Letteratura

La terribile lingua tedesca

Le considerazioni di Twain & Co

  • 10.08.2020, 00:00
  • 31.08.2023, 10:57
Mark Twain
Di: Mattia Mantovani 

Uno dei suoi massimi virtuosi del secondo Novecento, Gregor von Rezzori, autore di capolavori quali “Un ermellino a Cernopol” e il monumentale “La morte di mio fratello Abele”, diceva che la lingua tedesca possiede la capacità di esprimere tutto, salvo poi aggiungere, con simpatica e gustosa ironia: «perfino troppo». Questa assoluta precisione, faceva infatti notare lo stesso Rezzori, possiede anche un tratto vagamente disumano, perché presuppone un ordine e un rigore che nella tragicommedia quotidiana molto semplicemente non esistono.

E’ vero, insomma, che «Germans have a word for everything», «I tedeschi hanno una parola per tutto», come dice con velenoso disappunto nientemeno che Homer Simpson commentando il significato di una parola in uso anche negli Stati Uniti, “Schadenfreude” («gioia per le disgrazie altrui»). Ma è altrettanto vero che nella vita reale, piena di svagatezze e proustiane intermittenze del cuore, non è sufficiente avere una parola per tutto, anche perché capita molto di rado (praticamente mai, si vorrebbe aggiungere) che le occorrenze e gli eventi si dispongano così come prescrivono le rigidissime regole della sintassi tedesca.

“Deutsche Sprache, schwere Sprache”, «lingua tedesca, lingua difficile», dicono i germanofoni ai neofiti per consolarli quando questi ultimi incontrano ostacoli nel lessico, nella fonetica, nella costruzione della frase, nelle concordanze e nelle espressioni idiomatiche. Ma a dire il vero si tratta anche di un’autoconsolazione, perché il tedesco crea non pochi problemi anche a chi è di madrelingua, al punto che esistono molti cosiddetti “stupidari” del tedesco parlato dai germanofoni (il più bello, dal titolo “Der Dativ ist dem Genitiv sein Tod”, è opera di Bastian Sick e figura ormai da anni tra i best-seller) e in alcune zone, in particolare in quella provincialissima metropoli che è Berlino, si è pensato bene di procedere a opportune quanto sbrigative e talora sciagurate semplificazioni. Il già ricordato Bastian Sick ne ha preso spunto per un brano musicale il cui titolo non ha bisogno di commenti: “Se Goethe fosse ancora vivo…”.

Chiunque si sia imbattuto negli scogli della lingua tedesca, riportandone qualche inevitabile ammaccatura, troverà senza dubbio un ottimo nepente nella lettura di “The Awful German Language”, “La terribile lingua tedesca”, il divertentissimo saggio che Mark Twain dedicò all’idioma di Goethe in occasione del viaggio in Europa del 1878 ed è contenuto in appendice al resoconto del viaggio stesso, intitolato “A Tramp Abroad” e uscito nel 1880. Abbiamo avuto problemi col verbo alla fine della frase? Ci è capitato più volte di chiudere un periodo con un attorcigliamento della lingua degno del miglior Paolo Villaggio alias Fantozzi al cospetto del megadirettore? Ci siamo rispecchiati (in piccola parte, si spera) nella quasi mitologica conferenza stampa di Giovanni Trapattoni, ai tempi allenatore del Bayern Monaco, infarcita di errori e chiusa da un catastrofico “Ich habe fertig”?

Ebbene, ci si può consolare pensando che simili disavventure sono occorse anche a Twain, il quale consigliava tra l’altro di leggere i libri in tedesco tenendoli «davanti a uno specchio», così da rivoltare come un guanto la costruzione della frase e facilitarne in questo modo la leggibilità. Non ci si deve scoraggiare per la poco spiegabile aggiunta della “e” finale in un certi sostantivi al dativo singolare, non bisogna perdersi troppo d’animo al cospetto della declinazione degli aggettivi, e vale inoltre la pena di affrontare con coraggio, animo sereno e un po’ di furbizia i terrificanti verbi separabili, facendo in modo -suggerisce Twain- di “partire” (“ab-reisen”) il più in fretta possibile, senza descrivere tutto quanto ci si porta appresso, perché in caso contrario si dice subito “reisen” ma nel frattempo ci si scorda di chiudere la frase con “ab”. Infine bisogna tenere presente che “la coscienza”, “das Gewissen”, in tedesco è un sostantivo neutro, molto probabilmente, osserva Twain con puntuta ironia, perché chi ha inventato la lingua tedesca ne aveva solo una vaga concezione e «si è divertito a rendere la lingua stessa incredibilmente complicata, impervia e difficile».

Non può mancare, da ultimo, qualche sapida notazione sulle parole composte, grande spauracchio dei traduttori, perché nella gran parte dei casi non si trovano nei vocabolari e possono essere costruite e modellate al momento, secondo il bisogno e la necessità, come una specie di plastilina lessicale. Con un’immagine davvero degna di un grandissimo scrittore, Twain le paragona a «processioni alfabetiche che marciano in lungo e in largo sulle pagine». La più recente edizione tedesca di “The Awful German Language”, pubblicata recentemente dallo storico editore Reclam in un volumetto con testo a fronte, riproduce nelle due pagine centrali il disegno (tratto dalla prima edizione in lingua inglese) di una tipica brughiera tedesca attraversata da un capo all’altro dalla parola “Generalstaatsverordnetenversammlungen” (“incontri dei rappresentanti degli stati generali”), che si snoda come un serpente (velenosissimo, va da sé), passa ondeggiando sopra un ponte e finisce la propria corsa nel cortile di un castello. Non è un caso, quindi, che in uno dei passi più divertenti Twain arrivi ad immaginare la seguente notizia di cronaca: «Ieri all’ospedale un paziente ha subito l’asportazione di una parola di tredici sillabe. Il paziente è un tedesco del nord, della zona di Amburgo. L’operazione ha avuto buon esito».

Eppure Twain ammirava molto la cultura tedesca, amava la lingua e l’aveva anche studiata a fondo, perché aveva capito che in tedesco si può dire tutto (perfino troppo), e con chiarezza. A patto, però, di avere un po’ di pazienza. Anzi, molta pazienza. Scrive infatti Twain nelle ultime righe: «In base ai miei studi di filologia, sono arrivato alla conclusione che una persona dotata riesce a imparare l'inglese in trenta ore e il francese in trenta giorni. Quanto al tedesco, invece, ci vogliono trent’anni». In fondo, come ricordava uno dei massimi poeti del Novecento, Rainer Maria Rilke, che del tedesco aveva una certa pratica: «Se vincere è impossibile, sopravvivere è tutto».

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