Quanto si chiama comunemente Ferragosto da trascorrere per lo più in spiaggia o fuori casa, è per la Chiesa cattolica il giorno in cui si celebra l’assunzione di Maria alla gloria celeste in anima e corpo, laddove la tradizione orientale conosce e venera tale mistero col nome di κοίμησις o dormizione. Si tratta di una festa dal contenuto affascinante, volta originariamente a commemorare, al pari di quanto avveniva sin dai primi secoli coi martiri e poi coi santi in genere, il dies natalis di Maria, ossia il giorno di nascita della stessa alla vita eterna.
A veicolare l’idea che la fine della donna di Nazareth fosse stata diversa da quella di tutti gli altri furono soprattutto diversi apocrifi, solitamente indicati col nome di assunzionistici, che, collocabili tra il IV e il VI secolo – anche se basati su una fonte più antica, ascrivibile al III – ed estremamente diffusi per la paternità apostolica o subapostolica attribuiti ad alcuni di essi, riportavano la credenza attraverso dati compositi: trasferimento del corpo di Maria nel paradiso terrestre (testi del gruppo greco e siriaco); incorruzione del corpo di Maria nel sepolcro e successivo trasporto angelico in paradiso sotto l’albero della vita (testi del gruppo copto); assunzione in anima e corpo il terzo giorno dopo la sepoltura (testi del gruppo greco e latino). Frutto della pietà popolare ed espressione del sensus fidei, tali apocrifi «sono i primi – così il patrologo Angelo Gila – che hanno rotto il silenzio assoluto della Sacra Scrittura anche mantenuto dalla patristica dei primi secoli. Hanno svolto un ruolo non marginale nel rafforzamento di quella tradizione che ha mantenuto viva la consapevolezza del mistero sotteso alla fine terrena della vita della Madre di Dio. Hanno offerto temi all’omiletica assunzionista, all’iconografia. Hanno contribuito in maniera determinante allo sviluppo dottrinale del mistero della morte ed assunzione della Madre del Signore e allo sviluppo della devozione mariana» (Le più antiche testimonianze letterarie sulla morte e glorificazione della Madre di Dio. I racconti sul Transito di Maria tra fede e teologia, Messaggero 2010, p. 232).
Sotto quest’ultimo rispetto, al di là dei termini utilizzati – che nel secolo scorso sarebbero stati variamente interpretati nell’accesa disputa di area latina tra mortalisti, o sostenitori della morte e della successiva assunzione, e immortalisti, o sostenitori dell’assunzione senza previa morte come, ad esempio, Martin Jugie, Tibor Gallus e Gabriele Maria Roschini –, bisogna innanzitutto rilevare l’unanimità dei padri orientali, da Timoteo di Gerusalemme a Giovanni Damasceno, nell’affermare che Maria, come il figlio Gesù, gode già della vita eterna anche nel corpo: ella si differenzia così da tutti gli uomini e le donne, anticipandone e prefigurandone la comune sorte in riferimento alla risurrezione finale nella carne. In Occidente, invece, dove una prima e chiara attestazione favorevole la si ritrova in Gregorio di Tours (VI secolo), la credenza assunzionistica conobbe, soprattutto nel primo millennio, alterne fortune anche in seguito alla messa al bando dell’apocrifo Transitus sanctae Mariae da parte del cosiddetto Decreto gelasiano.
Ciò non influì sugli sviluppi liturgici della festa della Dormizione di Maria al 15 agosto, che, mutuata dagli usi gerosolimitani e bizantini, fu introdotta a Roma da papa Sergio I (687-701), finendo per assumere, nel corso del VII secolo la denominazione di Assumptio sanctae Mariae. La proscrizione pseudo-gelasiana ritardò e bloccò, al contrario, i relativi sviluppi dottrinari. Un caso esemplificativo al riguardo è quello di Ambrogio Autperto (seconda metà dell’VIII secolo), il cui sermone per la festa del 15 agosto recepì il titolo invalso di “Assunzione”. L’abate di San Vincenzo al Volturno, amico di Carlo Magno, lo svuotò però di qualsiasi riferimento al dato corporeo e ne ridusse la celebrazione a una generica commemorazione del dies natalis di Maria. Non perché volesse negare a prescindere l’assunzione corporea, ma perché non vi trovò nessun fondamento solido nelle Scritture e nella tradizione latina. Per Autperto tali dati, uniti all’inaccettabilità degli apocrifi e alla fallace argomentazione dell’introvabilità del corpo di Maria, dovevano piuttosto condurre a un atteggiamento agnostico sulle modalità della sua condizione paradisiaca. La posizione autpertiana sarebbe stata raccolta e radicalizzata nel IX secolo dalla Cogitis me di Pascasio Radberto, che entrata nella liturgia, sotto il nome di san Girolamo, avrebbe bloccato i progressi di fede nell’Assunzione sino all’inizio del periodo seguente. Quando, cioè, un altro testo pseudo-epigrafico, questa volta sotto il nome di sant’Agostino, avrebbe finito per eclissare quello di Radberto/Girolamo. Con lo Pseudo-Agostino assistiamo all’avanzata senza ostacoli della dottrina assunzionistica e arriviamo fino al ‘900, quando esso fu oggetto degli specifici studi del salesiano Giuseppe Quadrio, che ne fece fra l’altro menzione, il 12 dicembre 1946, nel corso di una celebre disputa alla Gregoriana (cui partecipò anche l’allora sostituto alla Segreteria di Stato, Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI).
