Nel 1985, la signora Elizabeth è un’orgogliosa mamma di Washington DC. Lei e il marito hanno quattro figli e un giorno, immaginiamo per fare un bel regalo a Karenna, la maggiore, acquista il CD di Purple Rain, l’album di Prince uscito l’anno prima.
Una volta messo il riflettente supporto nel lettore, le orecchie di mamma della signora Elizabeth rimangono sconvolte dall’ascolto del testo di Darling Nikki, tra le cui righe si colgono chiari riferimenti alla masturbazione. Un senso di disgusto e scandalo si impossessa di lei.
Si dà il caso che la signora Elizabeth, detta anche “Tipper”, di cognome faccia Gore, il marito si chiami Al e la famiglia viva a Washington non così, per caso, ma perché lui è senatore democratico per lo Stato del Tennessee. E se il nome Al Gore vi suona familiare, sì, è proprio quell’Al Gore, futuro vicepresidente nell’amministrazione Clinton e in seguito sfidante di Bush jr. alle presidenziali del 2000, quelle della controversia sul voto della Florida.
Un bollino per i contenuti espliciti
Tipper Gore aveva quindi i mezzi per far sentire la sua voce e chiedere che si facesse qualcosa per proteggere i pargoli d’America da queste oscenità a mezzo discografico. Fu così che, assieme ad altre mamme altrettanto influenti, fondò il PRMC, acronimo che sta per Parents Music Resource Center. In poche parole, un’associazione che chiedeva di segnalare la presenza nei dischi di contenuti su sesso, droga, alcol e violenza; quelli che, con un unico aggettivo, si definiscono “espliciti”.
Venne stilata la lista dei Filthy 15, una “sporca quindicina” di brani che il PRMC aveva identificato come non adatte ai minori. A dire il vero, più che sporche erano per la maggior parte canzoni sporcaccione, trattandosi nella maggior parte dei casi di testi sul sesso: oltre a Darling Nikki, figuravano She Bop di Cindy Lauper, Dress You Up di Madonna, Sugar Walls di Sheena Easton e Eat Me Alive dei Judas Priest. L’immorale elenco fu presentato al senato statunitense nel contesto delle audizioni che si tennero sempre nel 1985.
La categoria degli artisti fu rappresentata da Frank Zappa, John Denver e Dee Snider dei Twisted Sister, tutti contrari a qualunque tipo di provvedimento che limitasse la libertà di espressione. Durante la sua testimonianza, Zappa, che riteneva il tutto «un’idea mal concepita e priva di senso» pronunciò queste parole: «È mia personale opinione che i testi di una canzone non possano fare male a nessuno. Non esiste alcun suono prodotto dalla bocca né alcuna cosa che esce dalla stessa tanto potenti da far andare all’inferno».
Alla fine la RIAA, l’associazione dei discografici a stelle e strisce, accettò di porre sugli album il bollino Parental Advisory: Explicit Content. All’inizio fu su base volontaria, dal 1990 divenne obbligatorio e cinque anni dopo assunse la veste grafica con cui è proposto ancora oggi.
Da allora il logo si è diffuso in altre parti del mondo, e ora lo troviamo anche sulle piattaforme di streaming musicale. I suoi effetti, però, non sono stati esattamente quelli auspicati. Perlomeno per quella parte di pubblico giovanile, in particolare quello legato al rap e all’heavy metal, che nel bollino ha visto un fattore quasi identitario, dove l’identità in questione è quella del ribelle. In questo senso, l’adesivo sulla copertina non ha fatto che titillare il gusto del proibito e stimolare l’acquisto dei dischi incriminati, facendone schizzare verso l’alto le vendite. A beneficiare di questa “promozione” sono stati soprattutto gli album rap, tra cui Straight Outta Compton (N.W.A.), All Eyez on Me (Tupac), The Chronic (Dr. Dre) e The Marshall Mathers LP (Eminem). Non una macchia, ma una medaglia.
L’utilità dell’adesivo parental advisory
Babylon’s burning 03.11.2025, 19:35
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