La prima volta fu in uno splendido attico a Brera, arredato con gusto, ricco di oggetti; modernariato soprattutto, foto e opere d’arte contemporanee di Pomodoro, Melotti, Pianon. Opere che le avevano donato per aver condiviso un pezzo della sua strada. Un attico accogliente, elegante come il divano e le poltrone nelle quali sprofondammo per registrare la chiacchierata. Ospitale come la sua presenza davvero squisita. Era arduo chiacchierare cercando di domare lo sguardo che frugava rapito tra gli oggetti, le opere, le policromie dei tessuti, l’eleganza dell’abitazione. E un piccolo cabarè di pasticcini. Certo quando si librava la sua cadenza snob da “sciura milanese”, un pizzico aristocratica l’incanto aumentava, anche a fronte della sua verve ammaliante. Brillante, arguta, impastata di ironia e autoironia. Ornella possedeva molteplici talenti, tra cui quel doro raro e prezioso di saper cogliere la vita (e la morte) con un sorriso, una battuta fulminante. E la capacità di ridersi anche addosso. Erano queste le sue cifre. Oltre a un talento interpretativo immenso. Che ritrovavi ogni volta che la incrociavi tanto nella vita quanto su un palco.
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Un’entrata da vera diva, teatrale, la colsi pochi anni dopo invitandola nei nostri studi di Milano, quelli un tempo siti nel Centro culturale svizzero. Si aprì la porta, entrando diede una fugace occhiata in giro e con un gesto elegante e sicuro, da diva consumata, gettò la pelliccia sul portabiti. Un paio di passi giusto per lasciar uno strascico di profumo inebriante e mi disse: eccomi, ci sono, possiamo iniziare. Neppure il tempo di offrirle un caffè o dell’acqua che si accomodò davanti al microfono accavallando le lunghe gambe fasciate da neri fuseaux e stivali color bronzo, come la larga maglia che scivolava lungo il corpo. Ornella non si risparmiava nelle interviste, loquace, amava raccontarsi. Esprimere in libertà i suoi pensieri. E il suo racconto come spesso capitava assumeva una dimensione collettiva. Suo, certo, e degli artisti e intellettuali che contemplava. Ma soprattutto di un’epoca. Che lei ha attraversato da protagonista abitando le nostre vite.
Ed è stato un viaggio irripetibile come la sua voce inconfondibile, dotata di una rara intensità interpretativa. Maniacale lei nel cercare i colori e le sfumature che la canzone e le parole suggerivano, o che un testo teatrale pretendeva. Una vita densa di libertà artistiche, di amori, esperienze e di frequentazioni importanti. Una vita libera, artistica e no. Con un prezzo da pagare, sempre.
Showcase Ornella Vanoni
RSI Cultura 22.09.2012, 02:00
La famiglia appartenente alla buona borghesia meneghina, in ginocchio negli anni della guerra. Lo sfollamento nel Varesotto, gli studi nei collegi svizzeri e inglese per apprendere le lingue, il Piccolo di Milano dove sboccia un amor intenso e sofferto, quello con Strehler. Che la fece debuttare nei Sei personaggi in cerca d’autore. E fu una relazione che provocò scandalo nella “Milano bene” d’allora, e che divenne per lei tossica a causa di qualche vizietto del maestro. Ornella le aveva tutte contro: la famiglia, l’opinione pubblica, la stampa. Lui già sposato e più anziano. Ma le cucì addosso le Canzoni della mala, quelle che Strehler, Fo, Carpi e Negri scrissero per lei millantando di aver scovato una tradizione popolare che non esisteva proprio. Il successo fu enorme, Ma mi ancora oggi è lì a dimostrarlo.
E nella sua vita irruppe Gino Paoli. «Quanto è brutto, pensai al nostro primo incontro. E credevo fosse pure omosessuale. Pensa che lui lo credeva di me».
Si incontrarono nel’60, quasi per caso, in via del Corso a Milano alla Ricordi. Lui era al pianoforte, lei gli pose le sue lunghe mani sulle spalle chiedendogli di scriverle una canzone. 30 minuti dopo Gino tornò con Senza fine. Il sodalizio artistico si trasformò in un amore travolgente, intenso, sofferto e burrascoso. Anche lui era già sposato, con Anna Fabbri. Un amore che muterà le proprie coordinate nel corso del tempo per durare fino all’eternità.
Ho sempre dato più importanza ai sentimenti che all’amore, i sentimenti sono la cosa più preziosa che ho
Ornella Vanoni
Ornella Vanoni e Nanni Ricordi
Musicalbox 24.11.2025, 16:35
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E non è un caso che la Vanoni sia una superba interprete dei sentimenti, con quella voce sensuale incorniciata dalla tempesta di capelli fiammeggianti. Una vocalità e una capacità interpretativa inconfondibile, duttile e versatile che unitamente alla sua cultura e libertà artistica le permise di esplorare. Seguendo soprattutto la sua bussola interiore.