L’1 maggio di quell’anno Pio XII, mosso dal numero esorbitante e sempre più crescente di petizioni per la definizione dogmatica dell’Assunzione – nel solo periodo che va dal 1921 al 1940 se ne erano registrate sei milioni quattrocentosettantunomila –, nonché attento all’intensificarsi di congressi mariani e, soprattutto, di una vasta, seria, documentata produzione teologica sull’argomento, aveva indirizzato a tutti i vescovi residenti l’enciclica Deiparae Virginis. Con questa lettera papa Pacelli intendeva avere informazioni dai presuli «sulla devozione del vostro clero e del vostro popolo (considerando la loro fede e la loro pietà) verso l’Assunzione della beatissima vergine Maria» e conoscere il parere degli stessi sulla possibilità di «proporre e definire come dogma di fede l’assunzione corporea della beatissima Vergine, e se ciò sia desiderato anche dal vostro clero e dal vostro popolo». Su millecentonovantuno risposte pervenute, ben millecentosessantanove (98,02%) furono incondizionatamente affermative, mentre soltanto ventidue (1,8%) avanzarono dubbi sull’opportunità e convenienza della definizione.
Quattro anni dopo, l’1 novembre 1950, Pio XII avrebbe dichiarato e definito come «dogma da Dio rivelato che l’immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo», richiamandosi espressamente, nella costituzione apostolica Munificentissimus Deus, proprio al duplice quesito da lui stesso avanzato nel ’46 e alla «risposta pressoché unanimemente affermativa» dell’episcopato cattolico. Riprova, invero, che un tale «singolare consenso, dell’episcopato cattolico e dei fedeli», presentando «il concorde insegnamento del magistero ordinario della chiesa e la fede concorde del popolo cristiano, da esso sostenuta e diretta», mostrava «in modo certo e infallibile» come l’assunzione corporea di Maria fosse «verità rivelata da Dio e contenuta in quel divino deposito che Cristo affidò alla sua Sposa, perché lo custodisse fedelmente e infallibilmente lo dichiarasse».
Con siffatto pronunciamento del supremo magistero l’assunzione veniva dunque tratta dallo stato di pia sentenza ed elevata alla dignità di verità di fede divino-cattolica, cioè proposta dalla Chiesa come divinamente e formalmente rivelata e, in quanto tale, irriformabile. Verità, che pur nell’assenza di una testimonianza esplicita e diretta della Bibbia e della tradizione dei primi secoli, Pacelli potette a ragione presentare, in un inciso della Munificentissimus Deus, comunque «fondata sulla Sacra Scrittura, insita profondamente nell’animo dei fedeli, confermata dal culto ecclesiastico fin dai tempi remotissimi, sommamente consona con altre verità rivelate, splendidamente illustrata e spiegata dallo studio della scienza e sapienza dei teologi». Non un colpo di testa, dunque, il solenne pronunciamento di Pio XII, bensì il coronamento di quel progresso dogmatico, che, per la dottrina cattolica, nient’altro è se non l’esperienza e l’approfondimento del deposito rivelato, che la Chiesa tutta, sotto la guida dello Spirito, compie ininterrottamente e determina e propone ufficialmente – come nel caso specifico dell’Assunzione – col suo magistero.
A 75 anni dalla proclamazione dogmatica, cui papa Pacelli procedette ad appena un lustro dalla fine seconda guerra mondiale, causa di milioni di morti e dello strazio, sfiguramento, brutalizzazione di innumerevoli corpi, è necessario – come già ricordava due decenni fa il noto mariologo servita Salvatore Maria Perrella – che l’Assunzione di Maria, «come ogni altro dato della fede», continui a essere letta e interpretata «nell’ottica della connexio veritatum», enucleandone «cioè il riferimento trinitario, cristologico, ecclesiologico, escatologico, antropologico, esemplare; così se ne intravedono possibili percorsi per una ricomprensione più vasta anche dal punto di vista della psicologia, della sfida femminista, della lettura ecumenica, inculturata» (Non temere di prendere con te Maria [Matteo 1, 20]. Maria e l’ecumenismo nel postmoderno, San Paolo 2004, p. 152).

Trasformare il lamento
Tempo dello spirito 10.08.2025, 08:00
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