Oltre la guerra

Testimoni dell’Apocalisse: il grido degli innocenti

Nel 1985 Klimov mostrava l’orrore nazista. Oggi, quel grido si rinnova nei conflitti dove a morire sono ancora gli indifesi

  • Oggi, 08:30
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  • L'incontro tra Fljora e Glaša (Va' e vedi, 1985)
Di: Elia Bosco 

Quarant’anni fa, nel 1985, il regista russo Ėlem Klimov, non senza poche difficoltà, pubblicava Idí i smotrí (in italiano, Va’ e vedi). Questo film sulla Seconda Guerra Mondiale, prodotto in Bielorussia e incentrato sulle atrocità naziste, occupa un posto speciale nella storia del cinema: è senza dubbio il più brutale e psicologicamente devastante di tutti per più ragioni. La sua attualità, come vedremo, è disarmante.

La potenza sconcertante di questo film sta nell’assumere il punto di vista di un giovanissimo ragazzo bielorusso, Fljora, il quale, dopo aver disperatamente cercato e poi trovato un fucile, si arruola ai partigiani per tentare di fermare l’avanzata delle forze armate naziste, nel 1943. Il titolo, ripreso dalle frasi ricorrenti nel libro dell’Apocalisse, sfida chiaramente lo spettatore ad assumere il ruolo di San Giovanni, testimone dell’Apocalisse, o meglio, di uno dei periodi più oscuri della storia dell’umanità.

Quando egli aperse il terzo sigillo udii il terzo essere vivente che diceva: «Vieni e vedi». E io vidi, ed ecco un cavallo nero; e colui che lo cavalcava aveva una bilancia in mano.

Giovanni, Apocalisse, 6, 5

Questo specifico punto di vista permette al regista sovietico di raccontare quello che in pochissimi hanno avuto il coraggio di raccontare, ma che andrebbe urlato a piena voce: gli effetti della guerra sugli innocenti. Ma non è l’unico tema, perché la perversa felicità che Fljora prova nel momento in cui trova quella carabina – che gli permetterà di entrare nei ranghi dei partigiani bielorussi – si distorcerà di lì a poco in un viso segnato dagli orrori di cui ha fatto esperienza, perdendo così per sempre l’innocenza che caratterizza ogni essere umano nei primi anni della vita. Un destino che accomuna chiunque viva la guerra direttamente sulla propria pelle, in ogni tempo e in ogni spazio.

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Aleksej Kravčenko nei panni di Florian Gajšun ad inizio film

La guerra, infatti, viene vissuta dai civili tanto quanto dai soldati: può sembrare un’osservazione banale, ma solo dopo aver visto Va’ e vedi ci si rende conto di quanti pochi film di guerra raccontino veramente le sofferenze dell’uomo e della donna comuni, del bambino indifeso e del fragile anziano. E questo apre più che mai una drammatica finestra sul nostro presente.

Chiudiamo gli occhi e rappresentiamoci questa scena nella mente. Un ragazzo adolescente, l’udito compromesso dall’essere appena stato sul luogo di un bombardamento, e una giovane donna che si aggrappa a lui: i due arrancano insieme attraverso una palude viscida e maleodorante. Una cicogna si aggira nei boschi, sotto la pioggia, incapace di spiccare il volo. Un minaccioso aereo da guerra domina il cielo. Un mucchio di bambole accatastate sul pavimento, con mosche che ronzano per tutta la stanza. Cosa ci dice tutto ciò? Che non servono grandi scene di battaglia, vastissime e coreografate, per trasmettere il messaggio dell’assurdità e del dolore della guerra, bastano atmosfere, simboli, espressioni e un’acuta sensibilità.

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Jüri Lumiste nei panni dell'Obersturmführer SS (comandante di compagnia)

Sì, sono io quello che ha detto: “Senza i bambini potete andare. Ma i bambini devono restare”. Perché tutti i guai cominciano con i bambini. La vostra nazione non merita di esistere. Alcune nazioni non hanno diritto al futuro.

Va’ e vedi (1985), Le parole di un Obersturmführer delle SS, catturato nel film dai partigiani bielorussi

Credo che questa frase riassuma nel modo più incisivo il grande dramma che la guerra porta con sé. L’uccisione volontaria e strategica della vera minaccia per chi si fa braccio armato di un genocidio: i bambini e le bambine. Agli occhi di un gerarca nazista sono loro il vero e più concreto pericolo e nessun altro. Un dramma che vediamo rivelarsi, oltre che nelle terrificanti scene della pellicola, sul volto di Fljora, che diventa viva testimonianza delle conseguenze più profonde della guerra. Il prezzo da pagare dopo aver guardato in faccia la morte, l’umiliazione e l’atrocità è essenzialmente la perdita della luce che illuminava prima i giovani occhi di un ragazzo alle sue prime esperienze nel mondo. ll volto di un ragazzo che ha perso del tutto la ragione e in pochi giorni è invecchiato di decenni resterà impresso nella memoria di chiunque abbia visto questo film per un tempo indefinito.

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Il volto di Fljora nell'ultima sequenza del film, dopo aver testimoniato in prima persona gli orrori della guerra

In ogni guerra, la voce degli innocenti rischia di essere soffocata dal fragore delle armi e dall’indifferenza del mondo. Eppure, è proprio questa voce che dobbiamo custodire e amplificare, perché nelle loro grida, nei loro sguardi smarriti, si cela la verità più profonda e universale del conflitto: la sofferenza di chi non ha scelto di combattere, ma si trova a pagare il prezzo più alto. Non voltare lo sguardo alle atrocità, prendere una posizione e ricordare tutte quelle forme d’arte che, senza paura alcuna, hanno denunciato la disumanizzazione di cui la guerra si fa promotrice significa opporsi all’assurdità di quest’ultima e ribadire che nessuna causa può giustificare la perdita dell’umanità e l’uccisione degli innocenti. Solo facendo sentire le grida degli innocenti possiamo sperare di scuotere le coscienze e contribuire, anche solo in parte, a fermare una violenza che non ha senso di esistere.

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  • Keystone

In questo senso, Va’ e vedi di Ėlem Klimov rappresenta uno dei tentativi più profondi e coraggiosi di conservare lo straziante grido degli innocenti. Attraverso lo sguardo di Fljora, il film ci costringe a non distogliere lo sguardo dalla sofferenza dei civili, trasformando la memoria in un atto di resistenza contro l’oblio e l’indifferenza. È solo mantenendo viva questa testimonianza che possiamo sperare di opporci, oggi come allora, all’assurdità della guerra e recuperare un’umanità che sembra perduta. Forse, allora, l’apocalisse lascerà spazio a una nuova genesi dell’umanità.

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