Letteratura

Henry Miller

Il ritorno all'uomo e l'attualità del pensiero anticonformista

  • 17 December 2021, 23:00
  • 14 September 2023, 07:27
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Di: Marco Alloni  

“Una volta mollata l’anima, tutto procede da sé, anche nel più profondo del caos”. Queste righe inaugurali del romanzo Tropico del Capricorno hanno continuato a risuonare nella mente del sottoscritto per moltissimi anni. In un certo senso sono la sintesi estrema di quello che è sempre stato il pensiero essenziale di Henry Miller: liberare l’uomo dalle convenzioni e restituirlo alla sua natura più profonda.

Solo in questo senso credo che Miller sia ancora oggi uno scrittore scandaloso: non tanto per la sua propensione a raccontarci il sesso in tutte le sue declinazioni più spregiudicate (pensiamo a Opus pistorum) ma per averci avvertito che ogni forma di conformismo o conformazione al pensiero dominante, all’idem sentire di massa e alle norme sociali più viete è in definitiva una colpa. Sì, colpa non è eccesso erotico o sfrenatezza sessuale, ma in primo luogo adeguamento alla morale borghese e ai suoi dettami di presunta civiltà.

In questo senso Miller è ancora un autore in grado di insegnarci la ribellione e la libertà. E laddove è prassi acclimatarsi alle regole del moderno, della civiltà e del progresso tecnico-scientifico, ecco che il suo richiamo è a quella verità del primitivo che tutto evoca tranne l’adorazione dei feticci del modernismo.

Letto a un trentennio di distanza dagli incantamenti universitari – quando ogni singola frase dei suoi romanzi aveva il potere di proporsi in una incandescenza quasi oracolare – la prosa di Miller non suscita sicuramente più il medesimo effetto. Nella sua ruvida immediatezza ha anzi persino qualcosa di ingenuo, di approssimativo, di non sufficientemente affinato. Ma allo stesso tempo lo spirito di Miller, il furore mistico e surreale della sua anima, la sua stessa animalità si preservano come una sorta di imperativo a non accondiscendere mai, per nessuna ragione al mondo, agli stereotipi e agli apriorismi delle maggioranze: ovvero a riconoscere una perfetta coincidenza tra autenticità dell’uomo e anticonformismo.

Chi più e meglio di Miller seppe d’altronde rispondere, nell’opera in primo luogo, ma ancor prima nell’esempio della sua vita raminga, alle ingiunzione dell’allineamento? Chi meglio seppe riconsegnarci il nostro sguardo su noi stessi, ricondurci alla nostra umanità, a quelle che un certo linguaggio mistico chiamerebbe le essenze? Lettore appassionato di Spengler, Miller fu in effetti soprattutto un esegeta di quel pensiero antropologico secondo il quale non esiste autentica umanità se non laddove viene fatta tabula rasa di qualsiasi obbedienza a sistemi di riferimento professionali-lavorativi o morali-filosofici non conformi agli istinti primari. Quindi ecco il dispiegarsi di quella riluttanza all’adattamento che fa di Miller un vero e proprio paladino dell’emancipazione da qualunque sistema di potere e istanza di sopraffazione dell’Io. Una riluttanza che lo porta dapprima a rifuggire il sistema capitalistico americano, poi a cercare la propria personale bohème in Francia, quindi il proprio esilio volontario in Grecia (per scampare alle assurdità della guerra) e infine il proprio rientro trionfale tra le montagne della California (Big Sur e le arance di Jeronimus Bosh), dove finalmente assunse i suoi abiti definitivi di santone affrancato dalle brutture del mondo.

Un percorso che unisce l’incontro con una pleiade di personaggi indimenticabili, con un universo di donne irresistibili, ma anche con le più improbabili condizioni di indigenza e precarietà e con le più sofisticate riflessioni sull’Essere, il Destino, Dio, la Vita e la Morte. E che tanto riesce a esercitare ancora oggi il proprio influsso e la propria magia da farci esclamare: Forse, nel nostro attuale abbandono alla desolante fatalità della mercantilizzazione della vita, insieme a Miller stiamo dimenticando il lato più bello dell’uomo. E che cos’è il lato più bello dell’uomo? Forse il suo istinto al dominio, la sua voluttà di sopraffazione, il suo ristare tra le forme consentite della convivenza, il suo conformismo morale e sociale, la sua neghittosità intellettuale, il suo abbandono ai poteri e ai potenti? Più probabilmente, secondo l’insegnamento dell’autore di Plexus, è ritrovare semmai l’accordo recondito che ci affratella come componenti di un grande cosmo in cui solo imperativo irrinunciabile è celebrarlo giorno dopo giorno nel segno dell’amore e della passione.

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