Società

Cecilia Sala e i figli nati nell’odio

Nel suo nuovo libro la reporter dà voce ai giovani che vivono tra le macerie del diritto 

  • Ieri, 10:30
Cecilia Sala

Cecilia Sala si era recata a Teheran per realizzare dei servizi giornalistici sui cambiamenti in corso nella società iraniana

  • ANSA
Di: Anna Mezzasalma 

«Nel mio lavoro sul campo guardo spesso i giovani». A raccontarlo è la giornalista Cecilia Sala, inviata di guerra e podcaster seguitissima. Ci accoglie nel suo appartamento a Roma, dove è solo di passaggio, presa tra i tanti impegni, tra cui l’uscita del suo I figli dell’odio, un libro reportage in cui intreccia il racconto di tre delle realtà più complicate della storia contemporanea: Iran, Israele e Palestina.

«A me interessano i giovani, non perché siano più buoni o perché mi piacciano per qualche particolare ragione, ma perché penso che ci aiutino a vedere in che direzione sta andando una società, quindi un pezzetto di futuro». E nell’ultimo libro Sala parte proprio da qui, da un intreccio di storie personali e fatti di attualità, da fotografie dello stato presente che aiutano a intravedere quello che sarà.

La giornalista, nonostante i trent’anni appena compiuti, ha già una lunga esperienza sul campo, dove spesso il campo sono territori ostili e martoriati, come Afghanistan, Ucraina, Iran, Venezuela. La sua voce racconta anche storie minori, quelle personali ignorate dai media tradizionali.

«Nel libro – continua la reporter – ci sono anche tantissimi anziani, ma quelli che accompagnano il lettore dentro quella storia sono effettivamente persone molto giovani. In Israele, perché i giovani sono più incattiviti di quanto fossero i genitori quando avevano la loro età: sono cresciuti dopo che i cancelli di Gaza sono stati chiusi, dopo che i muri sono stati alzati in Cisgiordania. In Palestina comincio raccontando la storia di un fallimento familiare, di un padre ormai anziano che ha creduto nella diplomazia e nel dialogo, e che ha cercato di trasmettere questo insegnamento a suo figlio, che invece non crede a una parola di quello che il padre gli ha insegnato, che è cresciuto tra le macerie del fallimento della diplomazia e che ha scelto la lotta armata».

Cecilia Sala ha un rapporto personale con l’Iran: è un luogo a cui è affezionata e da cui è dovuta stare lontana per anni, così come tutti i rappresentanti dei media occidentali dopo la grande protesta del 2022. E quando finalmente può tornare a Teheran, diventa suo malgrado vittima e protagonista della cronaca. Nel dicembre 2024, senza accuse formali, viene arrestata e detenuta in isolamento a Evin, carcere di massima sicurezza noto per il sistematico disprezzo dei diritti umani. La sua esperienza è stata ampiamente seguita dai media di tutto il mondo, e anche lei ha avuto modo di raccontarla dopo il rilascio, avvenuto nel tempo record di 21 giorni.

Durante la sua detenzione, ci confida: «Ho pensato a Imad Abu Awad, che è giornalista, collega palestinese, e con cui si chiude la parte sulla Palestina del libro. Lo avevo intervistato da poco: aveva passato mesi incarcerato, senza un processo, senza sapere neanche di che cosa fosse accusato, e mi aveva detto: “Io sono stato incarcerato da un pezzo di Israele, quello estremista e suprematista; sono stato liberato dall’altro, che crede ancora nello stato di diritto”». Anche se il diritto, secondo Sala, «oggi viene preso a picconate, e chi piccona il diritto internazionale resta impunito: lo abbiamo visto in Ucraina, lo abbiamo visto in Palestina, e quindi per tante persone che subiscono dei crimini, il diritto internazionale oggi sembra una cosa molto lontana e molto astratta».

E la speranza che qualcosa cambi resta, ancora una volta, legata ai più giovani.

50:45

Paura

Cliché 03.10.2025, 21:50

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