Tutti o quasi conoscono Il sergente nella neve di Mario Rigoni Stern. Un capolavoro apparentemente reso possibile dal tema, dall’ambientazione, dalla loro drammaticità: le grandi campagne di guerra condotte dalle truppe italiane nelle steppe di Russia. Ma la grandezza di quel libro non dipende in verità dal tema, dipende dalla penna che l’ha scritto: Rigoni Stern è un grande autore perché è un grande autore. E lo sarebbe stato – non molto diversamente da Primo Levi o da Leonardo Sciascia – anche se si fosse misurato con ambientazioni meno drammatiche, meno immediatamente legate alla Grande Storia o addirittura dimentiche della Grande Storia.
La prova l’abbiamo nei suoi libri cosiddetti minori, tra cui un altro splendido gioiello è la struggente Storia di Tönle. A conferma che laddove, al tempo in cui letteratura ed editoria non avevano ancora conosciuto il loro fatale scollamento, a decidere della grandezza di uno scrittore può essere solo lo scrittore stesso: certo non l’ambientazione dei suoi libri e non la risibile sentenza contabile a cui è arresa la ragion critica dell’attuale mercato editoriale.
Eppure c’è un altro straordinario libro, molto meno noto di questi due ma altrettanto notevole, che meriterebbe lo sguardo che si riserva alle opere emblematiche di Rigoni Stern. E non è un romanzo ma una raccolta di racconti – se vogliamo di bozzetti o ritratti autobiografici – che con la Grande Storia e i suoi temi non ha nulla a che fare. Si tratta di Uomini, boschi e api, uno di quei titoli che sulle prime farebbero pensare a un prontuario per escursionisti, ma che è invece un autentico prodigio di sensibilità umana, di profondità di sguardo e di perfetta venerazione della natura e dei suoi abitanti.
Mario Rigoni Stern e la guerra
Laser 29.12.2021, 09:00
Un tema, questo sì, che ha dovuto patire la retorica dell’animalismo, ma che per fortuna autori come Rigoni Stern hanno riportato nell’alveo della realtà e nel cuore della sua palpitante e irriducibile contraddittorietà. Tra le pagine di Uomini, boschi e api si anima in effetti un universo che, per quanto incomparabile a quello epico e tragico della guerra, raccoglie le risonanze dell’umano e del naturale con la stessa vibrante empatia e lo stesso impeccabile spirito della vita. E pur parlando anche di morte, parla soprattutto di amore.
Gli emigranti veneti nelle parole di Mario Rigoni Stern
RSI Cultura 27.10.2023, 08:23
Libro intimo, delicato e partecipe, libro della prossimità assoluta tra uomo e natura, Uomini, boschi e api è una appassionata serie di storie e storielle – diremmo quasi di apologhi – sul mondo della caccia, sulla solidarietà cameratesca tra uomini e animali e sulla inscindibilità tra i destini dell’umano e quelli della vita animale.
Qualcuno sobbalzerà: Della caccia? Si può forse chiamare l’attività venatoria qualcosa di compatibile con il senso dell’umano come comunemente lo intendiamo?
Diremmo di sì. E tra le ottime ragioni per venerare questo libro, al di là della limpidezza formale che ne tratteggia i racconti, è sicuramente questo fatto: che Rigoni Stern ci rammenta che cos’era il mondo, che cos’era l’uomo, che cos’era la società e che cos’era il rapporto tra individuo e natura – ovvero la realtà nella sua cruda immediatezza – prima che la sensibilità animalista tacciasse di irricevibile qualsiasi approccio al mondo animale non ricadesse sotto l’egida della sua assoluta inviolabilità.
E qui si apre la diatriba. Si possono realmente amare la natura, i suoi abitanti, conoscere in ogni singolo dettaglio usi e costumi degli uccelli, degli animaletti selvatici, dei misteriosi abitatori delle boscaglie e delle rupi, degli alberi e dei cieli, e contemporaneamente imbracciare un fucile per andare a ucciderli?
Rigoni Stern non lo dice, ma i suoi racconti sono una risposta emblematica a questo dilemma: amare la natura non significa non abbattere i suoi animali, significa non abbatterli fuori dal rispetto delle regole tacite che sovrintendono al rapporto fra uomo e animali. Significa, in una parola, ammettere che “questa è la vita”.
Dopo aver tratto in salvo un capriolo abbandonato dalla madre, un gruppo di cacciatori così si trova a discutere nel libro:
- E magari tra quattri anni lo ritrovi con il tuo cane e ci spari.
- Mah. È la vita.
Un passaggio apparentemente casuale, ma che è testimonianza di uno sguardo sulla natura risparmiato dalla retorica del politically correct e dall’idea discutibile secondo la quale il male sarebbe necessariamente l’antitesi della preservazione degli animali. Discutibile almeno nella misura in cui i mattatoi continuano a proliferare di bestie trucidate a freddo, i mari sono letteralmente invasi di reti a strascico che ammazzano giorno dopo giorno milioni di pesci e di fronte a un piatto di gamberetti o di tonno nessuno si sognerebbe di dichiararsi un assassino.
A colloquio con Mario Rigoni Stern
RSI Cultura 09.04.1986, 02:00
Certo, quella di Rigoni Stern è una posizione controversa, ma se non altro ha il pregio di sottrarci a troppa imperante ipocrisia, che piange il gattino schiacciato dall’auto ma di fronte all’invio di armi nei più remoti teatri di guerra, invece di ricordare il suo tragico Sergente nella neve, fa spallucce e dice con ben più disincantato cinismo: “Mah, è la vita”.
Marco Alloni