Musica folk

Davide Van De Sfroos compie 60 anni

Timido, sornione, guascone sul palco, appartiene a quella razza davvero preziosa di affabulatori. Un ritratto del cantautore laghée

  • Ieri, 11:05
Davide Van De Sfroos
  • Imago/Zuma Press Wire
Di: Gian Luca Verga 

All’inizio sarà stata una lucertola assopita al sole, un refolo di Breva, un’onda increspata, una scia ordinata di formiche. All’inizio saranno stati racconti di epiche avventure di quella spicciola umanità assorbiti tra le pareti di una bettola all’ora di chiusura. Che si trasformano e animano tra luci fioche, insegne al neon cadenti e un sorso in più di Braulio. Ma anche una natura madre e a volte matrigna che ti accoglie e ti sovrasta e anche soverchia. O forse la ”akuaduulza” che reca in sé memorie ancestrali che una volta assorbite non puoi più trattenere solo per te, perché le canzoni sono anche eccedenze dell’anima da condividere. O ancora il gracchiare di un corvo al crepuscolo, uno sciame danzate di foglie al vento, una nottata di tregenda, punteggiata dal fragore di tuoni e stralüsc e di onde infrante tra i cui vapori scorgere sagome mostruose. Oppure quella nebbia fitta fitta, squarciata da antiche ninne nanne popolari; una notte a cui prestare ascolto alle antiche parole dei pesci. Oppure l’infatuazione per quell’umanità che durante la Grande Depressione vagava in cerca di un senso, di un proprio destino. E dunque le pagine fruscianti di Furore di Steinbeck o quelle de La via del tabacco di Caldwell.

All’inizio sarà stato anche quello spleen esistenziale che ti si avvinghia all’anima, il cui morso ti obbliga a porti domande sul tuo futuro e ad attraversare quella linea d’ombra che ti ostini a non valicare, perché ciò che ti aspetta può far paura. Di sicuro ha inciso il benefico ritmo in levare di Marley, l’attacco liberatorio di London Calling, il caos organizzato poetico e alcolico dei Pogues, l’irresistibile patchanka della Mano Negra. Chissà…

Qualsiasi scintilla abbia appiccato l’incendio davvero non conta. Ringraziamola, perché nel corso del tempo abbiamo conosciuto una creatura un po’ uomo e un po’ sciamano, ciulandari e ladro di fuoco. Timido, sornione, guascone sul palco, il Davide appartiene a quella razza davvero preziosa di affabulatori. Una stirpe rara, le cui parole stampate o cantate che siano vantano una rara forza evocativa. Parole cesellate con maestria, incastonate e organizzate come una partitura cinematografia nelle melodie, nei suoni, tra le arie dai sapori popolari capaci di rianimare memorie ancestrali e collettive. Parole che spesso appartengono alla lingua del cuore, quella che lui abita: il dialetto, quello della Tremezzina, quello laghée. Una scelta naturale, fisiologica come ebbe a dire. Operata per raccontare «i luoghi che trattenevano quel suono da secoli». Una lingua reale e concreta «che dà materia agli eventi, alle persone, alle bestemmie, alle preghiere». Una scelta di grandi stimoli antropologici che si è rivelata efficace. A partire dal clamoroso debutto discografico dei De Sfroos: Manicomi! Un disco per lunga pezza considerato alla stregua del “Santo Graal”, introvabile, ambito, ricercato. Una reliquia che sul web raggiunse cifre da capogiro.   

11:44

Il folk dei De Sfroos fa ballare Lugano

RSI Archivi 08.09.1992, 09:34

E poi, alla vigilia del cambio di millennio, Davide si presentò ancora svelando Brèva e Tivàn, un album folgorante, epocale. Riascoltare ancora oggi quelle perle risulta emozionante. Fu una sorta di Epifania. Le 12 canzoni dell’album, come i 12 album pubblicati - due coi De Sfroos - sono gli apostoli laici che professano la sua poetica. Un canzoniere che, nel corso del tempo, il Davide da Mezzegra nutre e coltiva con amorevole cura, assoluta libertà espressiva guidato dalla sua bussola interiore che raramente lo distrae o provoca deragliamenti. E quando questi avvengono hanno una loro ragione d’essere. Fai la muta come uno scorzone, ti liberi da quell’armatura che a volte è più opprimente della realtà esterna. Un canzoniere imponente, un’epica che a distanza di 30 anni e nonostante la musica di consumo, con le sue modalità di fruizione e le logiche produttive e di marketing spesso aberranti, risulta ancora tra i più amati, credibili e stupefacenti disponibili. “Semplicemente” perché il corpus poetico che il Bernasconi produce è certo intimo, personale, ma ha la forza di assumere quel respiro universale che ammalia e rapisce ovunque, raccontando e interpretando le luci e le ombre dell’esistenza, con i sogni, le speranze e i timori di un’umanità che non è solo quella abbarbicata ai paesotti delle Prealpi Lombarde o che si specchia nel “suo” Lario, archetipo di tutti i laghi.

