Il percorso sinodale della Chiesa italiana si è concluso nei giorni scorsi con un documento finale che tenta di tracciare una via di maggiore accoglienza verso le persone LGBTQIA+, ma che al tempo stesso mette in evidenza le profonde divisioni all’interno dell’episcopato.
Il testo conclusivo, intitolato “Lievito di pace e di speranza”, approvato il 25 ottobre 2025, invita le Chiese locali italiane a sostenere le giornate e le iniziative contro l’omofobia e la transfobia. Si tratta certamente di un segnale di apertura significativo, che tuttavia si è scontrato con le resistenze di una parte dell’episcopato, evidenziando un equilibrio delicato tra la spinta riformatrice e la fedeltà alla tradizione più conservatrice.
Nei giorni successivi alla pubblicazione del documento, diversi quotidiani italiani hanno titolato che «la Cei appoggia i Gay Pride» o che «i vescovi dicono sì ai Pride». Tuttavia, questa interpretazione non è del tutto corretta. Il documento sinodale non invita, infatti, a sostenere o partecipare alle manifestazioni del Pride, bensì a promuovere iniziative e giornate di sensibilizzazione contro ogni forma di discriminazione verso le persone omosessuali e transessuali. La differenza è sostanziale, si tratta di un impegno pastorale e sociale contro l’odio e l’esclusione, non di altro.
Qui il testo completo, paragrafo 30, punto D:
L’Assemblea sinodale avanza le seguenti proposte: che la Conferenza Episcopale Italiana (Cei) sostenga con la preghiera e la riflessione le “giornate” promosse dalla società civile per contrastare ogni forma di violenza e manifestare prossimità verso chi è ferito e discriminato (Giornate contro la violenza e discriminazione di genere, la pedofilia, il bullismo, il femminicidio, l’omofobia e transfobia, etc.); che le Chiese locali e le Conferenze Episcopali Regionali formino opportunamente gli operatori pastorali e si avvalgano di esperienze formative e prassi già in atto.
Il giorno seguente l’uscita dei titoli dei giornali italiani che parlavano di un appoggio della Cei ai Pride, è stato monsignor Erio Castellucci, vicepresidente per l’Italia settentrionale della Cei e presidente del Comitato Nazionale del Cammino sinodale, a correggere il tiro su Avvenire: L’invito, ha detto, «è stato equivocato, come se la Cei avallasse il Gay Pride, durante la conferenza stampa svoltasi dopo la votazione del documento. Invece la Chiesa aderisce già con il suo stile, ossia con la preghiera, a Giornate contro il femminicidio o gli abusi».
L’indicazione a contrastare l’omotransfobia, in ogni caso, è il frutto di un lungo processo di confronto e discernimento, nel quale è emersa la necessità di ribadire la dignità di ogni persona senza rinunciare ai principi della dottrina cattolica. Nonostante le intenzioni di inclusione, la proposta ha suscitato reazioni contrastanti tra i vescovi: alcuni l’hanno accolta come un segno di maturazione pastorale, mentre altri l’hanno definita «ambigua e inadeguata», come riportato da alcune testate cattoliche.
Il dibattito si inserisce in un contesto di più ampie discussioni che hanno caratterizzato il 2025 nella Chiesa italiana. Già a gennaio, la Cei aveva approvato nuove linee guida per l’ammissione in seminario, aprendo la possibilità anche a candidati omosessuali che vivano in castità, un gesto di apertura che tuttavia riaffermava i limiti della dottrina. A settembre, durante il Giubileo 2025, era stata organizzata per la prima volta una giornata dedicata ai pellegrini LGBTQIA+, con la partecipazione di circa 300 fedeli, un evento simbolico di visibilità e riconciliazione.
Anche qui le resistenze non sono mancate. Gruppi tradizionalisti e associazioni cattoliche conservatrici, come l’Unione Cristiani Cattolici Razionali (UCCR) e Pro Vita & Famiglia, hanno espresso forti critiche. La prima ha accusato la Chiesa di «inseguire il mondo», mentre la seconda ha ammonito la Cei a non confondere «accoglienza con approvazione», criticando i riferimenti all’identità di genere contenuti nel documento.
Le decisioni del sinodo riflettono le tensioni e le sfide che attraversano la Chiesa cattolica a livello globale. Si tratta di sfide che vanno oltre i confini italiani, e che attraversano i rapporti non sempre lineari fra cattolici e resto del mondo. L’impulso al dialogo e all’inclusione rappresenta comunque un segnale di cambiamento, sebbene i tempi e le modalità di questo processo continuino a suscitare discussioni. Resta ora da vedere come le singole diocesi interpreteranno e applicheranno le linee guida indicate. Il confronto sull’inclusione delle persone LGBTQIA+ nella Chiesa italiana, infatti, è tutt’altro che chiuso, ma il sinodo ha certamente segnato un punto di svolta visibile, anche se in qualche misura frainteso nei suoi reali contenuti.

Come parlare a scuola di omofobia e transfobia
Il Quotidiano 22.10.2025, 19:00





