Papa Leone XIV ha scelto di inaugurare il suo pontificato con un viaggio internazionale che, pur non cercando clamore mediatico, porta con sé un significato storico e politico di grande portata. Da oggi, 27 novembre, al 2 dicembre (2025), infatti, il Pontefice è prima Turchia, poi in Libano. Tuttavia, mentre gran parte dell’attenzione si concentra sulla celebrazione del 1700° anniversario del Concilio di Nicea, passa quasi sotto silenzio la tappa libanese. Eppure, è proprio questa la scelta più delicata. Leone, infatti, si reca in un Paese sotto attacco, colpito quotidianamente dai bombardamenti israeliani, dove la popolazione vive tra paura, precarietà e un futuro incerto. Non potendo per ovvie ragioni andare direttamente a Gaza nel cuore del conflitto, l’arrivo in Libano assume il valore di un gesto simbolico e profetico, un modo per avvicinarsi quanto più possibile al dolore delle popolazioni martoriate, per condividere le loro sofferenze e ribadire che la voce della Chiesa cattolica non si sottrae alle zone d’ombra della Storia, ma sceglie di farsi presente proprio là dove la speranza appare più fragile.
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Il Libano, già segnato da una crisi economica devastante e da una paralisi politica che ha indebolito le istituzioni, si trova oggi al centro di un conflitto che rischia di trascinarlo in una spirale di violenza senza fine. I raid israeliani hanno colpito infrastrutture e figure di spicco di Hezbollah, mentre la popolazione civile paga il prezzo più alto, costretta a convivere con la minaccia costante dei bombardamenti. In questo scenario, la presenza del vescovo di Roma assume un valore non da poco. Non parole, ma vicinanza concreta. È un gesto che parla più di tanti discorsi, un segno di solidarietà che ricorda alla comunità internazionale che il Libano non può essere dimenticato.
Leone XIV non è un Papa mediatico. Non cerca slogan né grandi palcoscenici. Il suo stile è sobrio, quasi dimesso, umile come dimostra la decisione di parlare a braccio ogni martedì sera ai giornalisti dopo l’ormai consueta giornata di riposo a Castel Gandolfo. Senza cercare la perfezione, risponde alle domande più disparate con semplicità, sempre ribadendo che il suo lavoro diplomatico punta solo soltanto ad un obiettivo, la pace nel mondo. Ed è anche per questo che il suo primo viaggio apostolico diventa un atto di rottura. Scegliere un Paese in guerra come tappa inaugurale significa mettere la pace al centro, senza proclami, ma con la forza dei fatti. È di fatto il primo Papa a compiere un viaggio inaugurale in un Paese sotto attacco militare, e questo dice molto del suo pontificato, inaugurato con un discorso dalla loggia centrale della basilica vaticana nel quale ha pronunciato la parola «pace» dieci volte.
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La visita in Libano ha un significato politico e spirituale insieme. Politico, perché richiama la comunità internazionale a non relegare il conflitto libanese a “questione collaterale” rispetto alle tensioni regionali. Spirituale, perché rafforza la speranza delle comunità cristiane e di tutte le popolazioni che resistono sotto le bombe. È un viaggio che di fatto rimette al centro la missione della Chiesa, quella di essere presente dove la sofferenza è più grande, dove la pace sembra impossibile, dove la voce dei deboli rischia di essere soffocata.
Il Libano, terra di convivenza fragile tra comunità religiose e culturali diverse, riceve così un segnale di attenzione internazionale. La presenza del Pontefice richiama il mondo a non dimenticare un Paese che, pur piccolo, ha un ruolo cruciale negli equilibri del Medio Oriente. La sua visita, ancora, diventa un invito al dialogo, alla riconciliazione, alla costruzione di un futuro che non sia segnato solo dalla guerra.



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Radiogiornale 27.11.2025, 07:00
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