Musica

Jacques Brel, on n'oublie rien

Il buio, un solo faro su di lui, in completo scuro, camicia bianca: nessuna concessione estetica, solo i suoi testi, la sua musica

  • 8 aprile 2023, 01:00
  • 26 marzo, 14:03

Omaggio a Jacques Brel

RSI Protagonisti 19.09.2003, 17:06

Di: Mattia Cavadini

Jacques Brel muore a Parigi il 9 ottobre 1978. Pochi giorni dopo la sua salma viene deposta nel cimitero di Autona, sull’isola di Hiva Oa, nell’arcipelago delle Isole Marchesi, Polinesia francese, a pochi metri dalla tomba di Paul Gauguin.

Nato a Bruxelles l'8 aprile 1929, Jacques Brel rappresenta, con Georges Brassens e Leo Ferré, uno dei vertici della canzone francese del dopoguerra. A metà degli anni ‘50 rinuncia a una carriera da impiegato nel cartonificio di famiglia, abbandona moglie e figlie in Belgio e sale su un treno per Parigi. L’intenzione è quella di sfondare nel mondo della canzone. Il primo grande successo è del 1957, Quand on n’a que l’amour, ma è soltanto grazie all’incontro con il pianista Gérard Jouannest e l’arrangiatore François Rauber che la sua carriera prende il volo: nel 1959 pubblica tre delle sue canzoni più amate: Les Flamandes, La valse à 1000 temps e Ne me quitte pas.

Intervista a Olivier Todd, il biografo di Brel

RSI Dossier 19.09.2018, 12:02

Poeta, cantante, attore, regista cinematografico, pilota e navigatore, Jacques Brel consuma la sua breve vita fra palchi e osterie, fra Parigi, l’amato-odiato Belgio e le isole del Pacifico, fra gli studi di registrazione e le interminabili tournée, ma anche fra commoventi amicizie e passioni travolgenti, fra ingenue dichiarazioni di fedeltà e laceranti infedeltà, dubbi e deliri. Una vita di sogni, collere e passioni, intensa e smisurata come poche.

Punto di svolta nella sua vita, il 1967, allorché decide di abbandonare la scena perché preso dalla paura di ripetersi, di cadere nella routine, di ingannare se stesso e quindi il proprio pubblico. È una scelta vera, non come altri annunci di ritiri a cui sono susseguiti innumerevoli ritorni. Brel si lascia davvero tutto alle spalle e inizia a girare il mondo sul suo veliero chiamato Askoy. Giunto in Polinesia si ferma ad Atuona, un villaggio di Hiva Oa, isola dell'arcipelago delle Marchesi dove ha vissuto Gauguin. Qui inizia una nuova vita, circondato da una natura incontaminata. Allestisce spettacoli e cineforum per le popolazioni locali e porta, col suo bimotore, la posta alle isole più lontane.

Nel frattempo, però, si ammala di cancro: cominciano viaggi in Europa per sottoporsi a terapie nella speranza della guarigione. Con l'aiuto di una cerchia ristretta di amici, gli stessi che lo hanno accompagnato per tutta la sua carriera di artista (Gréco, Jouannest e Rauber) registra in presa diretta l'ultimo disco, nato nelle isole Marchesi, e intitolato appunto Les Marquises. Pubblicato nel 1977 ottiene un grandissimo successo. Brel muore a Parigi, nell'ospedale di Bobigny, il 9 ottobre 1978.

L'artista come aspirina (intervista del 1971 a Brel, nell'adattamento di Corrado Antonini)

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Nelle mente dei suoi infiniti appassionati, persiste ancora oggi la sua immagine, che si agita sulla scena. Quella scena di cui lui aveva una paura terribile, ma sulla quale poi si scatenava in un crescendo spasmodico, un testo dopo l’altro, con un ritmo frenetico e con interpretazioni da antologia, vissute fino al bout des ongles.

Sul palco il buio, un solo faro su di lui, in completo scuro, camicia bianca: nessuna concessione estetica, solo i suoi testi, la sua musica, le sue mimiche, le sue lunghissime braccia, e la sua voce. Una voce unica, profonda, che gli consentiva di passare dalla tenerezza (La tendresse) alla denuncia (Au suivant, Les Bourgeois), dall’umorismo (Les bonbons) alla satira di costume (Les bigotes), dall’amore (Ne me quitte pas) alla solitudine (Seul), dalla disperazione (Fernand) all’amicizia (Jef), dalla misoginia (Les filles et les chiens) alla dolcezza (Les vieux). Una voce che gli ha consentito di cantare la malinconia dei paesaggi a lui cari (Le plat pays) o di narrare la condivisione di memorie collettive (On n’oublie rien).

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