Cinema

“Una pallottola spuntata” faceva molto ridere, perché era molto serio

Come i fratelli Zucker sono riusciti a creare una formula comica di incredibile raffinatezza, e a sovvertire tutti i cliché del cinema hollywoodiano (che amavano)

  • 30 luglio, 23:34
  • Ieri, 12:03
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Leslie Nielsen in "Una pallottola spuntata"

  • IMAGO / Everett Collection
Di: Michele R. Serra 

«Il grande filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, una volta scrisse che, per comprendere veramente la condizione umana e divertirsi, era necessario andare al cinema». È l’incipit dell’autobiografia di Leslie Nielsen, nella quale racconta i retroscena di alcuni episodi-chiave della sua carriera: gli inizi con Cecil B. DeMille e Billy Wilder, i grandi successi con Alfred Hitchcock prima e Steven Spielberg poi, le coppie cinematografiche con James Dean, Grace Kelly e Clint Eastwood, i due Oscar, e infine – come dimenticarlo – il Nobel per la Buona Recitazione ottenuto nell’agosto 1990.
Tutto falso, ovviamente, a partire da Nietzsche – e tutto prova della genialità di Nielsen. Chi altri avrebbe potuto pensare di scrivere e mandare in stampa un’autobiografia inventata da capo a piedi? (Ok, in effetti a pensarci forse altri l’hanno fatto, ed erano pure persone che si prendevano maledettamente sul serio, mica attori comici... ma comunque). Chi altri non faticheremmo a immaginare al fianco di quelle leggende del cinema, magari sovraimposto in post-produzione con qualche effetto speciale di scarsa qualità? Il sorriso di Leslie Nielsen, in effetti, stava bene dappertutto. E un paio di Oscar li avrebbe meritati, se solo l’Academy non avesse tutti quei problemi di genere – nel senso che i film di genere, da sempre, li discrimina: se fai un film comico, molto difficilmente vincerai statuette. Tipo.

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Leslie Nielsen e Priscilla Presley in "Una pallottola spuntata"

  • IMAGO / EntertainmentPictures

Neanche una nomination per Jeff Bridges nel Grande Lebowski, ad esempio. Ma neppure per i Fratelli Marx, i Monty Python – che vabbè, ok, erano inglesi – o i Fratelli Zucker, tanto per cominciare a nominarli. Chissà perché, l’Academy ha sempre reso la vita ancor più difficile a chi, già di mestiere, cerca di fare la cosa più difficile in assoluto: far ridere il pubblico. E anche quando ha celebrato qualche comico, ha preferito storicamente le risate – per così dire – a denti stretti, da Frank Capra a Woody Allen. Ma anche questo, in fondo, non è altro che un pregiudizio. Chi glielo spiega ai giurati che, dal punto di vista cinematografico, una piccola increspatura del sopracciglio destro di Leslie Nielsen, al momento giusto, può valere quanto lo sguardo in camera più intensamente drammatico di Meryl Streep? Le peggiori discriminazioni di genere agli Oscar – e già ne avevamo abbastanza delle altre – sono contro il genere comico. Quelle contro chi fa ridere. Come se ridere non fosse una delle cose più importanti della nostra esistenza, una di quelle che ci fanno sentire – perdonate la banalità – vivi. Meditate, gente dell’Academy, meditate.

Perdonate la polemica. Era solo per sottolineare che, in effetti, a quasi quarant’anni dalla prima uscita nelle sale e nei giorni del lancio del terzo seguito – il primo con Liam Neeson a vestire i panni del detective Frank Drebin, già di Leslie Nielsen – possiamo dire che sia gli autori che il protagonista di Una pallottola spuntata avrebbero meritato più gloria e più onori, anche dalla cultura ufficiale. Allora, è il caso di citarli ancora una volta, almeno qui: gli autori Jerry, David Zucker e Jim Abrahams, lo sceneggiatore Pat Proft, il protagonista Leslie Nielsen.

Insieme, hanno costruito un capolavoro di comicità slapstick, giochi di parole stupidi, allusioni volgari quanto elegantissime, gag visive irresistibili e puro nonsense demenziale. Più di tutto, però, hanno reso evidente che la gente che fa più ridere, nella vita, è quella seria. O meglio, quella che si prende sul serio. Quella che fa discorsi seri. E che inevitabilmente viene seppellita da una risata naturale, sovversiva e – spero di non esagerare – rivoluzionaria.

