Letteratura

Cento anni di Ossi di seppia

Attorno a una delle raccolte poetiche più influenti del Novecento italiano ed europeo

  • Ieri, 15:00
Eugenio Montale

Eugenio Montale

Di: Elia Bosco 

Quando Eugenio Montale pubblicò gli Ossi di seppia per la prima volta il 15 giugno 1925 - all’interno della rivista di Piero Gobetti, «La Rivoluzione liberale» - il libro fu ignorato dalla stragrande maggioranza delle persone. Solo in seguito, con la seconda edizione ampliata e quelle successive (pubblicate nel ‘31 e nel ‘48 per Mondadori), la critica si accorse della straordinaria originalità della raccolta d’esordio della poetica montaliana. A cento anni dalla sua prima pubblicazione, l’opera di Montale rappresenta un caposaldo della letteratura italiana ed europea del Novecento, perché capace di evocare temi esistenziali, pregni di umanità, che tendono all’universale attraverso parole ed immagini che rimandano alla dimensione essenziale, scarna dell’umana esistenza.

Questa dimensione, centrale nella poetica montaliana, è racchiusa già nel titolo della raccolta: l’osso di seppia è la vita ridotta all’essenziale, consumata dal tempo e privata di tutto ciò che è superfluo. In questo senso, il suggestivo titolo esprime la volontà di Montale di aderire alla realtà facendo proprio tutto il carico di sofferenza, amarezza e fatalità che la definisce, alla ricerca di uno spiraglio che ne faccia intuire la profonda verità ed essenza.

25:09

"Spesso il male di vivere ho incontrato": il Nobel a Montale

RSI Shared Content DME 11.08.2020, 11:00

Per l’atteggiamento speculativo e le tematiche che contraddistinguono il libro, Ossi di seppia presentò Montale come poeta “filosofico” e, potremmo dire, “metafisico”: sullo sfondo dell’aspro e crudo paesaggio ligure, che diventa a sua volta metafora della sofferenza tanto del poeta quanto dell’umanità intera (esemplare in tal senso Meriggiare pallido e assorto), Montale affronta le tematiche dell’esistenza, l’avverso e antagonista destino dell’uomo, mettendosi ostinatamente alla ricerca di un senso nelle vicende umane:

Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.

Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.

Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
m entre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.

E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

E. Montale, Meriggiare pallido e assorto

1:26:46

Eugenio Montale con Fabio Pusterla

Speciali 27.02.2019, 18:00

Nei confronti dell’angoscia del vivere, che è il nucleo tematico della raccolta, l’atteggiamento del poeta è sempre in bilico tra la disperazione e la speranza di un miracolo che possa squarciare il velo delle apparenze (tema principale di Forse un mattino andando in un’aria di vetro, dove il poeta mostra come dietro il velo delle apparenze si riveli in realtà un ulteriore scacco, l’«inganno consueto») e riscattare il disagio dell’esistenza:

Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore da ubriaco.

Poi, come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto
alberi, case, colli per l’inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.

E. Montale, Forse un mattino andando in un’aria di vetro

01:46

Il Ticino di Eugenio Montale

RSI Archivi 28.04.1967, 09:00

Montale si confronta con la negatività dell’esistenza, il “male di vivere”, quasi nella totalità della raccolta, per poi culminare nella lirica intitolata Spesso il male di vivere ho incontrato. Come anticipato, non c’è mai, a ben vedere, solo pessimismo, perché l’afflato poetico di Montale, pur prendendo atto della tragica condizione umana, resta sempre in attesa di un miracolo intrinseco nella stessa realtà, simbolo di una volontà di riscatto e di una speranza di salvezza. Questa attesa salvifica è spesso affidata a un’interlocutrice, un “tu” poetico, una vaga e indefinita figura femminile con la quale Montale cerca di stabilire un contatto: essa incarna la volontà profonda del poeta di cogliere quel varco, di intravedere quello spiraglio capace di liberarlo, e noi attraverso lui, dalle angosce dell’esistenza.

Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

E. Montale, Spesso il male di vivere ho incontrato

08:42

100 anni di “Ossi di seppia”

Alphaville 08.05.2025, 11:05

  • oscarmondadori.it
  • Cristina Artoni

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