Letteratura

Gli adolescenti? Li ha inventati la letteratura

Holden e i suoi fratelli, raccontati da centinaia di autori, da Dostoevskij a Anthony Burgess, hanno cristallizzato l’idea della giovinezza nel mondo occidentale. Ma quei ragazzi, esistono davvero?

  • Oggi, 12:00
Chasing Holden, 2001

Chasing Holden, 2001

  • IMAGO / Everett Collection
Di: Alessio von Flüe 

Rileggere Il giovane Holden di J.D. Salinger da adulti fa un effetto strano. La prima volta che mi sono immerso nelle vicende narrate in prima persona da Holden Caulfield avevo la sua stessa età: sedici anni. Come lui, ero magro e avevo dei problemi irrisolvibili con la scuola. Ho letto le sue disavventure in un paio di giorni, lo stesso arco temporale nel quale si svolgono, poi ho riportato il libro alla biblioteca da cui l’avevo preso in prestito e non ci ho più pensato per una ventina d’anni. La storia non mi aveva segnato, non rivedevo molto di me stesso in lui.

Vorrei dire che rileggendolo ho capito cosa mi fosse sfuggito all’epoca; che gli strumenti analitici acquisiti successivamente nel corso dei miei studi, le esperienze di vita fatte e la patina che il tempo mette sulle fasi della vita ormai passate mi hanno fatto riconsiderare l’opera. Non è così.
Certo, ho apprezzato davvero molto la scrittura di Salinger, la sua volontà di mimesi linguistica con il personaggio (a costo di essere ripetitivo nel lessico, a volte quasi fino allo sfinimento) e l’autenticità che riesce a dare alla voce di Holden Caulfield. Per il resto, però, ho trovato il romanzo la solita minestra sui tumulti dell’adolescenza. Il problema è mio, ne sono consapevole.

Per motivare (soprattutto a me stesso) il fatto di non aver studiato inutilmente, ho cercato di analizzare il motivo reale per cui non riesco a entusiasmarmi come vorrei per Il giovane Holden. Mi sono reso conto che, forse, il mio problema è più in generale con l’adolescenza.

09:27
J. D. Salinger

100 anni dalla nascita di Salinger

Diderot 29.01.2020, 18:00

  • Wikipedia

Il concetto di “adolescenza” è relativamente recente. La prima opera scientifica che tratta l’adolescenza come una fase cruciale dell’esistenza è stata pubblicata da G. Stanley Hall nel 1904. Questo periodo della vita, secondo lo psicologo statunitense, sarebbe contraddistinto dallo spostamento degli interessi dell’individuo dall’esterno (con la volontà di scoperta del mondo e dei suoi fenomeni tipica dei bambini) all’interno, verso la ricerca di introspezione e autoesplorazione che caratterizza l’adolescenza. Un passaggio caratterizzato come tumultuoso e drammatico, pieno di sentimenti contraddittori e tensioni spesso dolorose. Hall ritiene che le caratteristiche dell’adolescenza siano determinate biologicamente e indipendenti da variabili culturali e ambientali.

Qualche decennio dopo Hall, nel 1928, l’antropologa statunitense Margaret Mead ha pubblicato i risultati della sua ricerca L’adolescenza in una società primitiva, condotta nell’isola di Taw nell’arcipelago di Samoa. La tesi della Mead si scontra apertamente con quella di Hall. Secondo la ricercatrice, le tempeste emotive dell’adolescenza non sono intrinsecamente legate allo sviluppo fisiologico, ma interdipendenti con le condizioni sociali e culturali. I bambini di Samoa non avrebbero nessun problema ad assumere quasi tutte le forme del comportamento adulto con l’arrivo della pubertà. La sua ricerca sarà aspramente criticata per alcune peripezie interpretative, ma l’intuizione alla base – ovvero che esistano dei rapporti di interdipendenza tra lo sviluppo adolescenziale e la cultura di riferimento – sarà successivamente confermata dai lavori di molti altri antropologi culturali.

Questo breve (e per nulla esaustivo) inquadramento della nascita del concetto di “adolescenza” nelle scienze umane è utile solo per capire come esso sia mutevole nel tempo e nello spazio. Se nel pensiero comune l’adolescenza è un periodo con caratteristiche specifiche e immutabili, nelle scienze c’è chi mette in dubbio questa concezione rigida, fino ad affermare che essa non sia nient’altro che un’invenzione. Detto questo, torniamo alla letteratura.

26:11
Fëdor Dostoevskij

Dostoevskij

Laser 07.10.2021, 09:00

  • iStock

La prima opera che mette il tema al centro dell’attenzione è probabilmente “L’adolescente” di Fëdor Dostoevskij, circa trent’anni prima rispetto agli studi di Hall. Protagonista del romanzo è Arkadij, un diciannovenne che ha il sogno di diventare «ricco come i Rothschild». Un personaggio caratterizzato dai tumulti che riappariranno, con la giusta contestualizzazione, anche nell’Holden di Salinger: il senso di superiorità misto alla certezza di subire ingiuste umiliazioni, l’illusione di essere destinato alla grandezza che si scontra con l’inadeguatezza, l’estrema sensibilità emotiva. Quello di Dostoevkij è un romanzo caotico e denso, con una struttura non sempre chiara. Ma è sicuramente interessante vedere come l’idea dell’adolescenza come periodo di enormi lotte interiori sia rimasto pressocché invariato in letteratura per più di settant’anni.