21:59

Una risata vi seppellirà

Memorabilia 05.07.2025, 19:15

Il progetto dei fratelli Zucker era quello, sin dall’infanzia: Jerry e David, bambini a Milwaukee negli anni Sessanta, sono cresciuti consumando una dieta di telefilm drammatici come Gli intoccabili (la serie gangster con protagonista Robert Stack, odiata da Frank Sinatra e amata da Brian De Palma, che poi l’avrebbe rifatta al cinema) o Missione impossibile. In quei programmi i personaggi sullo schermo si prendevano così sul serio che risultavano ridicoli agli occhi dei due fratelli, tanto che Jerry e David li doppiavano in tempo reale, inventandosi battute assurde e senza senso. Vent’anni più tardi, gli Zucker avrebbero convinto quegli stessi attori che amavano da bambini a recitare davvero battute sbagliate e perfette: a partire dal serissimo Robert Stack, che finì per accettare di essere tra i protagonisti del loro primo successo, L’aereo più pazzo del mondo.
Leslie Nielsen è la personificazione di questa filosofia: faccia molto conosciuta del cinema e della televisione americana, protagonista di pellicole leggendarie come Il pianeta proibito sin dagli anni Cinquanta, noto per ruoli di eroe drammatico. Zucker e Zucker erano convinti che, certo, gli attori comici fossero bravi, nel far ridere, ma che un attore drammatico potesse essere molto più divertente, soprattutto se lo era in un modo, beh, non del tutto intenzionale.

Intendiamoci, non significa che film come Una pallottola spuntata non siano progettati per essere ridicoli, anzi. Non c’era improvvisazione, su quei set: tutto era controllato al millimetro dagli Zucker, da Abrahams e da Proft, ogni battuta discussa e limata. Il risultato è un catalogo di dialoghi serrati («Nessuno superava le sei righe, sulla sceneggiatura» amano dire gli Zucker nelle interviste), alternati alle già citate gag visive. In seguito, quel ritmo sincopato è diventato tipico della migliore comicità americana, dai Simpson in giù. Era avanti sui tempi, Una pallottola spuntata, ed è uno dei motivi per cui è invecchiato così bene. Ma ce ne sono altri.

Ad esempio, il fatto che non si tratta della parodia di un singolo film, ma di un intero genere, ovviamente drammatico: il poliziesco. Che veniva mostrato in tutta la sua ridicolaggine, con quel procedimento sovversivo enunciato qualche riga più sopra. Pare che il personaggio di Leslie Nielsen fosse, nell’idea degli Zucker, una combinazione di Lee Marvin e Clint Eastwood, due dei volti più quadrati di Hollywood (anche se, a dire il vero, il primo ottenne il suo unico Oscar con un film comico, Cat Ballou: una delle pochissime eccezioni alla discriminazione “di genere”). Nielsen lo interpretò alla lettera, senza alcun ammiccamento comico: non ce n’era bisogno, perché l’umorismo di Una pallottola spuntata funzionava proprio per contrasto. Era un vero film di genere, recitato come si recita un film drammatico: il comico era nel soggetto e nella sceneggiatura, ed era devastante.

La formula Zucker-Abrahams-Zucker era applicata con precisione, in ogni particolare: la colonna sonora e i titoli di coda, per dire, furono affidati a Elmer Bernstein, che aveva scritto la musica per I magnifici sette. A Bernstein fu chiesto di scrivere un grande tema “da B-movie”, e lui si divertì molto a comporre un’intera colonna sonora seria e magniloquente fino all’eccesso. Anche da questi particolari, si capisce chiaramente la raffinatezza dell’approccio di Zucker-Abrahams-Zucker, la profondità della loro riflessione sui cliché cinematografici hollywoodiani, che venivano riprodotti con grande precisione per poi essere distrutti, e trasformati in pura energia comica.
Sarebbe facile dire che un lavoro di tale livello sulla comicità oggi si trova assai più raramente, al cinema come in televisione, e che il pubblico sembra accontentarsi, sempre più spesso, di molto meno. Vedremo se Akiva Schaffer (ex del Saturday Night Live, quindi con buone credenziali) e Liam Neeson sapranno smentire anche questo luogo comune.  

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“Una pallottola spuntata”

Millevoci 31.07.2025, 10:05

  • IMAGO / EntertainmentPictures
  • Sergio Savoia, Francesca Margiotta e Marcello Fusetti

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