Musica pop

Damiano David, non chiamatelo artista italiano

Nel suo esordio solista il cantante dei Måneskin punta su uno stile internazionale

  • Ieri, 11:03
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Di: Patrizio Ruviglioni 

Nella musica italiana di oggi, così come in quella degli ultimi decenni, non c’è un progetto come quello di Damiano David. A 26 anni il frontman dei Måneskin – in questo giro di presentazioni ha assicurato che il gruppo tornerà – sta vivendo un percorso solista senza precedenti, come tra l’altro testimonia il nuovo album Funny Little Fears. Un percorso che nessun collega, tra i connazionali, ha mai neanche preso in considerazione. E cioè: lavorare a un disco – e quindi a un immaginario, a una musica, a tutto – internazionale per natura, che sembra venire direttamente dagli Stati Uniti, dove peraltro si è trasferito a vivere – a Los Angeles, con la fidanzata Dove Cameron. Sono dinamiche che l’Italia è più abituata a vedere nel cinema, un mercato che nonostante le crisi resta più aperto all’estero. Perché, ecco, in queste 14 tracce non c’è alcuna prova del background culturale da cui pure proviene il loro autore. David è il primo italiano a vendersi all’estero non in quanto italiano, ma in quanto popstar planetaria. O almeno, come uno che ambisce a diventarlo.

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L’esordio solista di Damiano David (Serotonina, Rete Tre)

RSI Cultura 16.05.2025, 08:45

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  • Rosy Nervi

Non sarà facile, anche perché quello tra Italia e mercato internazionale è un rapporto che va avanti da fine anni Cinquanta, dai tempi di Domenico Modugno e dell’Eurovision, pressoché a singhiozzi e in maniera comunque mai omogenea. Una delle poche eccezioni – uno, cioè, in grado di avere un riconoscimento enorme di pubblico, critica e addetti ai lavori – resta Zucchero, che però ha forza in un blues dal linguaggio internazionale, sì, ma pur sempre influenzato dalle sue radici emiliane (e spesso cantato nella sua lingua d’origine). Perfino i Måneskin, ancora tra i pochissimi capaci di far saltare queste regole non scritte, pur suonando rock a vocazione americana hanno subito ammiccato con orgoglio all’essere italiani (basti pensare che un pezzo s’intitola MAMMAMIA). In questo senso è come se la band fosse stata l’anticamera di questo progetto solista, il modo in cui David ha diffuso e consolidato il proprio nome presso il pubblico internazionale, prima di questa ripartenza in cui dare molto per assodato – su tutti, il fatto di essere appunto italiano – e giocarsi nuove carte.

Dal rock al pop, ripulito dagli eccessi scenici e dai lustrini dei Måneskin, e con un look da dandy che guarda solo in minima parte a un Mastroianni, eccolo misurarsi con i mostri sacri internazionali che vanno in radio, per di più usandone le stesse armi. Quella che, con il gruppo, era pura e semplice contaminazione o trovata estemporanea, come la collaborazione con Tom Morello, qui è il motore di tutto, l’impalcatura, come dice per esempio la produzione di Labrinth, uno dei decani del pop di oggi, a cui è stata affidata la ballata per pianoforte Silverlines, uscita a settembre, all’inizio di tutto.

Ma nell’album c’è anche tanto altro: l’ombra dei Maroon 5 nei brani più movimentati, un evergreen come Robbie Williams nelle melodie (lontane dalla tradizione italiana), il fantasma da colossal di icone come Lady Gaga e Bruno Mars, di cui si sente l’eco, tra gli altri, in Sick of Myself, altra ballata che, con i suoi toni introspettivi e in parte malinconici, giocati sulle fragilità, stabilisce le coordinate emotive del progetto. O in Zombie Lady, un uptempo che potrebbe dire la propria in estate. E poi Harry Styles, forse il riferimento più evidente, specie se si guarda all’estratto Born with a Broken Heart, nonché quello che più di tutti, negli ultimi anni, ha stabilito le regole del gioco a cui ora vuole partecipare David. Di musica italiana o in generale di italianità, invece, non c’è traccia.

Il punto è: funzionerà? Possibile che nessuno ci avesse pensato prima? Una risposta immediata non c’è. Per ora i risultati dei singoli – il primo è dello scorso autunno, neanche pochissimo come lasso di tempo – sono stati incoraggianti, ma non all’altezza dei Måneskin, che non a caso continuano a essere rimpianti e invocati da buona parte dei loro fan storici e, al tempo stesso, possono garantire una sorta di rendita. David, da solista, punta su personalità e interpretazione, sulla voce, ma le canzoni non suonano, giocoforza, dirompenti come quelle della band, che avevano approfittato di un periodo di calo del rock e di un deserto generale della scena, almeno a livello mainstream, per suonare alternative ed esotiche, oltre che storicizzate.

Al contrario, Funny Little Fears è un lavoro abbastanza ordinario per il 2025 e che deve in ogni caso misurarsi con dei giganti a livello internazionale, con il rischio sia di perderne in identità percepita e sia di fare apparire, semplicemente, il suo autore come uno dei tanti. Non è un caso, forse, che per l’occasione si è tornati anche a fare un’intensa promozione stampa in Italia, un paese che i Måneskin avevano dato quasi per scontato, e che invece torna utile proprio per via di questa sorta di inversione dei poli. Adesso, insomma, David suona paradossalmente esotico per il luogo in cui è nato, e in cui non a caso si sta togliendo le maggiori soddisfazioni anche solo a livello numerico. Insomma, c’è una montagna da scalare, ma guai a sottovalutarlo: anche i Måneskin, appena prima di Zitti e buoni, sembravano destinati a una carriera domestica appena buona, poi si è visto com’è finita.

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