Quello che rende Arkadij diverso da Holden è probabilmente la volontà di ribellione di quest’ultimo. Holden Caulfield è arrabbiato, non vuole conformarsi, odia il denaro, la borghesia e quella che percepisce come stupidità di adulti e coetanei. Riassumerà questa attitudine la sua sorellina Phoebe – unico personaggio che il giovane sembra amare davvero – nel dirgli: “Non ti piace nessuna scuola. Non ti piacciono un milione di cose. Non ti piace niente”.

Ciò che non piace a Holden è soprattutto prendere una decisione, perché farlo lo condannerebbe a crescere. Nei poco più di due giorni in cui lo si segue nel corso dell’opera, lo si vede ripudiare qualsiasi figura adulta, salvo poi ricercarla disperatamente non appena si sente solo. Ma ogni volta che lo fa esce allo scoperto e non può più evitare di essere messo davanti alla realtà: prima o poi dovrà per forza prendere una decisione sul suo futuro. Prima o poi dovrà uscire dalla bolla di infinite possibilità immaginarie e prendere una strada. Prima o poi dovrà assumersi delle responsabilità e diventare un adulto. La ribellione di Holden è contro questo principio stesso.

12:51
"Arancia Meccanica" di Anthony Burgess, Einaudi (dettaglio di copertina)

L'iperviolenza di "Arancia Meccanica"

Diderot 15.02.2022, 17:40

  • einaudi.it

Una decina d’anni dopo la pubblicazione del romanzo di Salinger, un’altra opera racconterà di giovani arrabbiati e anticonformisti, ma con intenzioni ed epilogo molto differenti. Un’arancia a orologeria di Anthony Burgess – opera dalla quale Stanley Kubrick darà vita al suo Arancia meccanica – esce nel 1962. La vicenda narrata è quella delle azioni violente di Alex e della sua banda, che sfociano in un omicidio. Tradito dai compagni, il protagonista verrà arrestato e obbligato ad accettare un piano di rieducazione basato sull’esposizione forzata a immagini violente, che lo trasformerà in una sorta di burattino incapace di scelte morali. Il finale del romanzo non si concentra sull’adolescenza quanto sulla mescolanza di violenza, ribellione e sopraffazione del potere con un successivo ritorno allo status quo e l’assorbimento dei moti di ribellione. E in questo senso si può considerare un precursore di quanto succederà con i movimenti giovanili degli anni ’60 e ’70.

Come notava Pier Paolo Pasolini in un articolo del 1973 apparso sul Corriere della Sera, in cui viene analizzato il fenomeno dei capelli lunghi portati dai giovani dalla metà degli anni ’60, l’industria neocapitalista ha cominciato a trasformare ogni fenomeno di contestazione in merce: la rabbia adolescenziale può diventare un fenomeno commerciale di massa.
Dal punto di vista letterario la rabbia giovanile e la ribellione adolescenziale sono ormai topoi da diversi decenni. Il punto centrale del loro successo, oltre a una targetizzazione precisa del pubblico di riferimento, è il fatto che proprio i moti tumultuosi che associamo all’adolescenza funzionano perfettamente come conflitto, motore della narrazione.
Il genere young adult, per dire, ha visto una grossa crescita di vendite anche nel pubblico fuori dalla categoria demografica alla quale è indirizzato, ovvero il pubblico tra i dodici e i diciotto anni. Si stima che i maggiori fruitori siano persone sui trent’anni, che ricercano attraverso la lettura l’esorcismo di quei lati non vissuti nella loro esperienza o un ritorno nostalgico a un periodo lontano nel tempo.

Qualsiasi sia il motivo, insomma, l’adolescenza vende, e lo sappiamo da tempo. E forse questo è il motivo principale per cui, oltre a un interesse storico e linguistico, Il giovane Holden non riesce a interessarmi. Capisco che quando è uscito era probabilmente una novità, ma oggi la storia di un sedicenne arrabbiato che non vuole crescere appare qualcosa di abbastanza comune.
La sensazione è quella di rileggere per l’ennesima volta le avventure di un personaggio che oggi, dimenticando completamente il contesto e l’epoca in cui Salinger scriveva, è al limite della parodia.

E qui si torna ai primi studi sull’adolescenza: siamo sicuri che sia solo il periodo turbolento a cui tutti pensiamo, semplificando e banalizzando un insieme eterogeneo di esperienze? O forse è vero che l’adolescenza è fortemente legata alla cultura con cui si confronta e alle rappresentazioni che ne vengono fatte? E in questo caso, la letteratura non ha forse contribuito, con opere come Il giovane Holden, a cristallizzare questa rappresentazione?
Forse è la solita storia di chi sia nato prima, se l’uovo o la gallina. Proverò a rileggerlo tra altri vent’anni.

Correlati

Ti potrebbe interessare