Per Bono Vox, leader degli U2, «ha una voce sexy come un whisky invecchiato in una botte di quercia, capelli da leone e un’anima da poeta» Adelmo Fornaciari/Zucchero, nato in Emilia a Roncocesi, alle porte di Reggio, esattamente 70 anni fa.
Musicista, cantautore, performer, giramondo e soul man dalla pelle bianca ma con l’anima nera, impastato di blues e soul, che è cresciuto tra la Bassa e la Versilia con lo sguardo sempre rivolto a occidente, là, dove lungo il Mississippi nacque la sua musica e vissero i suoi miti, sui quali mettendosi di buzzo buono ha studiato, edificando la sua di musica e i suoi sogni. Sempre con quel tocco melodico, quel gusto italiano per la melodia che unitamente ai crismi della musica nera con la provincia italiana, creando quel mix di malinconia e goliardia che è uno dei suoi marchi di fabbrica.
«Il mio legame con l’America è soprattutto musicale. Col soul, col blues e il rhythm’n’blues; sono le musiche con cui sono cresciuto e che ho sempre amato. Ancora adesso a distanza di tempo pur ascoltando di tutto quando metto un album di Otis Redding o Marvin Gaye c’è qualcosa che mi fa andare laggiù. Quando incido negli States ho la possibilità di incontrare musicisti e assaporare quel modo unico di fare musica. E mi calo in quelle atmosfere che fanno galoppare la mia fantasia.
Pensa a Memphis o New Orleans, Nashville o Baton Rouge. Chissà forse perché sono nato anch’io in una grande pianura attraversata da fiumi, vicino al Po e al suo delta. Però una delle mie peculiarità è colorare questo suono, questa musica con la mia “italianità”. Io sono figlio di questa terra per cui per me è naturale. Ricordo che una delle prima collaborazioni fu con Miles Davis per Dune mosse. E Miles stesso mi esortò a proseguire su questa strada dicendomi che era rimasto stupito da questa canzone che fino ad un certo punto gli apparteneva poi, improvvisamente, entravano atmosfere, melodie e suoni per lui alieni che gradiva molto».
Una fascinazione che suggeriva già Guccini con Fra la via Emilia e il West. E per loro, gente della Bassa questa “seduzione” è davvero parte del patrimonio genetico.
«È vero, e chissà perché abbiamo sempre avuto questo legame con l’America. Guccini intendeva con cantautori come Dylan, per uno come il Liga invece è Springsteen e il rock americano, così anche per Vasco. Poi in Emilia si suona da sempre rhythm’n’blues. Chissà, una grande pianura con orizzonti infiniti attraversata dalla via Emilia, la nostra Route 66».
60 milioni di album venduti nel mondo, amicizie importanti da Bono a Sting, passando per Pavarotti, Miles Davis, Mark Knopfler, Eric Clapton, De Gregori, Paul Young, Russel Crowe, Brian May solo per citarne alcuni. E poi concerti e tournée infinte ai quattro angoli del globo, eventi, premi, riconoscimenti, attestati. Da perderci la testa ma non lui. Perché l’Adelmo appartiene a una razza tosta, razza contadina, terragna e testarda che ne ha forgiato l’indole su principi e valori saldi, ancorati alla terra come i suoi piedi. Alle proprie radici.
«Quello che ho ricevuto dalla mia famiglia, quello che ho ricevuto dalla mia gente, lavoratori indefessi, gente semplice ma acuta e di sani principi anche se non giravano molti soldi, anzi, è la sanguinità e la costanza con cui affrontare le cose. E quella forza che deriva proprio dalla natura. Io ricordo sempre da dove vengo e quali sono le mie radici».
Che Zucchero racconta senza filtri, mettendosi a nudo nell’ottima biografia Il suono della domenica. Il romanzo della mia vita. Pubblicata nel 2011, l’artista con linguaggio schietto privo di fronzoli parla dei suoi disagi interiori, delle sue malinconie, delle crisi di panico e dei chiaroscuri della vita. Oltre che ovviamente della sua infanzia, semplice, povera ma serena come la famiglia e la vita che placida si dipanava nel borgo. Libro che fa pendant con l’ottimo album Chocabeck, tra i suoi lavori migliori, un “concept album” che narra lo scandire di una giornata, dal mattino alla sera che Zucchero canta con intensità e con espressività, con dolcezza e con passione e soprattutto sentimento. Più che di blues Zucchero è un cantante soul. Ed è un complimento.
Quello che agli inizi, come dicevo in apertura, declinava anche con una propensione alla goliardia quando citava l’Azione Cattolica, sdrammatizzava il giudizio universale, sbeffeggiava la cultura con la “c” maiuscola.
«Non credo alla gente possa interessare un rapporto usurato di una coppia o ciò che avviene la sera sul divano davanti alla televisione. Non interessa neppure a me. Mi piaceva andar contro chi era perbenista e nella norma, proprio per non appiattire i sentimenti e la creatività. E io nel tempo ho sperimentato, e mi piace farlo».