A questa umanità, spesso grottesco tragicomico bestiario, Davide dona voce, offre un teatro, un palco per esprimersi, e con affetto, senza manifestare giudizi. Ai loro pensieri, azioni e gesti, alle loro vite a tratti eroiche, di sicuro epiche anche nella sconfitta o nei risvolti “canaglieschi”. Perché ognuno di loro, anzi ognuno di noi porta in grembo la propria tempesta. E Davide, che la propria tempesta l’ha conosciuta e attraversata, procede per coordinate che svelano altri mondi o piani di realtà, le cui leggi non corrispondono perfettamente a quelle conosciute dalla fisica tradizionale. Quelle in cui i pesci, ad esempio, mormorano di antiche vicende di paese confuse tra le ninna nanne sussurrate con voce fioca; o che nelle notti avvolte dalla bruma fantasmi, mostri, corvi o bizzarre creature si rivelano, come si manifestano apparizioni mistiche e rivelatrici nel delirio della febbre. O che i punti cardinali della sua bussola siano foglie al vento. Quello che soffia sul lago increspandolo di onde impastate di storie e memorie.

Sciamano, cappellaio matto, guaritore, ladro di fuoco, sublime affabulatore o semplicemente un cantastorie, arte nobile e antica della quale conosce i segreti, nella sua vivificano volti, maschere, voci, suoni. Ovvero un’umanità reale e immaginaria che sia; questo non conta perché il confine a volte è labile tra la veglia e il mondo onirico, o gli stati di coscienza alterati. Rimane un’arte o un artigianato di grande qualità. Il portale per mondi fantastici che si trovano tra le pieghe della semplice quotidianità di provincia. Che spesso non è mai come appare. Perché il suo sguardo, la sua capacità d’osservazione, cogliendo i differenti piani della realtà, nutre 30 anni di pregevole narrazione, di concerti entusiasmanti, di album e canzoni che hanno toccato il cuore rimanendo appiccati sulla pelle. 

1:29:02

Showcase Rete Tre - Davide Van De Sfroos

RSI Cultura 30.10.2023, 20:00

Riavvolgendo la bobina del tempo quest’uomo, il Davide, si presentò una sera del 1990 sull’uscio della RSI. Lui col Giana e l’Umberto. Tra le molte faccende in cui ero affaccendato in quegli anni gestivo anche un programma dedicato ai musicisti della nostra regione. Tre sere alla settimana a Rete Tre li invitavo in studio per chiacchierare, per ascoltar la loro musica, i loro inciampi, le peripezie e soprattutto cavalcare insieme i loro sogni. Si sapeva quando iniziare, difficilmente quando congedarli. Nelle settimane precedenti l’amico e collega Umberto Savolini del Corriere del Ticino - col quale ho condiviso anni di viaggi musicali, concerti e incontri - mi aveva parlato con fervore di questo bizzarro combo che provava nel suo garage di Porlezza: i De Sfroos. 

E Davide, puntualmente, si presentò sull’ uscio della RSI col Giana, bassista e coautore delle loro prime canzoni, e l’immancabile Umberto che li aveva praticamente raccolti dalla strada come si raccoglie un micio inzuppato di pioggia. Aveva dato loro un tetto e quattro mura per affrescare quella poetica che si specchiava nei sapori lacustri attraversata dal vento e dal teemp che passa, che loro trattenevano per non smarrirne l’identità. Inizia così il rapporto di Davide col sottoscritto e la RSI, un rapporto che si è trasformato nel corso dei decenni in amicizia, affetto, stima reciproca, complicità. 

Quella sera rimasi ammaliato dai loro racconti, generosi di una gloriosa e orgogliosa umanità nonostante gli schiaffi e i graffi della vita. Che già non potevi non amare perché era anche la nostra, e che loro affrescavano in musica al pari del loro territorio, che poi è anche il nostro. L’epos e il topos, l’epica di un poderoso e irresistibile canzoniere popolare già in nuce e il teatro dove allestire la vita che scorre col suo eterno, ciclico respiro e gli arabeschi che la intrecciano. Con le sue luci e le sue ombre, la follia e l’apparente, impacciata normalità di molti suoi attori, “Spaesati” o meno che siano. E per uno che amava anche i Pogues e le Negresses Vertes, così come i Waterboys e i Mau Mau, i De Sfroos erano una boccata d’aria fresca.

