Ma non era il tipo da tirarsela, proprio no. Anche l’uscita di scena lo conferma: un tumore al colon se l’è portato via qualche giorno fa, ma l’abbiamo saputo solo dopo le esequie. Si sapeva che non stava bene, ma si sperava che ce la facesse anche stavolta, come era successo qualche anno fa, quando aveva affrontato e superato un altro tumore (alla gola). Se n’è andato pochi mesi dopo Yukihiro Takahashi, sodale di lunga pezza, con cui ha militato negli Yellow Magic Orchestra. È con loro che Sakamoto ha esplorato nuovi territori sonori, è con loro che si è divertito a sovvertire regole e convinzioni: il loro pop elettronico, sperimentale e raffinato ha gettato semi che hanno attecchito ovunque, ben oltre i confini giapponesi. Innumerevoli artisti e band di tutto il mondo e dei generi più disparati (synth-pop, techno, electro, hip-hop, ambient) devono molto all’Orchestra della Magia Gialla. Il successo arriva velocemente, praticamente subito, con la pubblicazione del primo album, omonimo, nel 1978.
E presto arrivano le occasioni per ampliare gli orizzonti, per fare esperienze in nuovi campi. Il primo contatto di Sakamoto col cinema non passa inosservato. Difficile scordare la figura del capitano Yonoi, da lui interpretato, e difficile, molto difficile, togliersi dalla testa la melodia avvolgente, morbida e inquietante di Forbidden Colors, tema principale di
Merry Christmas Mr. Lawrence (dalle nostre parti
Furyo), composto da Sakamoto con l’amico David Sylvian.
Alla prima prova fa subito centro. Se la cava molto bene davanti alla camera, ma quello che lo attira davvero è altro. Se ami la musica e allo stesso tempo sei affascinato dal linguaggio per immagini, affrontare la composizione della colonna sonora rappresenta una sfida cui è impossibile sottrarsi. E lui mica si sottrae, anzi. Firmerà quasi una cinquantina di colonne sonore, per autori come Nagisa Oshima, Pedro Almodovar, Iñarritu, Oliver Stone, Brian De Palma, e Bernardo Bertolucci (Sakamoto conquista l’Oscar per la colonna sonora dell’Ultimo Imperatore). La varietà dell’ampio catalogo di musiche composte per accompagnare immagini è notevole: film drammatici, commedie, thriller, documentari, persino videogiochi.
Quello dell’estrema varietà è un tratto che ritroviamo in tutta la produzione di Sakamoto, non solo nell’ambito delle colonne sonore. In quasi cinquant’anni di carriera non si è fatto mancare nulla: pop, techno, musica sperimentale, d’avanguardia, ambient, qualche incursione nel jazz, alcune pagine di Bossa Nova. Le collaborazioni sono state numerose e sempre di alto valore. Oltre al già citato David Sylvian, Sakamoto ha lavorato con artisti del calibro di Brian Eno, Youssou N’Dour, Thomas Dolby, Alva Noto, Jacques Morelenbaum. Uno potrebbe pensare: “No, dai, così è troppo, è impossibile mantenere un’identità riconoscibile!”. E in teoria potrebbe anche aver ragione. In pratica, in
questa pratica, no. Il fatto che tra le influenze maggiori ci sia – parole sue – gente come John Coltrane, i Beatles, Debussy, Bach, John Cage aiuta ad inquadrare la situazione ma non è sufficiente. Per far sì che la tua impronta riesca ad essere forte e visibile in generi apparentemente lontanissimi fra di loro ci vuole altro. Ci vuole una profonda comprensione delle leggi che governano la musica, una capacità di sintetizzare suoni, mondi, culture, e un gusto fuori dal comune. Tutte cose che Ryuchi Sakamoto per nostra fortuna ha posseduto in quantità industriali.