ANNIVERSARI ROCK

The Rocky Horror Picture Show, la chiesa della liberazione

14 agosto 1975: 50 anni fa l’esordio in sala del film di Jim Sharman, che avrebbe cambiato il modo di andare al cinema e demolito l’ipocrisia borghese

  • Oggi, 15:00
  • Oggi, 15:09
Rocky Horror Picture Show 1975_2.jpg

The Rocky Horror Picture Show, 1975

  • IMAGO / United Archives
Di: Nicola Lucchi 

A rigor di logica, i primi a credere in un progetto dovrebbero essere i suoi ideatori. Invece nemmeno il produttore Lou Adler avrebbe mai immaginato che una creatura come la sua potesse trasformarsi in un cult.

Eppure, “my unconventional conventionist”, è giunto il tempo di celebrare i cinquant’anni del film che ha saputo ribellarsi a ogni regola, riuscendo persino a stravolgere le più basilari norme della fruizione cinematografica. Perché assistere a una delle tante proiezioni che i cinema di tutto il mondo ancora offrono di The Rocky Horror Picture Show (1975) non significa gettare uno sguardo nostalgico nella cinematografia passata, ma compiere una cerimonia rituale, una liturgia profana. Significa partecipare al sacro baccanale capace di liberarci dalle nostre maschere, in un’attuale quanto delirante illustrazione delle nostre contraddizioni.

The Rocky Horror Picture Show 1975.jpg

Richard O Brien, Patricia Quinn in The Rocky Horror Picture Show

  • IMAGO / Allstar

Il pubblico americano non è insolito alle reazioni a scena aperta. Chi, negli Stati Uniti, ha assistito alla proiezione di un film in una sala gremita potrebbe essere incappato in un pubblico vivo, che non si limita a ridere delle battute, ma esulta all’ingresso dell’eroe risolutore, applaude ai gesti spettacolari, fischia le mosse scorrette del villain di turno. Se questo può già di per sé apparire una violazione dell’intimità della sala, la visione di The Rocky Horror Picture Show porta l’esperienza a un livello superiore. Di fronte al cult di Jim Sharman il buio prende colore, il silenzio trova una voce e ogni regola si infrange. I fan più fedeli si presentano in abiti di scena, i cori si sollevano per anticipare le battute e le musiche trasformano il pubblico nel vero protagonista della serata, tra carta igienica che vola insieme a coriandoli colorati e voci stonate che intonano brani imparati a memoria.

Ignorato persino dai fan che lo avrebbe in seguito celebrato, il film, visto come la noiosa e insensata rivisitazione del musical da cui è tratto, fu un flop in tutti i sensi. Un fallimento che, imprevedibilmente, si è trasformato in uno dei più vivi e longevi long running di sempre. Nemmeno l’epidemia di Covid ha saputo mettere in ginocchio il fenomeno, tra visioni collettive in streaming e contenuti social creati dai fan, come lo “Zoomy Horror Quarantine Show”, dove i partecipanti, vestiti e truccati a dovere, rievocavano l’intero film su Zoom, tra le pareti di casa. Del resto, come scrisse Larry Viezel, presidente del The Rocky Horror Picture Show Official Fan Club, il film è proprio questo: una casa. “Conosco molte persone la cui vita è stata salvata da questo film,” ha dichiarato Viezel. “Soprattutto per chi fa parte della comunità LGBT, è un luogo in cui poter essere se stessi e in cui trovare persone che diventano famiglia.”

06:31

All that musical! - 3

Charlot 30.03.2025, 14:40

  • Imago Images
  • Mattia Carzaniga

The Rocky Horror Picture Show non è mai stato solo un film, ma un atto di ribellione, un grido di libertà, una festa sfrenata per celebrare le diversità e smascherare l’ipocrisia del sistema. Quello stesso sistema che, secondo il Dr. Everett V. Scott (Jonathan Adams), deve essere protetto contro le azioni (e le idee) immorali e perverse del suo rivale, il Dr. Frank-N-Furter (Tim Curry). “Society must be protected,” dichiara infatti il Dr. Scott, in un’affermazione che, purtroppo, ancora oggi riecheggia in certa politica che fatica a riconoscere diritti basilari, o che vede nella diversità, anziché una ricchezza, un problema.

 Il Rocky Horror è un film politico, una viva e attualissima allegoria della società, il vivace ritratto di un mondo divorato dalla propria incoerenza, tra desiderio di libertà e incapacità di offrirne: è la fiammata dirompente che invoca una rivoluzione necessaria e, da cinquant’anni, sperata. È il Dr. Frank-N-Furter a incarnare questa rivolta: un alieno, un travestito, un genio folle, una rockstar decadente, un seduttore senza limiti, ma più di tutto, la personificazione del desiderio libero da qualsiasi regola. La sua esistenza sfida le norme di genere, deride le buone maniere borghesi, demolisce l’ipocrisia della moralità tradizionale.

Parodia e tributo di quasi cinquant’anni di cinema horror e fantascientifico, The Rocky Horror Picture Show parla in modo diretto e potente a chiunque si sente o si sia sentito diverso, escluso, incompreso. Frank, da prima antagonista e successivamente eroe vulnerabile, è l’emblema di questa diversità travolgente che è apertura all’altro. Come ha detto Barry Bostwick, che al fianco di Susan Sarandon interpreta la coppia borghese che finisce nelle grinfie di Frank: “Non posso nemmeno più dire che sia un film. È un movimento. È un movimento che sta raccogliendo seguaci. Siamo come la chiesa di Rocky Horror: la chiesa della liberazione.”

10:14

Susan Sarandon, attrice d'eccellenza

RSI Archivi 09.08.2005, 14:06

Guardando The Rocky Horror Picture Show oggi ci si accorge che le sue provocazioni non sono affatto invecchiate. I suoi temi ancora ci riguardano: identità di genere, libertà sessuale, diritto di scegliere chi amare e chi essere. In un mondo che ancora lotta contro discriminazioni e pregiudizi, in cui le comunità LGBTQIA+ continuano a dover difendere i propri diritti, il messaggio del Rocky Horror non ha perso nemmeno un briciolo della sua forza rivoluzionaria. Il film non dà risposte, ma invita a vivere la propria diversità come un atto di coraggio e di gioia, in una feroce satira contro la “normalità” borghese incarnata da Brad e Janet, che entrando nel castello vengono travolti in un mondo di pulsioni e libertà per loro inimmaginabili.

“Don’t dream it, be it” è forse la citazione che più di ogni altra sintetizza l’essenza di questo film immortale. Non limitarti a sognare chi vorresti essere, ci insegna Frank, sii quella persona. Un messaggio che continua a risuonare forte, libero, scandaloso e di cui oggi, più che mai, abbiamo bisogno. E così… “Let’s do the Time Warp again!”

Correlati

Ti potrebbe interessare