In queste settimane, in Italia, sta facendo scalpore la vicenda dei cosiddetti “finti sold out”: artisti più o meno giovani - o comunque, con uno storico non così ampio sul curriculum - che vengono lanciati in concerti negli stadi pur non avendo, comunque, le spalle abbastanza larghe, sia in termini di pubblico e sia di repertorio, per lo più per fretta o status (esibirsi in un grande impianto garantisce valore in sé al cantante, lo vende come “importante”); il risultato, spesso, è però uno schianto, ammortizzato da una serie di prassi più o meno furbe - biglietti a prezzi scontati, sfumature della comunicazione - con cui, a fronte di un buco nel bilancio, l’immagine è salva, lo show è lo stesso “sold out”. Del resto, i ritmi ormai sono veloci, talent e social fanno da acceleratori e in generale i live enormi, un tempo appannaggio di pochi, si sono moltiplicati. E poi? E poi c’è Elisa, che a 47 anni si è appena esibita a San Siro, Milano, per la prima volta in assoluto, davanti a 54mila spettatori. Una storia d’altri tempi.

L’estate intensa di Elisa (30 all’ombra, Rete Tre)
RSI Cultura 01.07.2025, 15:40
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Subito dopo, c’è stato Tramonti a Nord Est, festival in tre tappe (le Rive di Trieste, il Golfo di Monfalcone e la Laguna di Grado e Marano) immerso nella natura della sua terra, il Friuli-Venezia Giulia, ospiti tra gli altri Tananai, Dardust ed Emma. Oltre ai concerti della stessa Elisa. Il nome cita Luce (tramonti a nord est), un classico del suo repertorio, con cui nel 2001 aveva vinto il Festival di Sanremo e che è stato il suo primo pezzo in assoluto in italiano, dopo gli esordi - e ritorno, in più occasioni - in inglese. Allo stesso modo, la direzione artistica di una rassegna del genere, insieme al live di San Siro, certifica la sua ascesa a venerata maestra, con un’opinione pubblica che l’adora e una stampa compatta dalla sua - lei, va detto, è in prima linea quando si tratta di ecologia e sostenibilità, com’è stato nel caso dell’allestimento di San Siro, ma in generale ha un atteggiamento da antidiva.
Eppure, come racconta la storia della stessa Luce (tramonti a nord est), la parabola di Elisa è stata più complessa di così. Considerata a lungo “la Björk italiana”, definizione tanto lusinghiera quanto, sostanzialmente, indicativa di una complessità di fondo che il pubblico ha sempre faticato a recepire, ha mosso i primi passi nel 1997, scoperta da Caterina Caselli. Direzione, ostinata e contraria: cantava un pop rock, appunto, à la Björk rigorosamente in inglese, una follia in Italia, in più si presentava come cantautrice (in un periodo in cui le donne erano in larga parte solo interpreti) e prestava poca attenzione all’avere o meno un look alla moda. Risultato: gli ascoltatori stentano a capirla, e lei non riesce a prender loro le misure. Così la sua carriera cresce, sì, ma piano, tra stop & go: successi radiofonici che spesso sottendono un compromesso - di solito, la lingua italiana: dopo Luce (tramonti a nord est) ci sono Una poesia anche per te (2005), Gli ostacoli del cuore di Ligabue (2006) e Ti vorrei sollevare (2009) - e fughe indie-rock che rivelano il suo immenso talento, più da outsider (Meg, Carmen Consoli) che da classifica. E che, giocoforza, sono meno commerciali, salvo bug di sistema (le hit Broken e Stay, tra le poche).
Una svolta vera e propria, alla fine, non sarebbe mai arrivata. Certo, in parte il grande successo dei singoli Se piovesse il tuo nome (scritto per lei da Calcutta) e Anche fragile - i primi dopo il passaggio dalla Sugar di Caselli alla Universal, nel 2018 - l’hanno rilanciata tra le nuove generazioni senza farle perdere credibilità né personalità, mentre il secondo posto a Sanremo nel 2022, con O forse sei tu, da vincitrice annunciata, aveva in parte anticipato la sua santificazione (non è come si esce dall’Ariston, ma come ci si entra). Ma la verità è che, tra salite e discese, Elisa in questi anni è sempre andata avanti con la sua strada, costruendo lentamente, sommando canzoni su canzoni, con le proprie idee, in parte forse mai davvero comprese dal contesto. Ma riconosciute, apprezzate, rispettate soprattutto.
E, una volta appurato questo, non è servito tanto altro: sono bastati 25 anni di carriera di talento e paradossi - le sue più grandi hit sono in italiano e le hanno scritte altri, i suoi pezzi migliori, come Dancing, sono forse meno noti - per consacrarla come una delle migliori artiste della sua epoca. È che, forse, non si è più neanche abituati a ragionare in questo modo sulle carriere, cioè a lunga gittata.
Neanche a dirlo, però, c’è più gusto ad arrivare a San Siro così. Il concerto di Milano, infatti, è stato denso di “vita vissuta”, tre ore di canzoni seminate nel tempo, con ospiti a sorpresa - e quindi, non annunciati in anticipo per rientrare della possibile mancanza di pubblico - con cui nel corso degli anni c’è stato, davvero, qualcosa: Giuliano Sangiorgi, Jovanotti, Ligabue, Cesare Cremonini, Giorgia. Sodalizi concreti, affinità, di nuovo lentezza. Più che un exploit, anche qui, si tratta più che altro di una conseguenza. Alla fine sono stati anche gli errori, anche i momenti in cui nessuno la capiva, ad averla portata lì, su quel palco, a 47 anni, con una storia così lunga da raccontare. A testimonianza che il talento, spesso, richiede tempo per essere decifrato. Nonostante spesso non lo si voglia ammettere.