Letteratura

Essere cosa tra le cose

L'etica dell’agopuntore nella prosa di Rainer Maria Rilke

  • 06.06.2022, 09:00
  • 14.09.2023, 09:19
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Di: Marco Alloni  

Com’è leggera la voce di Rilke nel ritrarre la pesantezza delle cose! I quaderni di Malte Laurids Brigge esprimono, come pochissimi altri capolavori, il miracolo di una prosa agita nel profondo dalla poesia. Non però di quella poesia che cerca l’incantamento retorico alludendo a un mondo che tanto più sarebbe poetico quanto più bello. Ma di quella poesia filosofica che quando si imprime nella prosa conferma come l’inconoscibilità e l’irrappresentabilità possano essere affrontate solo dalla letteratura: almeno quando la letteratura cessa di essere conoscenza e rappresentazione e diventa espressione in sé del reale.

Nel singolare romanzo di Rilke non esiste in effetti alcuna trama che non sia la trama stessa del reale: i “fatti” non sono gli accadimenti, non è quanto pure accade, ma quella sorta di accadere in sé che soltanto una certa voce, un certo sguardo, possono suscitare.

Così non importa quel che succede, quanti e quali personaggi agiscano il racconto, ma la natura stessa, la natura intima e segreta del succedere, il modo in cui gli accadimenti trascendono la loro esteriorità per riflettere il proprio imponderabile quid.

Ci sono, a inizio romanzo, alcune pennellate sull’umanità dolente che popola la Parigi di inizio Novecento. Ma per quanta “sociologia della miseria” possa trasudare da tali affreschi, l’aspetto che soggioga di più è che di tale umanità, della sua sofferenza, Rilke indovina una sorta di inseità che scava a tal punto in profondità da svellere le cose dall’esteriorità come essenze del tutto sconosciute fino a un attimo prima.

Non con la pesantezza di uno scandaglio filosofico, tuttavia. Ma semmai con quella scanzonata e ispirata leggerezza che tocca i gangli più intimi del reale senza imporre loro che il loro linguaggio e la loro grammatica più autentica. Più o meno come la sapienza di un agopuntore indovina il centro esatto di una terminazione nervosa rivelando un intero organismo attraverso un leggerissimo soffio d’ago.

Così è insensato e improficuo leggere I quaderni di Malte Laurids Brigge per sapere come procede e se contiene o non contiene un’agnizione. Come sarebbe insensato leggere Leopardi chiedendosi quale provincia reale si annidi dietro l’ermo colle o chiedere alla Condition humaine di rappresentare la Cina. Rilke impone una sensibilità da miniaturisti, il passo rallentato della meditazione, dell’accoglienza. Ogni sua frase nasce – per quanto tessuta nell’ordito delle più grevi sofferenze umane – da un accordo così sottile tra parola e sentimento delle cose che può farsi luminosa e sconvolgente solo se presa in sé.

Pretendere che muova verso altro, verso rappresentazioni o conoscenze razionali, equivale a non leggere Rilke ma la sua contraffazione.

D’altra parte è lui stesso a suggerire che senza questa etica della sedimentazione non può esserci che spicciola narrativa o misera cronaca dell’esistente. E in un passaggio memorabile ricorda:

I versi non sono, come crede la gente, sentimenti (che si hanno già presto), sono esperienze. Per un solo verso si devono vedere molte città, si deve sentire come gli uccelli volano, e sapere i gesti con cui i fiori si schiudono al mattino. Si deve poter ripensare a sentieri in regioni sconosciute, a incontri inaspettati e a separazioni che si videro venire da lungi, a giorni d’infanzia che sono ancora inesplicati, ai genitori che eravamo costretti a mortificare quando ci porgevano una gioia e non la capivamo (...) Ma anche presso i moribondi bisogna essere stati, si deve essere rimasti presso i morti nella camera con la finestra aperta e i rumori che giungono a folate. E anche avere ricordi non basta. Si deve poterli dimenticare, quando sono molti, e si deve avere la grande pazienza di aspettare che ritornino. Poiché i ricordi di per se stessi ancora non sono. Solo quando divengono in noi sangue, sguardo e gesto, senza nome e non più scindibili da noi, solo allora può darsi che in una rarissima ora sorga nel loro centro e ne esca la prima parola di un verso.

Ecco, queste righe indicano nel modo più iperbolico che cosa una certa letteratura possa essere quando il miracolo di un accordo tra prosa, poesia e filosofia genera il raro fenomeno che qualcuno ha chiamato (a proposito di Rikle) la capacità di essere cosa tra le cose. Non dire le cose, non raccontare le cose, non narrare le cose, non ricordare le cose: ma aderire alle cose al punto da parlare in vece loro, da farle parlare più di quanto siamo noi a dirle.

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