Cinema

Peter Ustinov

C'era qualcosa di leggero e danzante nel suo aspetto

  • 16 aprile, 07:00
  • 16 aprile, 10:36
Ustinov
Di: Fabrizio Coli

Seppure celebri, seppure istantaneamente presenti alla mente non appena si pronuncia il suo nome, i personaggi a cui ha dato corpo non bastano a definirlo. Il suo talento proteiforme e bulimico è andato ben oltre la galleria di imperatori folli, simpatici truffatori, mercanti di schiavi, eccentrici investigatori e di tutti i ruoli che ha interpretato. Quel talento si è manifestato in cento modi diversi. Nato il 16 aprile 1921, attore due volte premiato con l’Oscar, ma anche autore e drammaturgo. Scrittore e affabulatore. Sceneggiatore, amante della musica e suo fine conoscitore, profondamente impegnato per la causa dell’Unicef. La lista può continuare. Un fuoco d’artificio che non ha mai smesso di brillare fino alla morte, avvenuta per insufficienza cardiaca il 28 marzo 2004 a Genolier nel canton Vaud, vicino a Bursins dove ha passato gli ultimi tre decenni della sua vita e dove riposa. Aveva 82 anni.

Un autentico cittadino del mondo, “concepito in Russia, nato in Inghilterra, che ha lavorato a Hollywood ed ha vissuto in Svizzera”, come avrebbe detto lui. Può darsi che la multidisciplinarietà che lo ha sempre contraddistinto abbia a che vedere con la multiculturalità delle sue origini. Le radici dell’albero genealogico di Peter Alexander Freiherr von Ustinov affondano in terre russe, tedesche, francesi, italiane e non solo, vi si incontrano missionari svizzeri in Etiopia, numerose personalità, nobili e persino un architetto imperiale. Già le figure dei suoi genitori potrebbero essere protagoniste di film o romanzi. Suo padre Jona Freiherr von Ustinov era stato giornalista e poi addetto stampa dell’ambasciata tedesca a Londra negli anni Trenta. Dopo la presa del potere di Hitler, iniziò a lavorare per l’intelligence inglese, diventando cittadino britannico. Su di lui è stato scritto anche un libro, Klop: Britain’s most Ingenious Secret Agent (Peter Day), per dire. La madre di Peter, Nadezhda Leontievna Benois, pittrice e scenografa, non era da meno.

Recitare, raccontare, scrivere. Sono queste le passioni che fin da ragazzo guidano Ustinov. “Scrivere – dirà nel 1982, la citazione è riportata dal necrologio pubblicato sul New York Times – è sempre stato il mio amore più profondo. Recitare è intrinsecamente facile. Sei come un camaleonte e ti adatti a varie circostanze e a quello che altre persone hanno scritto. Scrivere è qualcosa di più misterioso e più personale”.

Il suo è un talento precoce. Dopo aver seguito corsi di recitazione al London Theatre Studio, debutta sulle scene appena diciassettenne in alcuni esilaranti sketches per la rivista del Player’s Theatre. Non ha ancora vent’anni quando mette in scena il suo primo lavoro teatrale, la tragicommedia House of Regrets. Ci sono già tutte le basi per una carriera sfolgorante. Durante la Seconda guerra mondiale, serve nell’esercito inglese principalmente nell’unità cinematografica. Anche qui ha modo di recitare, partecipando ad alcuni film propagandistici. L’esordio vero e proprio è del 1942 in Volo senza ritorno (Michael Powell ed Emeric Pressburger). Fin dall’inizio il lavoro di Ustinov è intenso e su più fronti. Già nel 1949 co-dirige (con Michael Anderson) il film Private Angelo. Gli anni Cinquanta sono poi quelli dove acquisisce definitivamente fama internazionale. Nel kolossal Quo Vadis, diretto nel 1951 da Marvin LeRoy, buca lo schermo come un indimenticabile Nerone; è il principe di Galles in Lord Brummell (1954, Curtis Berhardt) con Elizabeth Taylor; al fianco di Humphrey Bogart è un evaso nella commedia Non siamo angeli di Michael Curtiz; per Max Ophüls è il crudele impresario di Lola Montès (1955). Ruoli diversi, dove eccelle giocando sui registri imitativi e sulla corporeità. A fargli conquistare il primo Oscar come migliore attore non protagonista è la parte del commerciante di schiavi Lentulo Batiato nello Spartacus di Stanley Kubrick (1960). Il secondo arriverà pochi anni dopo con Topkapi (1964, Jules Dassin), dove interpreta un truffaldino spiantato alle prese con un colpo più grande di lui. Infaticabile, mentre scala con successo il mondo del cinema, continua a scrivere per il teatro – The Love of Four Colonels è, nel 1951, il suo primo grande successo – e in patria diventa popolare anche in radio, dove è protagonista della commedia della BBC In All Directions. Il suo senso dell’umorismo è innato, intelligente, brillante e irresistibile. Come dirà lui stesso, era da sempre stato “irrevocabilmente promesso al riso”.

