren Aronofsky ha affermato che l’obiettivo del film è quello di creare un personaggio completamente elaborato che abbia sia parti cattive che buone. Viene da chiedersi se la visibilità e un racconto genuino fossero davvero uno degli obiettivi dei cineasti.
Perché usare l’attore Fraser con la protesi addosso e non un attore con un peso più vicino a quello del protagonista?
The Whale ha seguito la pessima tradizione hollywoodiana del fare indossare agli attori abiti grassi nei film e non può essere visto come un tentativo progressista di raccontare la vita grassa sul grande schermo.
Le persone con corpi non conformi hanno lo stesso diritto degli altri di apparire sul grande schermo, sentirsi rappresentati da storie veritiere e genuine, di accedere a scuole di recitazione e a casting come tutte le persone “normali”. Il problema del fat suit sta nel fatto che film e serie tv sono fatti da magri per intrattenere un’audience di magri, de-umanizzando e mortificando così la minoranza di persone grasse.

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