È affascinata dal Brasile e grazie a Sergio Bardotti vive un’esperienza unica e straordinaria con Vinicius De Moraes e Toquinho, esuli a Roma con Chico Buarque De Hollanda, per fuggir dal clima ostile imposto dalla dittatura in atto nel paese latino-americano. Un’ avventura artistica e umana che si concretizza nello splendido album, registrato in presa diretta, La voglia, la pazzia, l’incoscienza e l’allegria del 1976. Più che un album è un ponte emotivo tra Roma e Rio de Janeiro, perché la Vanoni ha il Brasile dentro ed è sempre stata propensa alla condivisione, ad esplorare nuovi territori e salpare verso nuove avventure.
«Amo condividere le passioni, è sempre un momento arricchente e per tutti. Solo così si cresce sia a livello artistico che umano. Con Vinicius, Bardotti e Toquinho parlavano ore, lo scambio era costante. Fu un’esperienza meravigliosa e un po’ folle. De Moraes viveva spesso a casa mia. E beveva sempre, dal mattino alla sera. Usciva di casa con bicchiere in mano. Ho dovuto ricomprare interi servizi».
Il teatro con Strehler, le canzoni della mala, la canzone d’autore e il pop d’autore; ma anche e soprattutto il Brasile e il jazz. Ornella Vanoni ha sempre manifestato una forma di idiosincrasia per il tedio che un contesto, un ambiente musicale spesso impone. Lei non si diverte e non coglie occasioni di crescita. E così negli anni ’80 vola anche a New York per registrare Ornella & co…. Una manciata di classici della canzone italiana firmati da Battisti e Mogol, Tenco, Endrigo, Dalla e De Gregori, tra i molti. Al suo fianco una sorta di all stars a stelle e strisce di estrazione jazz: Herbie Hancock, Gil Evans, Lee Kontiz, i fratelli Brecker, Steve Gadd, George Benson e Ron Carter per intenderci. E Ornella chiese una sola cosa: trattare queste canzoni come facevano loro. Come gli Americani trattano i loro standard, quelli di Cole Porter per intenderci, di Rodgers & Hart e di Gershwin. Un patrimonio questo Great American Songbook che lei amava molto. E si ispirava a Billie Holiday. E come dimenticare l’antica e fruttuosa collaborazione con Gerry Mulligan, portentoso sax baritono al suo servizio nell’album Uomini? E come non cogliere il desiderio e l’invito di Ornella a Paolo Fresu a suonare alle sue esequie? «Vorrei esser sepolta indossando un abito firmato Dior e avere un funerale al ritmo di un dolce e malinconico jazz suonato da Fresu».
Ornella Vanoni al Quotidiano, 17.5.2015
RSI Cultura 24.11.2025, 15:27
Anche il jazz alberga nelle sue corde, come altre tante “cose”; il pop d’autore nelle ultime stagioni, quello firmato per lei dal sodale Mario Lavezzi o più di recente da Pacifico e Gabbani. E Lavezzi anche ai nostri microfoni ammise che i capelli bianchi in gioventù gli vennero a causa delle collaborazioni con la Bertè e la Vanoni; un uragano, un’artista folle, imprevedibile ma preziosa nella sua ricerca, nell’assoluta libertà anche artistica.
La libertà di cenare con porzioni generose di raclette a 30° all’ombra (col Malox quale dessert) nelle due volte che l’invitai alla RSI. La prima in occasione degli 80 anni della Radio, dunque nel 2014, nel giorno che coincideva col suo compleanno. Regalò uno showcase memorabile all’Auditorio Stelio Molo; indimenticabile per le canzoni offerte, l’intervista sul palco tra storie, aneddoti, emozioni sempre intinte nella sua ironia e simpatia a dir poco contagiose. Ma anche per Why?, il suo barboncino color champagne che zompettava baldanzoso sul palco rubando a tutti noi la scena. O qualche anno più tardi illuminare lo Studio 2, sempre con l’inseparabile Why? nel presentare il film, da noi coprodotto, Un filo di trucco, un filo di tacco.
Ci ha lasciato una grande artista; soprattutto una donna straordinaria, anche imprevedibile, che nella vita (artistica e non) non si è risparmiata, mettendoci sempre la faccia. Si concedeva pazzie, gesti inconsulti, colpi di testa, innamoramenti fugaci e duraturi. Una donna sorprendente che al netto dei quattro storici amori (Strehler, Paoli, uno sconosciuto e il marito Lucio Ardenzi, che poi grande amore forse non lo è stato ma rimane il padre di suo figlio Cristiano) amava Pasolini e Pratt, che rimasero amori platonici ed evolutivi.
Una donna che amava scompaginare le carte, ma era la sua natura. Che amava conoscere il prossimo anche per crescer grazie al rapporto. Per la quale l’arte e la musica erano strumenti anch’essi di crescita. Non faceva conti e non speculava se quella collaborazione, quella musica, quel progetto producessero guadagni o benefici immediati. Che poi il tempo e lo spazio (dunque la Storia) lei li ha attraversati da “divina”, con la sua profonda leggerezza, anche nelle ombre che l’hanno avvolta. E più volte. Rigorosa nella sua arte, aperta anche all’ignoto, sempre sulle ali della qualità e delle emozioni nella musica, nel teatro, in televisione. Nella vita. Questa la sua grande eredità.
Ricordando Ornella Vanoni
Voi che sapete... 24.11.2025, 16:00
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