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Lucio Dalla

Cinque pezzi facili

  • 4 marzo, 08:23
Lucio Dalla
  • Reuters
Di: Sergio De Laurentiis

Meglio chiarire subito un paio di cose. A) Non c’è niente di facile nei brani di Lucio Dalla, possono sembrare semplici, ma non sono mai facili. B) I cinque pezzi in questione sono il risultato di una scelta dichiaratamente parziale, non vogliono e non possono essere “il meglio di”: per il cantautore bolognese ce ne vorrebbero molti, molti di più. E non sono nemmeno il tentativo di condensare una carriera lunga una cinquantina d’anni in poche canzoni e poche righe. Missione impossibile (e inutile). I brani proposti sono semplicemente cinque delle tante gemme della produzione di Lucio Dalla, cinque quadri che contengono molti dei tratti più significativi della sua poetica e della sua visione del mondo.

"Certo, chi comanda
Non è disposto a fare distinzioni poetiche
Il pensiero come l'oceano
Non lo puoi bloccare
Non lo puoi recintare

Così stanno bruciando il mare
Così stanno uccidendo il mare
Così stanno umiliando il mare
Così stanno piegando il mare”

Per alcuni è il primo brano ecologista della musica italiana. Ok, ci sta. Ma è una definizione troppo limitativa e limitante. È molto di più. Su una base musicale perfetta, ipnotica, Lucio Dalla racconta in maniera surreale e poetica le nostre paure, le paranoie, le debolezze, il bisogno di conquistare tutto il conquistabile (anche se è uno scherzo di terra), gli slanci e le meschinità. È un ritratto ispirato e potente della condizione umana, osservata attraverso gli occhi dei pesci, spettatori dei disastri causati dalla specie animale più pericolosa - noi bipedi - che siamo da sempre costretti a confrontarci con qualcosa molto più grande di noi, l’inafferrabile profondità del mare.

“Quale allegria
Se ti ho cercato per una vita senza trovarti
Senza nemmeno avere la soddisfazione di averti
Per vederti andare via”

Non ci provo nemmeno a nascondere tutta la mia parzialità: Quale Allegria è una delle più belle canzoni d’amore mai scritte. Anzi, per essere precisi è una meravigliosa canzone sull’amore, sul nostro eterno bisogno/desiderio di amare e di essere amati. È una riflessione sugli effetti dell’amore, in tutti i suoi aspetti: nessuna visione idilliaca, è l’amore in tutta la sua concretezza, anche fisica. È l’amore che ti fa “ridere, cantare, far casino, insomma far finta che sia sempre un carnevale”. All’allegria che ti porta a “fondare un circolo serale, per pazzi sprasolati e un poco scemi”, fa da contraltare l’assenza di amore incarnata da quell’Andrea “ucciso quindici volte in fondo a un viale per quindici anni la sera di Natale”. Una canzone che si conclude apparentemente in maniera solare, positiva raccontando di un giovane tossicomane ucciso la sera di Natale (un reale fatto di cronaca nera da cui prese spunto Dalla) non può che essere un capolavoro.

Nella grande produzione del bolognese Dalla c’è una sezione che si potrebbe definire l’atlante delle città italiane più belle. Accanto alla sua città (Piazza Grande), la magnifica Milano, Napoli (e Sorrento nella famosissima Caruso), trova spazio anche la capitale italiana. Lo fa in maniera più discreta ma l’omaggio alla città eterna è chiaro fin dall’inizio (“Qualcuno nei vicoli di Roma con la bocca fa a pezzi una canzone”). È un classico caso di botta e risposta. All’inizio del suo periodo romano – ci ha vissuto per sei anni tra il 1980 e il 1986 – si ritrova in mezzo ad una serata dell’Estate Romana (intesa come manifestazione culturale): balli, canti, performance teatrali, una rappresentazione plastica del gusto per la vita. La risposta è degna di un grande artista: appena arrivato a casa scrive La sera dei miracoli, una specie di reportage in musica della magnifica esperienza appena vissuta. Lo fa naturalmente a modo suo, con quella capacità quasi stregonesca di prendere parole semplici, comuni, umili e trasformare tutto in poesia visionaria. È una sera speciale, in cui i cani parlano tra di loro; la città si muove, galleggia e se ne va, vola con le sue vele sulle case che sono mille lenzuola. Tra le tante perle della canzone ce n’è anche una dedicata agli amanti della radio e alla sua forza evocativa: sfido chiunque a trovare un verso più efficace e più bello di questo meraviglioso “una sera così strana e profonda che lo dice anche la radio, anzi la manda in onda”.

Ascoltando i testi di Dalla ci si accorge presto che nel suo vocabolario poetico ricorrono spesso alcuni termini. Ci sono le immancabili stelle, i coltelli, la guerra, il mare. E poi c’è lui, il treno, protagonista di tante sue canzoni e in particolare di Tango, una delle più ermetiche e toccanti. L’altro protagonista ovviamente è il ballo per eccellenza degli amanti, che dà il titolo al brano. Ma la verità è che al centro dell’attenzione e della curiosità di Dalla ci siamo sempre noi, i pericolosi bipedi, sempre sospesi tra abisso e magia, capaci della qualunque, del peggio come del meglio. Il viaggio in treno, scandito dal preciso rituale del tango, con i suoi movimenti e i suoi ritmi allo stesso tempo secchi e sinuosi, ci porta ad incontrare persone di buona volontà, che ci mettono l’impegno (coraggio e brillantina) ma alla fine falliscono (guarda oggi come piango), donne che tangano con furore nei locali della Croce Rossa. Il treno attraversa un paese in guerra, con gente che mostra denti e coltelli, che buca gli occhi, altro che ballare il tango. E invece no, sarà proprio il tango a salvarci (poi arrivati a Torino ci siamo commossi in tanti per quel tango ballato da un bambino). La speranza in tempi migliori prende le sembianze di una ragazza, cui Dalla affida il finale della canzone:

“Morena è lontana e aspetta, suona il suo violino ed è felice
Nel sole è ancora più bella e non ha fretta
E sabato è domani, e sabato è domani...”

Nelle canzoni di Dalla c’è un’altra parola molto ricorrente. È familiare e aliena allo stesso tempo; è una presenza che da sempre incombe su di noi, cui rivolgiamo spesso lo sguardo. In questo pezzo ce ne sono addirittura sette, una non era abbastanza per descrivere quel meraviglioso caravanserraglio chiamato umanità (si sarà capito, l’argomento preferito del cantautore). Nei ritratti dell’Ultima luna c’è un Dalla in stato di grazia, dove l’inquietudine, la paura si mescolano perfettamente con non-sense comici e guizzi satirici. Sono un bel po’ strane queste lune. C’è quella del luna park; ce n’è una che ha la forma del cuore di un disgraziato; una addirittura si mostra come la testa di un signore (che perdeva sangue da un orecchio). Sono lune che mettono paura, che spingono a gesti disperati (qualcuno addirittura si amputò un dito) o senza senso tipo fare operazioni in banca (ma che confusione!). Ma in fin dei conti Dalla è un romantico. Anche se ne abbiamo combinate di tutti i colori, crede che c'è ancora speranza per i pericolosi bipedi. Magari non vedremo l’ultima luna (l’ultima possibile redenzione), ma per fortuna, lo farà per noi un bimbo appena nato.

"Aveva occhi tondi e neri e fondi
E non piangeva
Con grandi ali prese la luna tra le mani, tra le mani
E volò via e volò via
Era l'uomo di domani”

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