Quella che la “Brèva e il Tivàn” rimescola increspando “La terza onda”. Ero rapito e affascinato dall’ascolto dei primi provini (che poi si trasformarono nella mitologica cassetta Ciulandari, e che probabilmente trasmisi nell’etere in prima assoluta). Sprizzavano vitalità, goliardia e poesia popolare valorizzata dall’ impiego a dir poco musicale che si è rivelato il patois laghée, l’idioma dell’anima. Deflagrante, una vera “Sguaraunda” se rimestato con lo ska, il punk, il rock e la musica popolare non necessariamente figlia di quella peculiare porzione topografia a cavallo dei due laghi. 

Corrispondenza dicevo, amicizia, affetto e complicità reciproca. Ho perso il conto delle volte che il Bardo di Tremezzo è stato ai nostri microfoni o si è concesso alle nostre telecamere in questi 30 anni. Non c’è disco che non abbiamo presentato, iniziative e moti dell’animo che non abbiamo sostenuto, interviste sullo scibile umano a cui non si sia prestato. Ha inoltre sudato facendo il magut per la RSI e partecipato a lezioni di dialetto; ha cucinato e indossato i panni del cripto-zoologo per raccontarci di creature magiche, affabulando al contempo di rituali ancestrali e ammaliandoci con le sue peregrinazioni reali o immaginarie. E ha condiviso con tutti noi, tra il pubblico dello Studio 2, quelle oscure ombre che ha dovuto attraversare.

Molti i progetti vissuti, prodotti o battezzati. Durante i primi allentamenti post pandemici ricordo la storica “reunion” dei De Sfroos a 25 anni dalla pubblicazione del leggendario Manicomi. Remixato proprio in RSI da Lara Persia e salutato con un brindisi di Braulio riserva. E il successivo concerto di Capodanno sempre allo Studio 2, in piena pandemia, quando la band grazie al video streaming ha bussato con vigore alle porte di migliaia di persone collegate alla rete intente ad assaporare “Pulènta e galèna frègia” , ad alzare un calice brindando al nuovo anno.

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MusicaViva Speciale Capodanno con De Sfroos

RSI Rete Uno 31.12.2020, 22:30

  • RSI

O, andando a ritroso, il loro primo concerto in Piazza della Riforma nei primi anni 90 quando, ancora semisconosciuti in patria, i De Sfroos benedirono una folla oceanica al cospetto delle nostre telecamere. E sempre zigzagando nel tempo gli innumerevoli splendidi Showcase a nome di Davide Van De Sfroos: dal meraviglioso Quanti Nocc a Maader folk, senza scordare Synfuniia in cui alcuni classici vestirono arrangiamenti sinfonici. O lo splendido Manoglia fino al più recente e monumentale “Van de Best”.  Amo ricordare che il nostro Auditorio accolse anche l’ultimo concerto de “De Sfroos”, di cui conservo gelosamente la registrazione.

E son stati eventi che, come tradizione vuole, furono presi d’assalto dal grande pubblico. Ed è inutile, mi accorgo, riannodar il filo della memoria: di occasioni radiotelevisive ne contiamo a bizzeffe, davvero tante; troppe qualcuno potrebbe obiettare. Ma ogni volta, vi assicuro, Davide si è presentato sull’uscio della RSI con nuovi cangianti vestiti artistici e doni. E rientrando dai suoi viaggi si è mostrato sempre generoso nel condividere nuove curiosità, scoperte, emozioni. Rivelandosi un moderno “healer”, un guaritore i cui sortilegi molti non posso farne più a meno.

Da uomo e ascoltatore onnivoro e curioso è indubbio che la sua “musica” vanti una ricca tavolozza di tinte, timbri, suoni e sonorità e atmosfere cangianti. Mettete in fila i suoi album, anche quelli live; i suoi innumerevoli concerti e tour. Davide la sua musica primigenia l’ha bagnata nel grande fiume padre della musica popolare del ‘900, la cui musa e madre gli è apparsa in sogno invitandolo a non uscire dal seminato, a mantener il folk quale stella polare: «Sognai questa figura di donna dal volto multietnico (la Maader Folk per intenderci), che poteva essere di qualsiasi latitudine, e con una certa morbidezza mi diceva: resta aggrappato al tuo folk, non avere paura, perché il folk è eterno, ci sarà sempre. E tu hai sempre fatto questo!» Ma la sua canzone, nel corso del tempo, l’ha colorata e non poco, anche sperimentando commistioni con altri generi e linguaggi. L’ha arrangiata e arricchita e dilatata di psichedelia, l’ha inzuppata nel morbido blues notturno che flirta con jazz. Le ha concesso di indossare il frac della sinfonica. E poi si è divertito col country più ruspante e indiavolato e giocato col reggae. L’ha carica di elettricità e stemperata nella struggente nostalgia della ballata acustica. Ma è stata anche gospel e robusto rock ed etnica. Mutano le vesti, i BPM, gli strumenti, rimane inalterata la qualità e l’ispirazione costante nel tempo.

