Top Gun, Allarme Rosso, jet sfreccianti nei cieli e sottomarini claustrofobici. Giorni di tuono, Unstoppable… il rombo delle stock cars sui circuiti Nascar e il rumore tellurico di treni senza controllo lanciati a tutta velocità verso la distruzione. Azione, movimento, adrenalina, riprese virtuosistiche, immagini curate. “Ipercinetico” e “patinato” sono due aggettivi utilizzati così spesso per descrivere il cinema di Tony Scott, da risultare abusati. Innegabile che siano corretti: ma da soli non esauriscono la forza del suo lavoro. La vicinanza agli attori, diretti con passione e sapienza per enfatizzare il loro essere grandi nomi del grande schermo più popolare, questo è un elemento ulteriore e importante quanto gli altri. Un altro sono le storie che li vedono protagonisti, storie ad alta velocità, storie di puro intrattenimento, che partono da idee immediate ed efficaci.
Tony Scott se ne è andato il 19 agosto del 2012, saltando giù dal Vincent Thomas Bridge di San Pedro, Los Angeles. In uno dei suoi film l’eroe sarebbe riemerso illeso dalle acque e avrebbe potuto essere una scena memorabile. Quel gesto invece, è stato spaventosamente reale e definitivo, un atto estremo, ha stabilito l’inchiesta, che ha chiuso in un dramma una vita e una carriera di successo spesa a Hollywood, divenuta la sua casa da quando negli anni Ottanta Scott aveva lasciato l’Inghilterra. Era nel 1944. Aveva 68 anni quando è morto.
Manca. Mancano quel cappellino rosso sempre in testa e quella voce pacata a contrastare con il ritmo sfrenato dei suoi film. Manca anche e soprattutto in tempi come questi, dove di azione il cinema ne regala sì a iosa, a braccetto con effetti speciali e produzioni multimilionarie che però da soli non bastano a emozionare. Mancano il suo tocco, il suo stile e quella marcia in più. Ce ne rendiamo conto proprio nella loro assenza. In vita è stato sottovalutato, un ottimo regista di action movies e thriller, ineccepibile dal profilo tecnico e questo gli è stato riconosciuto, ma mai un autore come il fratello maggiore Ridley, la cui ombra ingombrante forse gli ha impedito di avere tutta la considerazione che avrebbe meritato.
Voleva fare il pittore, il giovane Anthony David Leighton Scott, da Tynemouth, Northumberland, Inghilterra nordorientale. Ed è finito – la citazione è del regista Cameron Beyl – a dipingere sulla tela dello schermo. In mezzo, fondamentale, c’è il mondo della pubblicità, cardine della sua formazione. Dopo gli studi al Royal College of Art di Londra in quel mondo ci è stato tirato dentro proprio da Ridley, unendosi alla compagnia fondata da quest’ultimo, la Ridley Scott Associates. Se è con gli spot che i due fratelli hanno imparato il mestiere e la tecnica solidissima, entrambi miravano però da subito al lungometraggio, un traguardo per raggiungere il quale, grazie al successo della compagnia pubblicitaria, nel 1970 fondano la casa di produzione Scott Free. One of The Missing, tratto da un racconto di Ambrose Bierce, è il primo corto da regista di Tony (come attore aveva invece recitato nel 1965 in Boy and Bycicle, primo cortometraggio del fratello). Dimostrava la sua stoffa già allora, nel 1971, e venne premiato al Sitges in Catalogna. Toccherà proprio a lui essere il primo dei due a confrontarsi con un film di finzione più lungo, dirigendo nel 1974 L’auteur de Beltraffio per la televisione francese, episodio di una serie dedicata a Henry James alla quale gli Scott erano stati chiamati a collaborare: pare che per decidere chi si sarebbe seduto dietro la macchina da presa abbiano fatto a testa o croce.
Ridley dal canto suo aspetterà fino al 1977 ma ne varrà la pena. I duellanti è il suo esordio sul grande schermo tanto folgorante da conquistarsi a Cannes il premio per la miglior opera prima. Alien e Blade Runner seguono a ruota: l’enorme talento di Mister Ridley agli inizi degli anni Ottanta è ormai tanto conclamato da assicurargli un posto nella storia del cinema. Tony avrà invece la sua prima occasione cinematografica nel 1983, con Miriam si sveglia a mezzanotte interpretato d David Bowie, Susan Sarandon e Catherine Deneuve, un film di vampiri che se è una riprova del suo spessore come regista, discostandosi dai canoni del genere non otterrà grande successo commerciale. Ancora una volta sarà la pubblicità a tenerlo in movimento. È grazie a uno spot della Saab, dove una vettura e un jet tengono alto il marchio dello storico gruppo industriale svedese, che i produttori Jerry Bruckheimer e Don Simpson, allora sul trono di Hollywood, si interessano a Tony per il progetto che stanno mettendo in piedi. Il film è Top Gun, sarà il campione di incassi del 1986 e resterà nel cuore del pubblico. Il resto è storia.
