Fino alla sua chiusura, avvenuta nel 2006, il CBGB era famoso per essere stato la culla del punk e della new wave. Nonostante la sigla in cui è concentrato il suo nome in origine significasse “Country Bluegrass and Blues”, il locale newyorkese ben presto diventò il punto di riferimento per tutta quella gioventù che negli anni ‘70 diede uno scrollone al rock’n’roll.
C’è tutto quel brulicare di vite fra fumi, vapori e sudori nel libro di Roman Kozak Questa non è una discoteca. La storia del CBGB. Kozak, giornalista e scrittore specializzato in rock, è morto nel 1988, lo stesso anno in cui uscì il suo testo, ripubblicato nel 2024 e ora disponibile anche nella versione italiana, edita da Interno4.
Aperto nel 1973 da Hilly Kristal (1931-2007), personaggio fuori dagli schemi e guidato da un genuino entusiasmo per la musica, dal palco del CBGB sono passati i migliori esponenti dei milieu citati poc’anzi: Ramones, Richard Hell con i Voidoids, Television, Patti Smith, Talking Heads, Blondie. E poi, ancora, la scena hardcore degli anni ’80. Salire su quel palco era battesimo e consacrazione. Anche se nel punk con questi concetti è meglio andarci piano. Ma giusto per rendere l’idea.
«Col CBGB il punk ha riportato ai nastri di partenza il rock», riflette Luca Frazzi, curatore dell’edizione italiana del volume, intervistato da Enrico Bianda a Kappa. Fa una certa impressione pensare che quando quel fermento iniziò a montare il rock fosse appena nei suoi 20 anni. «In quei vent’anni il rock si era allontanato da quello che era il suo slancio iniziale: la propulsione, l’eversione, l’andare contro». Così giovane eppure già così imbolsito.
Una ripartenza a colpi di brani veloci e immediati che rimbomba ancora oggi: «Quando parliamo di spirito antagonista, di Do-It-Yourself, non possiamo non tornare con la memoria a quel nuovo inizio. E quel nuovo inizio ha avuto una sede fisica». Ovvero, come lo chiama Frazzi, «quel buco sulla Bowery» che fu il CBGB. Senza dimenticare il Max’s Kansas City, che però non era locale punk in senso stretto.
Il CBGB è stato uno spazio che ha dato ospitalità «a chi aveva voglia di ricominciare, di dire: “Ehi svegliamoci! Stiamo andando dalla parte sbagliata, riportiamo tutto alle basi, ripartiamo con i pezzi da 2 minuti e mezzo e cominciamo ad alzare il volume”». Frazzi sottolinea anche l’importanza della “confezione”, in questo discorso: «Intanto riportava tutto ai minimi termini. Era un locale piccolo e anche mediamente sporco. Quando invece il rock negli anni ‘70 aveva preso una piega che era l’esatto opposto».
Con linguaggio onesto, le pagine di Questa non è una discoteca hanno il merito di restituire l’anima al CBGB, «perché il rischio era quello di far passare il suo nome a ruolo di marchio, completamente svuotato della sua essenza, del suo significato vero. Un pochino come i Ramones, che di quel locale sono stati protagonisti», osserva Frazzi.
CBGB: dove nacque il suono del futuro
Konsigli 10.11.2025, 17:45
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