La profonda cultura cosmopolita di Peter Ustinov – che naturalmente è anche poliglotta: oltre all’inglese parla fluentemente russo, tedesco, francese e italiano – così come la sua umanità ne fanno negli anni un perfetto e brillante ospite di talk show, un fine commentatore e un abile narratore, sul palco, sullo schermo e sulla carta. Fra i suoi libri particolare successo hanno avuto l’autobiografia Dear Me e il volume My Russia, diventato anche un documentario per la BBC. Mentre macina tutto questo, Ustinov continua anche il suo impegno alla regia, dirigendo film di cui spesso è sceneggiatore. È il caso del drammatico Billy Budd (1962) dove rilegge Hermann Melville o delle commedie Romanoff e Giulietta (1961), divertente rielaborazione scespiriana, o Lady L. (1965) con Sophia Loren e Paul Newman. Per la sceneggiatura di Milioni che scottano, film del 1968 diretto da Eric Till, si guadagna anche una nomination agli Oscar.

Significative sono le parole dell’illustre attore e regista britannico Richard Attenborough riportate nel 2004 dal giornalista John Ezard sul Guardian. Anche se si parla dello Ustinov autore, il concetto può facilmente applicarsi a tutti gli altri aspetti della sua eclettica creatività, che se lo ha fatto brillare in molti campi, talvolta è risultata dispersiva. “Non c’era dubbio che fosse il genio della nostra generazione. Avrebbe potuto essere grande quanto Cechov o Shaw”. Ma, continua l’articolo, quando Ustinov era vicino ai settanta Attenborough si sentì di aggiungere che il suo collega “non aveva ancora scritto quello di cui era capace, in massima parte a causa della sua diversità di talento”.

Oltre a quelli già citati, nel cuore del pubblico restano i ruoli da protagonista in diversi film tratti dalle opere di Agatha Christie, dove Ustinov, dopo Albert Finney, ha vestito magistralmente i panni di Hercule Poirot dando un’interpretazione del celeberrimo investigatore belga tutt’ora molto amata, al cinema in Assassinio sul Nilo (John Guillermin, 1978), Delitto sotto il sole (Guy Hamilton, 1982) e Appuntamento con la morte (Michael Winner, 1988) e in tv con Agatha Christie: 13 a tavola, Caccia al delitto e Delitto in tre atti girati fra il 1985 e il 1986.

La sua carriera si è snodata per più di sessant’anni, attraverso produzioni europee e statunitensi. Sul grande e sul piccolo schermo Peter Ustinov ha interpretato una sessantina di film oltre a diverse miniserie televisive. Fra le ultime prove, una citazione merita il drammatico L’olio di Lorenzo di George Miller (1992).

Nominato baronetto nel 1990 dalla Corona britannica, Ustinov fino all’ultimo è rimasto attivo nel mondo del cinema. Dalla fine degli anni Sessanta però, la sua carriera attoriale è passata relativamente in secondo piano. È il periodo in cui si è trasferito in Svizzera. Col nostro Paese avrà un rapporto lungo e profondo, rimanendovi fino alla morte insieme alla famiglia (è stato sposato tre volte ed ha avuto quattro figli). Sono gli stessi anni in cui gran parte delle sue energie si spostano dalla recitazione e dalla scrittura su un altro fronte, quello che lo vede in prima linea a favore dell’Unicef, del quale diventa ambasciatore di buona volontà contribuendo instancabilmente col suo carisma e la sua popolarità alla causa dell’infanzia. Non si tratta di un dettaglio nella sua caleidoscopica esistenza, ma di uno degli assi portanti al quale ha devoluto un impegno trentennale. “Quest'uomo incredibilmente curioso e divertente era un virtuoso della comprensione”, scrive sul sito tedesco del Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia Rudi Tarneden, che come portavoce di Unicef Germania ha più volte lavorato con Ustinov. “Qualsiasi forma di arroganza gli era estranea. Ustinov, che probabilmente aveva stretto la mano a tutte le personalità famose del suo tempo (…) non si preoccupava di ciò che qualcuno rappresentava, ma di che tipo di persona era, del carattere”. “Chiunque abbia incontrato Sir Peter o l'abbia visto sul palco è rimasto incantato dalla presenza fisica di quest'uomo un po' rotondetto con le sue mani calde e morbide. C'era qualcosa di leggero e danzante in tutto il suo aspetto. (…) Gli occhi amichevoli e attenti erano sempre in movimento, alla ricerca di nuove impressioni, pronti in qualsiasi momento a trasferirle nel suo repertorio quasi illimitato”. Il ritratto umanissimo e affettuoso di un uomo intelligente e profondo, per cui le risate erano la musica più civile del mondo: soprattutto quelle dei bambini.

Requiem per Zoltán Peskó

Voi che sapete... 02.04.2020, 14:32

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