Bollito duro. Questo significa hard boiled. Il peggior approccio e risultato culinario possibile, sbagliare anche la cosa più banale dei fornelli: bollire. Quindi ok, avrai anche cucinato, ma peggio di così non lo potevi fare. E il piatto canta: uova stra-sode, con tuorli di cera che di giallo hanno solo uno sbadiglio perché il colore è evaporato insieme all’acqua. Ecco, il giallo. Perché è di quello, della letteratura, che vogliamo parlare. E di chi, a inizio ‘900, si è voluto infilare là, tra il giallo e il noir, post-giallo e pre-noir. In due parole, appunto, nell’hard boiled.
Prima di Dashiell Hammett l’hard boiled non esisteva; c’erano i gialli, certo, ma non erano quello che voleva lui. Tantomeno quel che aveva visto. Perché Hammett prima di scrittore, freelance e sceneggiatore fu detective privato per la Pinkerton, a Baltimora. Vent’anni sulla carta d’identità e venti dollari a settimana nel portafoglio. Poi, o probabilmente durante, comparve la scrittura: qualche primordiale poesia per poi tuffarsi nei racconti. Ottanta più cinque romanzi, in quarant’anni di carriera. Perché a inizio anni ’20 quello scrivere lo assorbì completamente; dalle sua pagine, luride ma maniacali, rozze ma mai ripetute, uscirono Sam Spade e Continental Op, i due detective che presto, per strada, avrebbero insegnato il mestiere al Philippe Marlowe di Raymond Chandler. Lo stesso mestiere di Dashiell Hammett prima che decidesse (ben per noi, e probabilmente anche per i suoi clienti) di lasciare l’ufficio e metterlo nero su bianco. Investigatori privati come quelli di Hammett non se ne erano mai letti. Visti sì, ed è qui che sta tutta la differenza tra lui e chi l’ha preceduto, tra l’hard boiled e il giallo: prima del profumo della carta arriva la puzza della strada. Poca vernice, pochi impermeabili stirati, poche scrivanie in ordine, pochi telefoni lucidati e sigarette che filano il fumo come arcolai. Le pagine gialle (quelle sì) di Hammett sono corpi stanchi, poca voglia, botte da orbi, lividi, abiti macchiati e cappelli su cui qualcuno si è seduto sopra, rimessi in forma con un giro di pugno. Questo è l’hard boiled, questo è Dashiell Hammett.
Dashiell Hammett
E dove poteva nascere un genere così, se non tra le pagine di una rivista pulp? Dashiell Hammett nasce autore a puntate, sulle pagine del pulp magazine Black Mask, tra pistole, calze a rete, misteri e occulto. Piombo e sangue (Red Harvest, 1927), il suo esordio, esce in quattro episodi. Il falcone maltese (The Maltese Falcon, 1929) in cinque. La chiave di vetro (The Glass Key, 1930) in altre quattro. Ci penserà la Knopf, casa editrice newyorkese, a mettere insieme i fogli e pubblicarli in tre imperdibili libri, insieme a Il bacio della violenza (The Dain Curse, 1928) e L’uomo ombra (The Thin Man, 1933). Eccoli i cinque Hammett da sommare al centinaio scarso di racconti. Ecco la pila di carta con cui Hammett ha acceso l’hard boiled.
I detective di Dashiell Hammett sono gente che ha visto, sa e non ha problemi a raccontare perché non ha nulla o pochissimo da perdere. Tuttalpiù un rivolo di sentimento rimasto dopo una vita di mazzate e disillusioni. Roba che s’archivia in fretta, come il sesso “giusto per”. Il crimine è vero, sudato e bastardo, la violenza è sul serio, il vocabolario veloce e diretto, incastrato tra una sberla e una menzogna, una gomitata e un insulto. Tutto ad altezza occhi, a volte più in basso. E lì in mezzo non c’è eroe che tenga; se ti ci infili le prendi, in malora gli invincibili. Le prende Sam Spade e le prende Continental Op, perfetti investigatori provati. Nessuna divagazione sul tema, nessuna sospensione o stiracchiamento a tirar per le lunghe qualcosa che è durato il tempo di una rivoltellata. In Piombo e sangue il misterioso omicidio iniziale dura il tempo di una Marion Crane. Poi si spalanca il resto, che è molto peggio di un cadavere ancora caldo e in cui Hammett ci trascina con la biancheria di ieri e i piedi bagnati fino alla fine. Non fino al finale, fino alla fine.
Dashiell Hammett, Il mistero del falco di John Houston con Humphrey Bogart (1941)
Ecco Dashiell Hammett ed ecco Humphrey Bogart, che ne Il mistero del falco di John Houston (The Maltese Falcon, 1941), riuscì a dare una faccia a un detective raccontato a parole; perfettamente cinico e disilluso, affascinante ma non bello. Eppure per quanto borderline, scomposti e imperfetti, non convenzionali e malmenati, con nove pensieri ruvidi su dieci, i detective di Hammett non danno mai l’impressione di poter scavallare, di poter passare dall’altra parte della barricata alla prima spinta. La barriera è sì invisibile, ma spessa. Il motivo? Sanno benissimo cosa c’è da ambo le parti, nel crimine e nella giustizia, e preferiscono starne fuori. Anzi nel mezzo, dove si fa da sé per conto terzi. Perché? Di sicuro non per soldi, squattrinati e a buon prezzo; forse per noia. Forse perché qualcosa bisogna pur fare, e visto il resto… Ed è lì che vive Hammett, “il più influente comunista d’America” che davanti al senatore McCarthy e alla sua commissione a caccia di rossi rimase in silenzio, conquistando sei mesi di galera e il ritiro di tutti i suoi libri dagli scaffali delle librerie americane. È lì che vive l’Hammett figlio, marito e padre che in Sam Spade può liberare vizi e inadempienze, alcool, scommesse e tradimenti, lasciandoli commettere a uomini che non devo rendicontare niente a nessuno. E lì, proprio lì insieme a quelle anime terrene e terrose, il giallo bolle talmente da diventare prima verde, poi noir.