Musica italiana

I Baustelle alla fine della storia

La band toscana per la prima volta si esibirà nei palasport. Una consacrazione che arriva a 25 anni dall’esordio

  • Oggi, 15:05
Francesco Bianconi, il frontman

Francesco Bianconi, il frontman

  • Imago / Gruppo LiveMedia
Di: Patrizio Ruviglioni 

Ci sono artisti che, con i tempi accelerati della musica di oggi, arrivano a esibirsi nei palasport con un solo album alle spalle, magari dopo un Festival di Sanremo particolarmente azzeccato, nulla più. E poi c’è una band che non è mai andata all’Ariston, né ha mai cercato - come ripete volentieri - il colpo e la rapina in banca, piuttosto di costruire un percorso. E ora si esibisce per la prima volta nei palazzetti, a 25 anni dal debutto. Sono i Baustelle, cioè Francesco Bianconi, Rachele Bastreghi e Claudio Brasini, gruppo di Montepulciano, Toscana, un punto fermo dell’alternative italiano da inizio millennio a oggi, attesi ai live più importanti della loro storia tra il 5 e il 12 dicembre 2025, rispettivamente a Roma (Palazzo dello Sport) e Milano (Unipol Forum). Certo, sul piatto c’è El Galactico, il loro decimo (e finora ultimo) album, uscito ad aprile. Ma questo, è chiaro, sarà soprattutto un premio a una carriera cominciata proprio nel 2000, con l’uscita di Sussidiario illustrato della giovinezza.

In mezzo, le varie trasformazioni - anche in termini di formazione, con l’uscita di Fabrizio Massara nel 2005, artefice dei suoni dei primi lavori, oltre a periodi più o meno ispirati e coesi, com’è normale che sia - di un gruppo che ha cominciato ispirandosi ai Pulp e raccontando, soprattutto, pruriti dell’adolescenza e che poi nel frattempo è passato per evocare un certo dandismo, la cronaca nera, la decadenza, Milano, Roma e la provincia, le difficoltà di stare al mondo, con la penna di Bianconi, vero motore di tutto, sempre più vicina alla canzone d’autore (tra gli altri, ha firmato hit pop d’alta fattura come Bruci la città di Irene Grandi, del 2007). In mezzo, album orchestrali e barocchi ma mai fini a sé stessi (La malavita e Amen, rispettivamente del 2005 e del 2008), soluzioni più psichedeliche (i due volumi di L’amore e la violenza, del 2017 e del 2018), prima del ritorno al rock’n’roll degli ultimi tempi. E poi Fantasma (2013), il vero capolavoro, un concept orchestrale sullo scorrere del tempo e i suoi spettri, capace di aggiudicarsi un disco d’oro per le 25mila copie vendute all’epoca, prima dello streaming.

Perché - ed è questo il punto - la storia dei Baustelle è una storia d’altri tempi. È una storia, ecco, da fine della storia, o subito antecedente. Messi sotto contratto dalla Warner, una major, nel 2005, dopo due album brillanti ma sostanzialmente costruiti dal basso, hanno rappresentato l’ultimo, vero bagliore su larga scala della musica indipendente italiana, dopo la grande ondata degli anni Novanta (C.S.I., Bluvertigo, Subsonica) e il grande reset successivo, dopo “tutto è mainstream”. Chi c’era allora può ricordare i loro passaggi sulle tv musicali commerciali, le canzoni all’ora di pranzo su Top of the Pops, le ospitate in radio, insomma quei segnali che testimoniavano come certe etichette mainstream fossero disposte a investire su progetti alternativi, lasciando però loro mano libera, non solo per lungimiranza ma anche perché, va detto, c’era un pubblico interessato. Chiaro, la qualità faceva la differenza: pezzi come Un romantico a Milano, La guerra è finita, Charlie fa Surf e Gli spietati, tutti tra il 2005 e il 2010, sono entrati in classifica brillando e nei live occupano un posto d’onore vicino ai classici più per puristi della band, come Gomma, La canzone del riformatorio e Le rane; ma questa resta, appunto, altri tempi.

Oggi il compromesso è storico, strutturale. E lo stesso Bianconi - che nel suo disco solista, Forever (2020), definirà i discografici della Warner e delle altre major “morti”, mentre il gruppo ha firmato con la BMG - è convinto che una parabola del genere sarebbe irripetibile, o comunque irreplicabile con le stesse dinamiche. Così come un percorso di questo tipo, lento e strutturato, che tutt’ora ha garantito loro un pubblico ampio e trasversale, sarebbe difficile da immaginare. Eppure i Baustelle ci sono, da 25 anni. E proprio per questo essere arrivati alla fine della storia e per l’essere stati, comunque, tra i pochi battitori liberi della loro epoca, hanno rappresentato un punto di riferimento per decine di autori delle generazioni successive.

Oggi hanno svariati figli, tutti in credito con le loro melodie epiche, gli accostamenti tra parole altrimenti inavvicinabili (e qui, a loro volta, il modello è Battiato), le ritmiche perfino sensuali. Dall’indie di Tommaso Paradiso (per cui sono stati una scuola) a quello dei Cani, con Niccolò Contessa folgorato da Fantasma e che nel 2023 ha scelto una collaborazione con loro per tornare sulle scene. Ma anche, addentrandoci nel pop, gli stessi Annalisa e Tananai, dalla hit Storie brevi (2024) all’ultima Pugili impazziti, in cui Bianconi e soci duettano proprio con Tananai. E poi Lucio Corsi, che la band valorizzò per prima, facendogli aprire i loro live. Come si diceva dei primissimi Velvet Underground, magari non sono stati i più popolari, ma gran parte di quelli che ci si sono imbattuti li hanno trovati ispiranti: ascoltando Bianconi e soci, in Italia, negli ultimi 25 anni, la sensazione era che fare una musica diversa e al tempo stesso togliersi belle soddisfazioni di numeri e di pubblico, alla fine, fosse possibile. Non lo era? Non lo è più? La sfida per il futuro è aperta, ma non riguarda più loro.

LEGATO A “CIP CIP” (RETE TRE) DEL 05.12.2025, ORE 15:00

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