Processi creativi. Negli ultimi anni Zucchero ha pubblicato due dischi di cover, selezionando dalla playlist della sua anima una manciata di brani. A fatica, perché il problema era scegliere tra oltre 500 canzoni conosciute o meno, internazionali e italiane, antiche e moderne che lo hanno emozionato nel corso della sua esistenza. Argomentava sorridendo:
«Per realizzare un album intero di inediti mi serve tempo, almeno un anno di tranquillità a casa, immerso nel mio mondo, nelle mie “cose”. Io da anni sono praticamente in tour, e i miei sono infiniti. Inoltre, mi piace andar in giro, suonar dal vivo, stare con la gente, coi miei musicisti. Un tempo avevo anche molti stress a casa e i tour erano anche un modo fuggire».
Da tempo ormai Zucchero ha trovato una solida stabilità. Privata e professionale. Passando anche per una depressione dalla quale è uscito ritrovando il piacere e la voglia di suonare, incontrare il pubblico, sorridere.
Raffinato o greggio, di canna o a velo, questo è Zucchero.
Ricordo personale
Se ben ricordate nel giugno del 1989 usciva Oro Incenso & Birra, album di Zucchero “Sugar” Fornaciari entrato a pieno titolo nella storia della musica italiana. Disco che all’epoca polverizzò tutti i record di vendite tant’è che a tutt’oggi è uno dei dischi più venduti di sempre.
A fine estate Oro Incenso & Birra divenne disco d’oro anche in Svizzera e in occasione dell’intervista a Lugano per la RSI, il giorno prima del suo atteso concerto a Cornaredo, campo laterale, avvenne la consegna del premio. Zucchero e discografici vollero che fosse proprio il sottoscritto a consegnarglielo.
L’appuntamento era in hotel, quello un tempo sopra la Migros di Lugano Cassarate. Non era il mio primo incontro, alcuni anni prima nel camerino dell’Espocentro di Bellinzona realizzai la prima intervista. Era l’87. La prima di una lunga serie che prosegue come una litania alla pubblicazione di ogni album. Lo incontrai a Zurigo (Black cat) a Milano (D.O.C.), in un cascinale dietro l’aeroporto di Linate (Chocabeck). E ancora in un paio di occasioni a Milano per Discover I e il più recente Discover II.
E, per dirla tutta, una volta recandomi in Versilia, sapendo dove abitava, scendendo dal passo della Cisa mi fermai a Pontremoli per un rapido saluto. Mi aveva raccontato con dovizia di particolari, e incuriosito, della sua residenza, una fattoria con tanto di bestie, contadini e ogni ben di Dio che nasceva dalla terra. E che li rendeva quasi autosufficienti. Ma lui non purtroppo non c’era.
Il più singolare e affascinante degli incontri, almeno dal profilo “scenografico” avvenne alla pubblicazione di Miserere. La Polygram, la sua casa discografica di allora, requisì addirittura un castello fuori Bologna. La sera mi recai con giornalisti provenienti da mezza Europa all’evento, alla presentazione in pompa magna del nuovo disco. Nel buio del tramonto inoltrato, lungo il ciottolato illuminato da centinaia di ceri, alcuni frati posticci ci accolsero donandoci una copia del cd in un formato da collezione, che ancora conservo, e un saio marrone con tanto di cappuccio e la scritta Misere vergata in oro sul dorso. Ci accomodammo in cortile, tra le mura medievali punteggiate da torce ardenti, seduti a fratini imbanditi per la cena e in mezzo un palco. Un’atmosfera degna de Il nome della rosa. Mangiammo, bevemmo e poi apparve lui e la band sul palco e suonarono il disco.
Il giorno successivo appuntamento all’hotel Baglioni di Bologna per l’intervista di rito, prima di recarmi la sera Modena per l’edizione annuale del Pavarotti International.
Torniamo al primo incontro a Lugano. Arrivai con la troupe televisiva. Ci accolsero, lo salutai, aveva il volto segnato dalla stanchezza, raffigurava davvero “il crollo di una diga”. Bevemmo un caffè al volo prima dell’intervista, che si svolse in piedi. Non voleva sedersi, non voleva sprofondare sul comodo divano per paura di abbioccarsi. Ridemmo. Mi guardava, lo guardavo, ci guardavamo a distanza in piedi come i due pistoleri dell’Ok Corral. Ero preoccupato e attaccai con la prima domanda pensando non ingranasse. Anche perché la prima che mi frullava in testa era articolata. Sembra sempre che non ingrani, o che faccia fatica a ingranare. Falso! È sempre attento alle parole, le pesa, le misura. E se guadagni la sua fiducia si apre senza filtri rivelandosi un vero diesel, un oratore, un ottimo affabulatore.
Zucchero - Sugar Fornaciari
Film 24.09.2025, 20:35
Omaggio a Zucchero, 70 anni!
Millevoci 25.09.2025, 10:05
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