L’ha ammesso lei stessa in questi ultimi mesi, con l’ironia da antidiva - semmai, donna come tante, però con una voce pazzesca - che l’ha sempre contraddistinta: a un certo punto si era sentita finita, superata, pronta per smettere. E invece, a 54 anni, Giorgia è ripartita alla grande: se per tanti colleghi della sua generazione l’ingresso nell’età matura, come per tutti, significa cominciare a vivere di rendita dei classici già in cascina e, in sostanza, fare largo alle nuove leve, l’artista romana a sorpresa ha trascorso un 2025 da campioni, tra le 200mila copie di La cura per me con cui ha preso parte all’ultimo Festival di Sanremo, tour trionfali e, adesso, l’uscita del suo undicesimo album di inediti, G, con cui mette un punto esclamativo a una stagione di successi inaspettati in primis per lei. Viene facile citare la proverbiale “seconda giovinezza”, e invece no: il segreto sta proprio nel saper assecondare il tempo piuttosto che combatterlo, per quello che resta il nemico peggiore per popstar e interpreti vario, si trattasse anche - come in questo caso - di una che in Italia si porta dietro il soprannome di “The Voice”.
“G”, il nuovo disco di Giorgia (Il mattino di Rete Tre)
RSI Cultura 07.11.2025, 10:35
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Ma la voce, seppure “per eccellenza”, lentamente non era più bastata. Per quanto comunque già non sempre valorizzata da un repertorio all’altezza delle sue corde blues e soul, dal 2023 Giorgia pareva essersi cacciata definitivamente in un vicolo cieco, con il precedente album Blu - trainato da Parole dette male, un altro Ariston, assai meno riuscito - che aveva raccolto risultati modesti e che, più che un passo falso, sembrava la conferma di quella parabola discendente che alla sua età (discografica) è anche fisiologica. Piuttosto che chiudersi in sé stessa, però, come le stava già succedendo, si è messa di nuovo in discussione, su tutti i fronti. E il rilancio è cominciato da un trampolino insolito: a settembre 2024 è diventata conduttrice dell’edizione italiana di X Factor, dando credito ai tanti che sostenevano che dietro la sua naturalezza ci fosse una vocazione televisiva. Avevano ragione, ma non è tutto qui: sì, un ruolo del genere - che ha gestito benissimo, tanto che è stata confermata per il 2025 - le ha permesso di riprendere quota, almeno in termini di popolarità, presso il pubblico, ma avrebbe anche potuto allontanarla ancor di più dalla strada di cantante. Poi però è arrivata La cura per me.
Il brano con cui si è piazzata sesta all’ultimo Sanremo - con i fischi di disappunto della platea, che la voleva almeno sul podio, indicativi, ma tanto il successo è stato tutto al di fuori dell’Ariston - è un po’ l’uovo di colombo della faccenda: una grande ballata d’autore concepita dalla coppia Blanco e Michelangelo e a cui lei ha messo poi mano, non a caso inserita in G anche in una nuova versione, in duetto proprio con Blanco. È il pezzo che ha riacceso tutto e che ha tracciato la via, come dimostra in generale il disco stesso, dove al netto di pezzi un po’ dozzinali - tipo L’unica, tormentone estivo wannabe di cui durante gli scorsi mesi era difficile sentire la necessità, visti i risultati del singolo-madre, e infatti è passato quasi inosservato - a scandire il passo sono soprattutto le collaborazioni con cantautori di punta. In particolare, un Calcutta sempre più sciolto come autore per altri, che già aveva ottenuto risultati eccellenti con Elisa (Se piovesse il tuo nome, 2018) e qui brillante in Golpe, ballata autunnale che, come singolo, sta raccogliendo il testimone della stessa La cura per me.
La differenza, insomma, la fanno sempre dalle canzoni in sé, ma è l’idea di fondo con cui sono state concepite ad aver rilanciato Giorgia. In Italia, è noto, vige una sorta di cartello di otto-dieci autori con in mano gran parte dei brani pop che spopolano in radio e sulle playlist, e che in qualche modo hanno “messo a sistema” il cambiamento di gusto occorso nella scena dal 2016 in poi, specie con l’affermazione dell’urban e dell’it-pop. Affidarsi a loro - lo fanno tutti, Giorgia compresa, appunto non sempre con risultati eccellenti, come dimostra proprio L’unica - è un’arma a doppio taglio per chi ha ormai cinquant’anni, perché il rischio è suonare inevitabilmente come adulti che inseguono i suoni, l’estetica e le mode dei giovanissimi. Ecco, al contrario, Giorgia ha trovato le penne giuste - cantautori di livello, dicevamo - e soprattutto ci ha messo del proprio, come autrice e in termini di interpretazione: ne viene fuori una via di mezzo, contemporanea però senza svenarsi, di classe; in maniera paradossale, poi, l’esplosione di suoni soul e R&B che ormai si trovano nelle classifiche italiane l’ha perfino valorizzata, in uno spazio di manovra che da giovane, spesso chiusa in ballate più tradizionali, non aveva mai avuto.
È un gioco di equilibri: le metriche, per dire, sono molto più “fitte” e attuali rispetto alle sue, assai più tradizionali, ma non per questo scimmiotta modelli fuori tempo massimo. Nel 2025, semmai, Giorgia fa Giorgia, ma con un contesto ideale - ci si metta anche che le nuove generazioni hanno comunque voglia, si è capito, di riferimenti solidi dal passato - e il tatto giusto per trovarsi uno spazio senza sommergersi. C’entrano il talento, la personalità, il fatto che non è mai stata “solo una voce”. Sta tutto in G, alla fine, in un momento breve ma che dice tanto: in uno degli 11 pezzi, Odio corrisposto, usa addirittura l’autotune, ovviamente non per corregge l’intonazione, ma in post-produzione, come sfumatura artistica; sporcarsi le mani e aggiornarsi, certo, ma restando sé stessi.