Anche perché ha l’intelligenza artistica di chiamare a raccolta musicisti e strumenti ispirati e di talento. La sua ciurma in questi decenni è mutata tra arrivi e partenze sempre funzionali al disegno poetico musicale, produttori inclusi. Tranne lo stupefacente Anga (Angapiemage Persico), punto fermo imprescindibile e insostituibile.

E le canzoni, laiche o spirituali, domestiche, di prossimità o dal respiro universale che siano, anche grazie ai loro talenti non hanno mai perso un grammo della propria potenza evocativa e narrativa, in ogni album, in ogni tour, in ogni versione le ascoltiate.

55:31

Davide Van De Sfroos

Showcase 01.03.2020, 18:05

  • Davide Van De Sfroos

Davide ci ha permesso di accedere alla sua “festa mobile” che non è la Parigi di Hemingway ma il Lario navigato in lungo e in largo, che è maestro di luci e di ombre, di albe e crepuscoli, di vento, temporali e profondità che custodiscono segreti. E sulle cui sponde brulica un’umanità che è costante nutrimento poetico. Nella quale specchiarci e spesso riconoscersi. Con lui siamo stati “Yanez” che si trascina in ciabatte e quella «trottùla mata sempru in giir senza sosta» qual è il “Genesio”, che pur non incontrando la felicità ha celebrato la vita. Ma anche dei “technocìful” e “megabambi” di prim’ordine, playboy di provincia e qualcuno anche “Sconcio”. E chi non si è mai sentito almeno una volta nella vita uno “Spaesato”? Ci siam commossi con “il minatore di Frontale”, emozionandoci davanti a quell’ inno alla fatica che è Il mitico Thor, e riso per la fuga rocambolesca del “Cimino”.  E Sciuur Capitan non è forse un capolavoro letterario che ti “spacca dentro”?  La sua “Festa mobile” è rigogliosa di avventori, personaggi e comprimari che siano che scorrono e si rincorrono come i paesaggi di quella saga infinita che affresca. Uomini, bestie e luoghi da amare e per i quali fare il tifo qualsiasi storia esprimano, qualsivoglia temporale rechino in grembo. Strepitosa, d’altronde, la galleria di donne che ha dipinto nel corso degli anni. Straordinarie, sofisticate e popolari, sciantose, appassionate, vere e coraggiose, indomite e streghe. Alle quali ci siamo affezionati e che meriterebbero un saggio ad hoc. 

E siamo stati tanto, tanto altro ancora sedendoci idealmente sotto la “Manoglia” del Davide, “uomo di medicina”, capace di curar con le parole, dove «ogni foglia calpestata ha un ruggito ed un sussurro, ogni pietra ben posata ha un silenzio vincitore, e sorregge il mio viaggiare tra il percorrere e il pensare». E credo che, alla fine, Davide Van De Sfroos voglia ricordar a noi e a sé stesso che siamo semplicemente una «furmiga che la rampega sura él mappamuund».

I suoi 60 anni sono un anniversario che non può passare in secondo piano. Non fosse perché Davide Bernasconi è anche bandiera identitaria e non solo di un territorio, ma più di una geografia dell’anima svincolata dalle soffocanti mappe tradizionali. È giusto festeggiarlo e con lui la sua canzone identitaria che da trent’anni ha il pregio di far vibrare l’anima. E per cogliere, alla sua maniera, l’atmosfera e le vibrazioni del tempo.

31:25

Van De Sfroos spegne 60 candeline

Musicalbox 09.05.2025, 17:00

  • TiPress
  • Gianluca Verga

P. S.: un giorno la curiosità ha avuto il sopravvento. Al termine di un pomeriggio trascorso negli studi di Besso, congedandoci mi accorsi che Davide aveva dimenticato un paio dei suoi leggendari taccuini. Quelli sui quali disegna, e molto bene, annota pensieri, riflessioni, frammenti di potenziali storie e canzoni, appiccicandoci pure le foglie. Confesso che avendoli sfogliati abbondano di materiale “in via di costruzione”.

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