Società

Mark Zuckerberg

La forza della farsa

  • 9 April 2019, 10:12
  • 14 September 2023, 07:45
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Di: Maria Chiara Fornari

Ad un certo punto, Mark Zuckerberg, CEO di Facebook, è stato costretto a mettersi la cravatta per andare a rispondere della violazione delle norme sulla privacy davanti alle commissioni del senato e della camera, in riferimento alla questione dei dati sugli utenti Facebook ceduti a Cambridge Analytica.

Dismessa (giocoforza per l’occasione ufficiale) la t-shirt e la felpa con il cappuccio, l’ex nerd (oggi uno degli uomini più potenti e ricchi del mondo) ha dovuto fare di necessità virtù. Indossando i panni dell’adolescente con il vestito della comunione, ha recitato fino in fondo la parte del bravo ragazzo che ha capito e che non lo farà mai più. Agli attori dell’economia, d’altronde, non è solo chiesto di far bene impresa, ma anche di saper recitare a soggetto, palesare ai più di avere in mano la situazione e di essere ancora in grado di condurre il gioco, così da risollevare le sorti dei titoli in calo.

Il nuovo capitalismo, nato negli anni ’90 dalle immense possibilità offerte dalla deregolamentazione su cui è costruito l’universo di internet, è un grande castello di carte, che può saltare in aria anche a causa di una brezza leggera: critiche, dubbi, proteste (il titolo con lo scandalo Cambridge Analytica ha perso in un mese più del 13% in borsa). Urge dunque rassicurare, giocare il gioco fino in fondo, con determinazione e coraggio.

E allora bisogna istruire bene pure il barbiere. Occorre avere il capello tagliato di fresco in modo da renderlo il più somigliante possibile al personaggio che le televisioni di tutto il mondo devono mostrare nei loro telegiornali: un CEO indisciplinato che per l’occasione somiglia tanto ad uno scolaretto al primo giorno di scuola che, non c'è dubbio, ora ha imparato, ha capito e che non fa che ripetere come un robot: “Sì maestra”.

Si è immolato senza remore e senza ritegno, all’ineluttabile circo mediatico cosciente che sulla sua persona sarebbero piovuti sberleffi e dileggi. Oplà!, ed ecco che il nerd – scaltro, sicuro di sè e battutaro – si trasforma in un batter d’occhio nell’assicuratore rassicurante, che di porta in porta s’affretta a dire che c’è solo una cosa che gli sta a cuore: che noi tutti si possa continuare a mantenere i contatti con amici e parenti lontani e che noi lo si possa fare gratuitamente. Il re degli avatar, degli alter ego, dei profili fake, ha mandato al Senato statunitense la sua controfigura, il suo gemello. Il sistema ha colto in fallo il nerd con la felpa? Ecco, allora, che spunta da dietro una quinta il giovane uomo d’affari, quello che fa parte del gioco, che giura e garantisce, perché ciò che deve fare è rassicurare. A volte non risponde, ma solo perché la domanda è troppo specifica. Ma risponderà, molto presto. Non si sa a chi, non si sa quando, ma risponderà. Forse.

La recita a soggetto è andata piuttosto bene, tanto che ha rassicurato la borsa e il titolo ha ripreso quota. Ma, probabilmente, ci si poteva anche impegnare di meno: l’ingenuità di alcune domande di chi dovrebbe essere garante dei nostri interessi di individui, cittadini, oltre che consumatori, faceva infatti pensare che non si trattasse affatto di un’audizione investigativa, ma di un’immensa recita.
Tutta un’economia trainante, quella della Silicon Valley, era davanti al televisore, festante di assistere alla recita di un Congresso garantista, che gioca il ruolo dell’arbitro inflessibile, ma che sa di non avere i mezzi per intervenire. Del resto che le nuove tecnologie abbiano costruito il loro impero sulle zone d’ombra, nel sottosuolo della regolamentazione, non è certo una novità disvelata dallo scandalo di Cambridge Analytica.

Nel 2011 la Federal Trade Commission degli Stati Uniti accusava Facebook di aver spacciato ai suoi utenti di poter mantenere riservate le loro informazioni personali, mentre invece permetteva che fossero condivise e rese pubbliche. Nel 2012 L’Unione Europea ha costretto FB a ritirare la funzione di riconoscimento facciale che permetteva di taggare le fotografie. Nel maggio 2017 La Commissione europea ha multato FB per aver incrociato i dati di Facebook con quelli di WhatsApp. Nel dicembre 2017 l’Antitrust in Germania apre un’indagine su Facebook per abuso di posizione dominante, per aver raccolto dati sul modo in cui gli utenti usano i servizi online. Nel febbraio 2018 in Belgio un tribunale intima a Facebook di non tracciare gli utenti su siti esterni al social network. E poi è arrivata pure l’inchiesta dell’Observer, del New York Times e della Tv britannica Channel 4, che svela come i dati Facebook siano stati usati da Cambridge Analytica per influenzare il voto sulla Brexit e per le presidenziali USA del 2016. Una sorta di ciliegina sulla torta. E non sarà l’ultima a giudicare dal ghigno di Zuckerberg che per un attimo perde la concentrazione e lascia trapelare la sua vera natura, quella dell’adolescente ribelle, del nerd recalcitrante ad ogni regolamentazione, ma soprattutto alle norme dettate da altri. Accade quando il senatore gli chiede furbescamente lumi su come possa garantire la gratuità di Facebook.

Mark Zuckerberg risponde al senatore Hatch: "We run ads"

RSI Dossier 17.04.2018, 10:52

Zuckenberg non ne fa tesoro: vende pubblicità. I dati sono il petrolio del suo business. Lo si capisce bene dalla storia stessa di Facebook. È chiaro che l’economia digitale ha tutto l’interesse a distruggere il concetto di privacy. Tutto ciò non sarebbe grave se potessimo contare su un sistema forte che limiti e sorvegli gli sviluppi di questi grandi network che scompongono le nostre vite e ne fanno tanti dati da vendere al mercato. Ma gli arbitri sono arbitrari, i giudici non giudicano e soprattutto le leggi sono lacunose. Ce lo ricorda Robert Reich nel suo “Saving capitalism” best seller ora divenuto documentario disponibile sulla piattaforma Netflix. Docente di politiche pubbliche all’Università di Berkeley, ed ex ministro del lavoro durante la presidenza Clinton, Reich descrive un sistema economico che negli Stati Uniti lavora per un gruppo sempre più ristretto di persone.

Di certo molta gente sa che il gioco è truccato, lo sa, lo vede, ma non sa bene in che modo venga manipolato.

È una sensazione antica come il capitalismo, accadeva ieri e accade ancor oggi, solo più pacchianamente, nella prolifica e ridente Silicon Valley.

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