Tony Scott, nei 16 film che ha realizzato per il grande schermo, ha avuto la fortuna o il fiuto di circondarsi spesso di squadre affiatate in quel lavoro collettivo che è il cinema. Con Bruckheimer e Simpson (coi quali comunque non mancarono le discussioni fin da subito) realizzerà altri film di cassetta, come il sequel di Beverly Hills Cop (1987) o Giorni di tuono (1990) ancora con Tom Cruise, che Top Gun aveva definitivamente reso una stella di prima grandezza. Proprio con gli attori il discorso delle collaborazioni reiterate si fa ancora più evidente. Che dire di Denzel Washington, per Scott qualcosa di molto vicino a un attore feticcio? Cinque i film realizzati insieme, Allarme Rosso (1995), Déjà Vu (2006), Pelham 123 (2009), Unstoppable (2010) e soprattutto uno dei migliori film di Scott, il violento e melodrammatico Man on Fire (2004) con il suo protagonista tormentato e giustiziere, uno di quelli che al regista piacevano molto per quella giusta dose di conflitto interiore, sufficiente a non farli sparire in mezzo a immagini e sequenze frenetiche. Un film quest’ultimo che ne richiama un altro, Revenge (1990), cupo e con scambi memorabili fra Kevin Costner e Anthony Quinn, ma meno fortunato dal profilo commerciale. Scott poi non ha solo contribuito a far entrare diversi attori nell’immaginario collettivo: certe volte è pure riuscito a rilanciarne la carriera o a fiutare la caratura di alcuni nomi prima che si conclamasse. È il caso di Bruce Willis che dopo il flop di Hudson Hawk diretto da Michael Lehmann, ha ritrovato proprio con Scott la sua brillantezza in L’ultimo boyscout (1991); è il caso di Quentin Tarantino a cui si deve la sceneggiatura di Una vita al massimo (1993), oggi considerato un piccolo cult.
Regista per il cinema fra i cui titoli ci sono anche Nemico pubblico del 1998 (Gene Hackman e Will Smith in una sorta di serrato sequel de La conversazione di Coppola) o Spy Game del 2001 (con Brad Pitt e Robert Redford quasi padre e figlio per quanto si somigliano); regista per la pubblicità con una manciata di spot memorabili; regista di videoclip musicali, come Danger Zone di Kenny Loggins dalla colonna sonora di Top Gun o One More Try di George Michael. Produttore, anche di serie come la fortunata Numb3rs. Tony Scott era un uomo di successo, ancora nel pieno della sua carriera. Certo, non tutti i suoi film, per l’implacabile metro hollywoodiano degli incassi al botteghino, avevano fatto centro – è il caso di The Fan (1996) con De Niro e Wesley Snipes, o di Domino (2005) con Keira Knightley e Mickey Rourke – ma la maggior parte sì. Era in piena attività. Proprio nei giorni precedenti al dramma stava facendo dei sopralluoghi per il sequel di Top Gun, che finalmente scaldava i motori. Dopo la sua morte il progetto fu congelato e solo quest’anno Top Gun: Maverick è approdato al cinema, per la regia di Joseph Kosinski, nuovo campione di incassi dedicato proprio a chi ha diretto l’originale. Nel cassetto Tony Scott aveva anche il remake del classico di Walter Hill I guerrieri della notte, che voleva riambientare a Los Angeles. Subito dopo il suicidio circolarono voci su un cancro al cervello non operabile che lo avrebbe afflitto, ma questo non risultò dal rapporto del medico legale che invece evidenziò la presenza di antidepressivi e sonniferi. Quel che è certo è che nessuno aveva visto arrivare la tragedia, chi lo conosceva disse che era di buon umore e pieno di energia. Il motivo del gesto resta un mistero. Da fuori, la vita di Tony Scott sembrava luminosa come uno dei tramonti incandescenti dei suoi film.